Anche questanno il Teatro Lirico di Cagliari
mantiene viva la consuetudine di accostare a opere di repertorio altre meno
note che meritano di essere riscoperte, come il Nerone di Arrigo
Boito con cui si apre la stagione 2024. Unimpresa ardua e certamente
audace guidata dalla stessa fermezza che deve aver accompagnato il librettista
e compositore negli oltre cinquantanni di lavoro. Le prime notizie in merito
allopera risalgono al 1862 quando Boito, allora appena ventenne, iniziava il
lavoro che avrebbe scandito la sua intera esistenza, portandolo a termine
soltanto nel 1916, seppur non riconoscendone del tutto la compiutezza e difatti
lavorandovi ostinatamente ancora fino alla morte.
Sono molteplici le questioni a cui lo
spettatore del Lirico ha accesso grazie al pregevole libretto di sala, il quale
invita, in particolar modo, a riflettere su quanto ancora sia necessario
prodigarsi per quei titoli dimenticati e raramente rappresentati. Nel caso
specifico, il Teatro Lirico di Cagliari ha dato il suo importante contributo
affinché Boito non sia ricordato solo come il librettista di Giuseppe Verdi.
La storia di Nerone rivive a cento anni dalla sua prima rappresentazione alla
Scala di Milano (1924), dopo lultima messinscena in Italia al San Carlo di
Napoli (1957) e lesecuzione in forma di concerto allAuditorium della Rai di
Torino (1975).
Lopera arriva per la prima volta in Sardegna
misurandosi con il legame che unisce questa terra allultimo imperatore della
dinastia giulio-claudia. È infatti il 1911 quando durante degli scavi nella
città di Olbia – luogo in cui la concubina di Nerone, Claudia Atte, era stata
esiliata quando limperatore aveva sposato Poppea – viene rinvenuta una testa
in marmo di età romana raffigurante Nerone negli anni della sua presa del
potere (54-59 d.C.). Il suddetto volto marmoreo è ad oggi conservato nel Museo
Archeologico di Cagliari e ripreso, come sorta di omaggio alla città, nella
scenografia dello spettacolo: appare al centro del sipario calato a ogni
chiusura di atto e adornato dalla reiterazione del saluto romano Ave,
nel fregio del tempio di Simon Mago dellatto II, e ancora come
protagonista in un altorilievo fra il colonnato dello spoliarium
dellatto IV.
Un momento dello spettacolo
© Priamo Tolu
Il progetto registico di Fabio Ceresa è
un approfondimento della romanità antica senza rinunciare alla riflessione sul
passato recente: avvalendosi delle scene di Tiziano Santi, realizzate
con Veronica Lattuada, Ceresa fa convivere antichità e Novecento nel
tentativo di immaginare come allepoca di Boito venisse inteso il mondo
classico. Le scenografie sono maestose e al contempo essenziali, curate nel
dettaglio, e capaci di conquistare il pubblico che si ritrova meravigliosamente
immerso nei mondi ricreati dallautore. Il primo fra questi mondi è quello di
Nerone e della società imperiale, rappresentati nellatto I con le rovine di
antichi monumenti, colonne, e aquile simbolo di sovranità, dominio sui popoli e
regalità. Quello stesso sentimento di potere ritorna nellatto IV – siamo ancora
nella dimensione neroniana – ambientato non nel Circo Massimo, come previsto
dal libretto, ma nel Colosseo quadrato (edificio monumentale che si trova nel
moderno quartiere romano dellEUR concepito nel 1937), posizionato sul fondo
della scena. Il secondo mondo è quello di Simon Mago e della sua aspirazione
alla chiesa-istituzione che si traduce non a caso nella Basilica dei Santi
Pietro e Paolo dellatto II. Il terzo e ultimo mondo è quello di Fanuèl che
incarna il cristianesimo delle origini, e la cui semplicità e povertà emergono
da una scena pressoché spoglia nellorto dellatto III. A ognuno dunque il
proprio universo ma anche la propria corona: sontuosa e regale quella di
Nerone, tiara papale per Simon Mago e di spine per Fanuèl.
Un momento dello spettacolo
© Priamo Tolu
Nerone è opera di contrasti,
di ambiti antitetici e non conciliabili. Il dualismo paganesimo-cristianesimo
si impone fin dallinizio del lavoro, evidenziato dal disegno luci di Daniele
Naldi. Giochi di colori si avvicendano continuamente con il
progredire dellazione e la successione dei mondi ricreano particolari
atmosfere: i colori caldi (luce gialla, a tratti arancione) illuminano lorto
dellatto III dando vita a «unaura di soave pace» di cui Boito parla nelle sue
particolareggiate indicazioni; i colori freddi accompagnano lingresso in scena
del finto cieco Simon Mago, trasformando la luce di quello stesso orto in una
«densa penombra». Efficaci anche le coreografie di Mattia
Agatiello. Degno di nota, in particolare, è il movimento del corpo di ballo
durante il duetto dellatto I tra i due baritoni che ostinatamente si destreggia
tra Simon Mago e Fanuèl traducendo la concitazione musicale e lo scontro fra i
due. Parimenti i costumi curati da Claudia Pernigotti sono indispensabili per
collocare la vicenda sia nella Roma imperiale (gli abiti sfarzosi delle donne
romane e di Asteria, le semplici vesti dei cristiani, di Fanuèl e Rubria), che
in quella novecentesca (ad esempio Tigellino e il suo abito che ricorda quello
di un aviatore dei primi anni del XX secolo).
Cosa dire del lavoro del direttore
dorchestra Francesco Cilluffo?
Abilmente fa emergere quella musica così eloquente e innovativa
dietro cui si nasconde una stratificazione qui quanto mai valorizzata e per
nulla imbrogliata. Le scelte sonore sembrano rifarsi a quello spettro cromatico
conservato fra le carte del compositore in cui si relazionano fra loro
tonalità, colori e timbri strumentali; le molteplici tinte, quindi i colori
della partitura, affiorano dal brillante suono dellorchestra generando nello
spettatore determinate associazioni nelle differenti scene dello spettacolo.
Un momento dello spettacolo
© Priamo Tolu
Tra i cantanti, guidati con notevole
precisione e cura da Cilluffo, Mikheil Sheshaberidze dimostra potenza
vocale e notevole impegno nellesigente ruolo di Nerone, benché non riesca a
penetrare del tutto nella parte. In alcune occasioni i movimenti sembrano
impacciati, come nel caso della scena con Asteria nellatto II, e in chiusura
dellatto I quando non sembra credere abbastanza nel suo trionfo. Ben funziona
invece il suo ingresso nellatto I in cui incarna tutta lagitazione possibile,
perseguitato dalle Erinni di sua madre Agrippina che indossano inquietanti
maschere bianche tipiche del teatro romano. Altro discorso per Franco
Vassallo: incisivo e sicuro sia vocalmente che sulla scena si presta a
unottima caratterizzazione del personaggio di Simon Mago, vero malvagio nemico
del dramma. Fanuèl è Roberto Frontali, la più efficace fra le figure
maschili, apprezzabile per la delicatezza, naturalezza e qualità di stile nel
difendere premurosamente i suoi fratelli cristiani. Coinvolgente il dolcissimo
duetto con Rubria agonizzante interpretata da Deniz Uzun: il
mezzosoprano conquista con un canto morbido in linea con il ruolo di una povera
fanciulla indifesa e destinata a morire. Al contrario, Valentina Boi è
una potente e sacrilega Asteria, il cui sensualismo sfrenato emerge nella scena
con Simon Mago e a seguire con Nerone nellatto II. Completano abilmente il
cast Antonino Giacobbe (Dositèo/Voce delloracolo), Natalia Gavrilan (Pèrside/Cerinto/Prima
voce di donna), Fiorenzo Tornincasa (Primo viandante/Il
Tempiere/Voce di tenore), Nicola Ebau (Secondo viandante/Lo
schiavo ammonitore/Voce di basso) e Francesca Zanatta (Seconda
voce di donna) e Luana Spìnola (Terza voce di donna). Lodevole
anche il coro guidato da Giovanni Andreoli.
Degna di nota è la presenza in scena di un
giovane interamente dorato, pressoché nudo, con indosso la tipica clamide,
mantello degli efebi nellantichità greco-romana, di colore viola: tenendo in
braccio una lira accompagna Nerone fin dallinizio dellopera come fosse una
sua ombra, o forse più precisamente Apollo, essendo colui che aveva ordinato a
Oreste di vendicare la morte del padre con lomicidio della madre. Boito fin
dallinizio sovrappone Nerone e Oreste: nellatto I si sente infatti quel grido
ferale «Nerone-Oreste! Il matricida». Ma la vera sorpresa Ceresa la riserva per la fine
dellopera dopo la morte di Rubria. Il colonnato con laltorilievo del volto di
Nerone si apre e ci si ritrova nuovamente di fronte al Colosseo quadrato e a
una scena tetra e minacciosa: una luce rossa viva, il fumo dellincendio che
divampa, morti ovunque e nel mezzo il trionfante Nerone intento a uccidere il
giovane Apollo. Questultimo, nella tragedia eschilea, aveva inconsapevolmente
partecipato alla condanna di Oreste perseguitato dalle Erinni dopo la morte di
sua madre, incubo che anche limperatore romano era stato costretto a vivere
dopo il suo matricidio. Lunica via di scampo pareva dunque versare altro
sangue e avere la meglio su Apollo che non era stato in grado di aiutare
Oreste, e sulle Erinni.
Un momento dello spettacolo
© Priamo Tolu
Ceresa permette a Nerone di rivendicare sé
stesso facendosi giustizia da sé senza ricorrere allaiuto di Atena Pallade, così
da uscirne come “vincitore”. Si conferma in questo modo quell«Arrigo Boito e
Kronos» che chiudeva lopera nellatto IV senza spingersi con la follia
dellimperatore circondato e maledetto dagli spettri nellincompiuto atto V. Tuttavia,
quellultima apertura di sipario fa pensare che ci sia ancora qualche speranza
per lultimo atto in cui Boito deve aver creduto fortemente, e i cui materiali
rimasti – come sottolinea Sala – «testimoniano un progetto ancora in fieri ma
tuttaltro che impreciso o incoerente» che ha dunque ragione di esistere e resistere.
Il Teatro Lirico di Cagliari ha proposto uno
spettacolo che cè da augurarsi non rimanga unoperazione fine a sé stessa e che
il Nerone possa rivivere ancora.
* Studentessa di Digital Humanities per la Storia dello Spettacolo nel corso di Scienze dello Spettacolo del Dipartimento, SAGAS.