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La rinascita di Nerone

di Ida Cuccu*
  Nerone
Data di pubblicazione su web 27/02/2024  

Anche quest’anno il Teatro Lirico di Cagliari mantiene viva la consuetudine di accostare a opere di repertorio altre meno note che meritano di essere riscoperte, come il Nerone di Arrigo Boito con cui si apre la stagione 2024. Un’impresa ardua e certamente audace guidata dalla stessa fermezza che deve aver accompagnato il librettista e compositore negli oltre cinquant’anni di lavoro. Le prime notizie in merito all’opera risalgono al 1862 quando Boito, allora appena ventenne, iniziava il lavoro che avrebbe scandito la sua intera esistenza, portandolo a termine soltanto nel 1916, seppur non riconoscendone del tutto la compiutezza e difatti lavorandovi ostinatamente ancora fino alla morte.

Sono molteplici le questioni a cui lo spettatore del Lirico ha accesso grazie al pregevole libretto di sala, il quale invita, in particolar modo, a riflettere su quanto ancora sia necessario prodigarsi per quei titoli dimenticati e raramente rappresentati. Nel caso specifico, il Teatro Lirico di Cagliari ha dato il suo importante contributo affinché Boito non sia ricordato solo come il librettista di Giuseppe Verdi. La storia di Nerone rivive a cento anni dalla sua prima rappresentazione alla Scala di Milano (1924), dopo l’ultima messinscena in Italia al San Carlo di Napoli (1957) e l’esecuzione in forma di concerto all’Auditorium della Rai di Torino (1975).

L’opera arriva per la prima volta in Sardegna misurandosi con il legame che unisce questa terra all’ultimo imperatore della dinastia giulio-claudia. È infatti il 1911 quando durante degli scavi nella città di Olbia – luogo in cui la concubina di Nerone, Claudia Atte, era stata esiliata quando l’imperatore aveva sposato Poppea – viene rinvenuta una testa in marmo di età romana raffigurante Nerone negli anni della sua presa del potere (54-59 d.C.). Il suddetto volto marmoreo è ad oggi conservato nel Museo Archeologico di Cagliari e ripreso, come sorta di omaggio alla città, nella scenografia dello spettacolo: appare al centro del sipario calato a ogni chiusura di atto e adornato dalla reiterazione del saluto romano Ave, nel fregio del tempio di Simon Mago dell’atto II, e ancora come protagonista in un altorilievo fra il colonnato dello spoliarium dell’atto IV.

Un momento dello spettacolo
© Priamo Tolu

Il progetto registico di Fabio Ceresa è un approfondimento della romanità antica senza rinunciare alla riflessione sul passato recente: avvalendosi delle scene di Tiziano Santi, realizzate con Veronica Lattuada, Ceresa fa convivere antichità e Novecento nel tentativo di immaginare come all’epoca di Boito venisse inteso il mondo classico. Le scenografie sono maestose e al contempo essenziali, curate nel dettaglio, e capaci di conquistare il pubblico che si ritrova meravigliosamente immerso nei mondi ricreati dall’autore. Il primo fra questi mondi è quello di Nerone e della società imperiale, rappresentati nell’atto I con le rovine di antichi monumenti, colonne, e aquile simbolo di sovranità, dominio sui popoli e regalità. Quello stesso sentimento di potere ritorna nell’atto IV – siamo ancora nella dimensione neroniana – ambientato non nel Circo Massimo, come previsto dal libretto, ma nel Colosseo quadrato (edificio monumentale che si trova nel moderno quartiere romano dell’EUR concepito nel 1937), posizionato sul fondo della scena. Il secondo mondo è quello di Simon Mago e della sua aspirazione alla chiesa-istituzione che si traduce non a caso nella Basilica dei Santi Pietro e Paolo dell’atto II. Il terzo e ultimo mondo è quello di Fanuèl che incarna il cristianesimo delle origini, e la cui semplicità e povertà emergono da una scena pressoché spoglia nell’orto dell’atto III. A ognuno dunque il proprio universo ma anche la propria corona: sontuosa e regale quella di Nerone, tiara papale per Simon Mago e di spine per Fanuèl.

 
Un momento dello spettacolo
© Priamo Tolu

Nerone è opera di contrasti, di ambiti antitetici e non conciliabili. Il dualismo paganesimo-cristianesimo si impone fin dall’inizio del lavoro, evidenziato dal disegno luci di Daniele Naldi. Giochi di colori si avvicendano continuamente con il progredire dell’azione e la successione dei mondi ricreano particolari atmosfere: i colori caldi (luce gialla, a tratti arancione) illuminano l’orto dell’atto III dando vita a «un’aura di soave pace» di cui Boito parla nelle sue particolareggiate indicazioni; i colori freddi accompagnano l’ingresso in scena del finto cieco Simon Mago, trasformando la luce di quello stesso orto in una «densa penombra». Efficaci anche le coreografie di Mattia Agatiello. Degno di nota, in particolare, è il movimento del corpo di ballo durante il duetto dell’atto I tra i due baritoni che ostinatamente si destreggia tra Simon Mago e Fanuèl traducendo la concitazione musicale e lo scontro fra i due. Parimenti i costumi curati da Claudia Pernigotti sono indispensabili per collocare la vicenda sia nella Roma imperiale (gli abiti sfarzosi delle donne romane e di Asteria, le semplici vesti dei cristiani, di Fanuèl e Rubria), che in quella novecentesca (ad esempio Tigellino e il suo abito che ricorda quello di un aviatore dei primi anni del XX secolo).

Cosa dire del lavoro del direttore d’orchestra Francesco Cilluffo? Abilmente fa emergere quella musica così eloquente e innovativa dietro cui si nasconde una stratificazione qui quanto mai valorizzata e per nulla imbrogliata. Le scelte sonore sembrano rifarsi a quello spettro cromatico conservato fra le carte del compositore in cui si relazionano fra loro tonalità, colori e timbri strumentali; le molteplici tinte, quindi i colori della partitura, affiorano dal brillante suono dell’orchestra generando nello spettatore determinate associazioni nelle differenti scene dello spettacolo.


Un momento dello spettacolo
© Priamo Tolu

Tra i cantanti, guidati con notevole precisione e cura da Cilluffo, Mikheil Sheshaberidze dimostra potenza vocale e notevole impegno nell’esigente ruolo di Nerone, benché non riesca a penetrare del tutto nella parte. In alcune occasioni i movimenti sembrano impacciati, come nel caso della scena con Asteria nell’atto II, e in chiusura dell’atto I quando non sembra credere abbastanza nel suo trionfo. Ben funziona invece il suo ingresso nell’atto I in cui incarna tutta l’agitazione possibile, perseguitato dalle Erinni di sua madre Agrippina che indossano inquietanti maschere bianche tipiche del teatro romano. Altro discorso per Franco Vassallo: incisivo e sicuro sia vocalmente che sulla scena si presta a un’ottima caratterizzazione del personaggio di Simon Mago, vero malvagio nemico del dramma. Fanuèl è Roberto Frontali, la più efficace fra le figure maschili, apprezzabile per la delicatezza, naturalezza e qualità di stile nel difendere premurosamente i suoi fratelli cristiani. Coinvolgente il dolcissimo duetto con Rubria agonizzante interpretata da Deniz Uzun: il mezzosoprano conquista con un canto morbido in linea con il ruolo di una povera fanciulla indifesa e destinata a morire. Al contrario, Valentina Boi è una potente e sacrilega Asteria, il cui sensualismo sfrenato emerge nella scena con Simon Mago e a seguire con Nerone nell’atto II. Completano abilmente il cast Antonino Giacobbe (Dositèo/Voce dell’oracolo), Natalia Gavrilan (Pèrside/Cerinto/Prima voce di donna), Fiorenzo Tornincasa (Primo viandante/Il Tempiere/Voce di tenore), Nicola Ebau (Secondo viandante/Lo schiavo ammonitore/Voce di basso) e Francesca Zanatta (Seconda voce di donna) e Luana Spìnola (Terza voce di donna). Lodevole anche il coro guidato da Giovanni Andreoli.

Degna di nota è la presenza in scena di un giovane interamente dorato, pressoché nudo, con indosso la tipica clamide, mantello degli efebi nell’antichità greco-romana, di colore viola: tenendo in braccio una lira accompagna Nerone fin dall’inizio dell’opera come fosse una sua ombra, o forse più precisamente Apollo, essendo colui che aveva ordinato a Oreste di vendicare la morte del padre con l’omicidio della madre. Boito fin dall’inizio sovrappone Nerone e Oreste: nell’atto I si sente infatti quel grido ferale «Nerone-Oreste! Il matricida». Ma la vera sorpresa Ceresa la riserva per la fine dell’opera dopo la morte di Rubria. Il colonnato con l’altorilievo del volto di Nerone si apre e ci si ritrova nuovamente di fronte al Colosseo quadrato e a una scena tetra e minacciosa: una luce rossa viva, il fumo dell’incendio che divampa, morti ovunque e nel mezzo il trionfante Nerone intento a uccidere il giovane Apollo. Quest’ultimo, nella tragedia eschilea, aveva inconsapevolmente partecipato alla condanna di Oreste perseguitato dalle Erinni dopo la morte di sua madre, incubo che anche l’imperatore romano era stato costretto a vivere dopo il suo matricidio. L’unica via di scampo pareva dunque versare altro sangue e avere la meglio su Apollo che non era stato in grado di aiutare Oreste, e sulle Erinni.


Un momento dello spettacolo
© Priamo Tolu

Ceresa permette a Nerone di rivendicare sé stesso facendosi giustizia da sé senza ricorrere all’aiuto di Atena Pallade, così da uscirne come “vincitore”. Si conferma in questo modo quell’«Arrigo Boito e Kronos» che chiudeva l’opera nell’atto IV senza spingersi con la follia dell’imperatore circondato e maledetto dagli spettri nell’incompiuto atto V. Tuttavia, quell’ultima apertura di sipario fa pensare che ci sia ancora qualche speranza per l’ultimo atto in cui Boito deve aver creduto fortemente, e i cui materiali rimasti – come sottolinea Sala – «testimoniano un progetto ancora in fieri ma tutt’altro che impreciso o incoerente» che ha dunque ragione di esistere e resistere.

Il Teatro Lirico di Cagliari ha proposto uno spettacolo che c’è da augurarsi non rimanga un’operazione fine a sé stessa e che il Nerone possa rivivere ancora.


* Studentessa di Digital Humanities per la Storia dello Spettacolo nel corso di Scienze dello Spettacolo del Dipartimento, SAGAS.

 


Nerone



cast cast & credits
 
trama trama


Un momento 
dello spettacolo
© Priamo Tolu

Spettacolo visto il 16 febbraio 2024 al Teatro Lirico di Cagliari 



 
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