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I profeti

di Giuseppe Gario
  I profeti
Data di pubblicazione su web 18/01/2024  

Servi-padroni di una sempre più invasiva informatizzazione, dal padre dell’intelligenza artificiale e Nobel per l’economia Herbert A. Simon sappiamo che «la matematica – questa specie di pensiero non verbale – è il linguaggio della scoperta. È lo strumento che utilizzo per arrivare a nuove idee. Questo tipo di matematica è relativamente poco rigoroso, dispersivo, euristico. L’esattezza delle soluzioni raggiunte col suo aiuto deve essere verificata». Per altri «la matematica era un linguaggio di verifica. La salvaguardia per garantire che le conclusioni erano esatte e che a esse si poteva arrivare in modo rigoroso». «Non sono mai riuscito a persuaderli che bisogna arrivare alle idee prima di poter garantire la loro esattezza, e che la logica della scoperta è ben diversa dalla logica della verifica». «Naturalmente è questo punto di vista che oggi prevale in economia e secondo me è un vero peccato per l’economia e il mondo che sia così» (H.A. Simon, Modelli per la mia vita, Milano, Rizzoli, 1992, p. 165). 

Verifica è «controllo», scoperta invece «acquisizione alla conoscenza e all’esperienza umana di luoghi, nozioni, fatti, oggetti, o anche di leggi, proprietà scientifiche, e sim., prima ignorati» (Treccani, vocabolario online). Di controllo e non di scoperta, la globalizzazione neoliberista è fallita. 

Nel 1932-1936, al culmine della Grande Depressione, Simon tentò col padre di allevare bestiame con erba, terreno e tecnica ad hoc. «Il nostro fallimento fu la chiara dimostrazione, che non ho mai più dimenticata, di come le teorie, non importa quanto plausibili ed “evidentemente” valide, possano andare in pezzi di fronte alla dura realtà di questo mondo». Il bestiame non mangiava quell’erba. «Non c’è dubbio che il profondo scetticismo che avrei dimostrato nella vita di fronte all’apriorismo dell’economia in generale traesse origine da questa esperienza» (Simon, Modelli per la mia vita, cit., p. 73). 

Più realista e «democratico del New Deal, probabilmente condizionato dal discorso inaugurale di Franklin Delano Roosevelt», nel 1937 fondò con altri all’università di Chicago il Progressive Club, inviso alla rivista del campus: «Quel che più si avvicina a un punto di vista comunistoide lo troviamo nel patrocinio di “Una legislazione per proteggere il consumatore, aiutare il diseredato, promuovere la stabilità economica, fornire un più adeguato sostegno all’istruzione, operare una più equa ripartizione della ricchezza e ridurre il dominio di coloro che godono di privilegi politici ed economici sulla vita economica della nazione”. Più significativi dei loro pro sono i contro dei Progressisti: opposizione a qualsiasi forma di fascismo o comunismo, azioni intese a minare il processo democratico, uso della coercizione e della violenza; istigazione alla lotta di classe; fomentazione del malanimo in vista di una sollevazione rivoluzionaria”» (Ivi, p. 182). I genocidi di Armeni turchi e Ebrei europei in due guerre mondiali sempre più tecnologiche hanno avvalorato questo programma. 

Nei primi anni Settanta, ricorda poi Simon, invitato a cena, «all’ora del cocktail, tanto per ravvivare la conversazione, dissi: “Immaginiamo che la tecnica dei computer si sia sviluppata a tal punto da poterli allevare come bambini e che sia loro possibile acquisire una cultura umana, e che l’unica differenza tra bambini computer e bambini in carne e ossa sia che i primi sono meno sensibili dei secondi alle malattie fisiche e mentali. A quel punto si tiene un referendum per decidere se le future generazioni dovranno essere di bambini computer o di bambini in carne e ossa. Come votereste?”. Nella stanza cadde improvvisamente un gelido silenzio. Marianne, la moglie di Jascha, la più cordiale e affettuosa di tutti gli esseri umani, era chiaramente irritata. Pensai che mi avrebbero cacciato senza cena. Gli scherzi che mettono alla prova i valori fondamentali dell’umanità non sono divertenti, specialmente se sfiorano troppo da vicino i valori umani respinti dal nazismo, coi suoi esperimenti medici e il suo rozzo disprezzo per la vita umana. Con la mia domanda io non avevo inteso sfidare quei valori, ma solo offrire un’occasione per spiegarli. Ma evidentemente avevo toccato un tasto molto sensibile che agiva su qualche corda in profondità. Mi affrettai a fare marcia indietro e così ebbi la mia cena» (ivi, p. 163). 

Non parlandone, quei valori sono tuttora negati e interi popoli sono privati della cena e spesso della vita, anche con la guerra in Europa e Medio Oriente, stragi di innocenti incluse. Nel Mediterraneo ridivenuto un cimitero, il laboratorio Italia vagheggia il ritorno alla lira, zattera di salvataggio di una economia al traino, logica aziendalistica di governo nel mondo in cui già nel 1878 Charles Sanders Peirce, dipendente di U.S. Coast and Geodelic Survey, capì che il governo è «addomesticamento del caso, cioè il modo in cui eventi apparentemente casuali o irregolari sono stati riportati sotto il controllo di leggi naturali o sociali. Il mondo non è diventato per questo più incerto, al contrario» (I. Acking, Il caso domato, Milano, Il Saggiatore, 1994, p. 12). 

«Quello che voglio sapere è quanto è affidabile la mia prossima inferenza, non che il mio metodo di inferenza porta a conclusioni vere il più delle volte. “Un’inferenza particolare deve essere vera o falsa, senza coinvolgere delle probabilità; quindi, se considerata in riferimento a un singolo caso preso isolatamente, la probabilità può non avere alcun significato. Eppure, se una persona dovesse scegliere tra l’estrazione di una carta da un mazzo di venticinque carte rosse e una nera, o da un mazzo di venticinque carte nere e una rossa, e se l’estrazione di una carta rossa contemplasse per lui la felicità eterna e quella di una carta nera eterno dolore, sarebbe una follia negare che dovrebbe preferire il mazzo con più carte rosse, anche se per la natura del rischio non potesse ripeterlo. Non è facile riconciliare questo fatto con la nostra analisi del caso”. La risposta data da Peirce è degna di nota. “L’inevitabile conclusione mi sembra essere che la logicità richiede inesorabilmente che i nostri interessi non siano limitati. Non devono fermarsi al nostro destino personale, ma comprendere l’intera comunità. Questa comunità non deve a sua volta essere limitata, ma comprendere tutte le razze e gli esseri con cui possiamo entrare in relazione intellettuale mediata o immediata… Niente ci impedisce nei fatti di nutrire la speranza, o il pacato e benevolo augurio, che la comunità possa durare oltre qualunque limite prefissato”». Ben prima della globalizzazione, «un uomo solitario e burbero come Peirce sosteneva che il “ragionamento presuppone un sentimento sociale”. Nella sua prima serie importante di saggi leggiamo che “questa concezione comporta essenzialmente la nozione di una COMUNITÀ, senza limiti definiti e capace di un aumento indefinito nella conoscenza”» (ivi, p. 318). 

È la promessa tradita della globalizzazione neoliberista. 

«Solo i rendiconti bancari e i registri dei crediti sono esatti, diceva Peirce, non le costanti della natura. Smettiamola di cercare di modellare il mondo, come abbiamo fatto fin dai tempi di Descartes, come se fossimo dei bottegai. Le “costanti” sono solo delle variabili soggette al caso che si sono stabilizzate nel corso dell’evoluzione delle leggi». «La nostra capacità di compiere ricerche di natura astratta è frutto dell’evoluzione, ma il suo valore è irrilevante per la sopravvivenza. Dovremmo piuttosto pensare che le capacità mentali si evolvano parallelamente all’evoluzione delle leggi dell’universo. Queste ultime possono essere scoperte perché le nostre menti si sono evolute allo stesso modo. Peirce chiamava tutto questo “amore evolutivo”» (ivi, pp. 321-322). 

Siamo «entrati in una nuova fase della storia umana; non la fine dei tempi, ma la fine di un tempo. Se dovessi fermare sull’orologio l’istante del passaggio, direi: Hiroshima, 1945» (J. Guitton, Il mio secolo la mia vita, Milano, Rusconi, 1990, p. 8). Oggi dobbiamo aggiungere: cambiamento climatico. Peirce fu profeta della globalizzazione. I profeti sono necessari, anzi utili. 

I profeti è un volume pubblicato nel 1917 dal biblista e storico delle religioni Herman Gunkel, professore a Giessen (Firenze, Sansoni, 1967). «La divina missione del profeta sarà riconosciuta dal compimento delle sue parole» (ivi, p. 120) ed è «necessario, innanzi tutto, determinare esattamente quali siano stati gli avvenimenti dell’immediato futuro che egli ha annunciato» (ivi, p. 121). «Sfera peculiare dell’attività dei profeti è stata, infatti, la politica» (ivi, p. 153). Con Amos «la cosa essenziale è che Dio vuole la giustizia» (ivi, p. 174). «Come Amos, così anche il suo più giovane contemporaneo, Osea, predice la fine del popolo e della casa regnante». «Anche per Osea, la vera ragione di questa terribile profezia sono i peccati d’Israele. Ma, mentre Amos si scaglia con tutta la sua rabbia contro le ingiustizie sociali della vita del popolo, Osea, con uno sguardo ancora più profondo, comprende che la vera malattia d’Israele consiste nel fatto che, pur nominando così spesso il nome di Yahveh, in realtà, esso serve Ba’al!» (ivi, p. 175). 

Ba’al è, «presso i Semiti, nome o epiteto della divinità concepita come proprietaria o protettrice di un luogo o altrimenti caratterizzata» (Treccani, vocabolario online). Malata è la cieca difesa dell’ordine esistente. Docente di economia alla New York School for Social Research, Clara Mattei la individua nella austerità instaurata nel primo dopoguerra. «Nel 1920, Pantaleoni dichiarò apertamente che il processo decisionale politico non poteva essere allo stesso tempo popolare e capace di portare a risultati economicamente auspicabili. Il problema della democrazia politica era che la gente non capiva quale fosse il suo vero interesse, dunque doveva essere tenuta lontana dalle decisioni economiche per il suo stesso bene. A tutt’oggi, le politiche di austerità rimangono legate alla volontà di proteggere la governance economica dall’opinione popolare, di impedire all’economia di diventare politica» (C.E. Mattei, Operazione austerità. Come gli economisti hanno aperto la strada al fascismo, Torino, Einaudi 2022, p. 187). Oggi il laboratorio Italia sta coi produttori di ricchezza – solo ascensore sociale il merito – e Banca d’Italia e BCE ci informano che il 5% delle famiglie detiene il 46% della ricchezza netta totale (M. Merlini, La Repubblica delle diseguaglianze, in «Collettiva», 12 gennaio 2024, on line). 

Nel 2022 Mattei previde che «l’aumento dei deficit pubblici dovuto al Covid richiederà nel prossimo futuro una nuova austerità. Nel febbraio 2021 l’economista di Harvard Summers parlando a Princeton dei rischi inflazionistici della proposta dell’amministrazione Biden di destinare uno stimolo in contanti alla popolazione degli Stati Uniti, dichiarò pubblicamente che di tali stimoli “non vi [era] alcun motivo economico” (intervista a “Bloomberg Wall Street Week”, 5 marzo 2021, minuto 55). Se i governi dovessero offrire alle famiglie “più di quanto necessitano”, le spese di quelle famiglie turberebbero il delicato equilibrio dell’economia: “[L]a propensione [delle famiglie della classe media] a spendere sarebbe molto superiore alla propensione a spendere che solitamente gli economisti stimano derivante dalla ricchezza che è alimentata dalle fluttuazioni del mercato azionario”. Le spese di gente che non dovrebbe spendere, avverte in altre parole Summers, provocherebbero un danno inflazionistico all’economia dei ricchi». «Non si tratta di idee sbagliate o irrazionali di per sé. Sono semplicemente l’espressione di una visione del mondo chiarissima, il cui primato è preservato attraverso un progetto di austerità economica ormai secolare. Si tratta di una visione del mondo che è solidamente fondata sulle teorie più tristi della scienza triste, quelle che tengono le persone intrappolate all’interno dello statu quo» (Mattei, Operazione austerità, cit., p. 293). 

Lo statu quo è che «autodistruzione nucleare, progressivo degrado dell’ambiente a livello planetario, terrorismo internazionale oppure mercato unico mondiale, diffusione dei diritti umani, incontri tra civiltà diverse non rappresentano scenari obbligati, ma la discussione su queste prospettive riguarda potenzialmente tutti gli esseri umani, dovunque si trovino e comunque vivano. Per la prima volta, l’umanità ha o potrebbe avere un destino unico: da qui viene forse la sfida più grande per la storia, la sfida a saldare frammentarietà e globalità» (A. Giovagnoli, Storia e globalizzazione, Roma-Bari, Laterza, 2017, p. 241). Sul sentiero etico tracciato dai profeti, scientificamente disegnato da Charles Sanders Pierce e politicamente aggiornato da Agostino Giovagnoli, l’agenda è quella indicata sessanta anni fa dallo storico Carlo M. Cipolla: «“istruire un selvaggio nell’uso di tecniche più avanzate non lo trasforma in una persona civilizzata, ma ne fa solo un selvaggio più efficiente”. Il progresso etico deve accompagnarsi allo sviluppo tecnico ed economico. Mentre insegniamo le tecniche, dobbiamo insegnare anche il rispetto per la dignità e il valore e il carattere sacro della personalità umana. Se non vogliamo che la fine sia peggiore dell’inizio è necessario intraprendere un’azione urgente» (C.M. Cipolla, Uomini, tecniche, economie, Milano, Feltrinelli, 1966, p. 142). 

Sovrastatale e sovranazionale ma non imperiale come Federazione Russa, Cina, USA, eredi della politica di potenza nata in Europa, l’UE trae forza dal libero consenso di noi elettori europei, chiamati il prossimo giugno a decidere se rafforzare la democrazia o lasciarla scadere a lobby interstatuale di servizio agli interessi dominanti. Mattei (Operazione austerità, cit., p. 8) cita un illuminante passo di John Maynard Keynes (da Reconstruction in Europe, in «Manchester Guardian Commercial», 8 maggio 1922): «Anche se gli economisti e i tecnici conoscessero il rimedio segreto, non potrebbero applicarlo prima di aver persuaso i politici; e i politici, che hanno orecchie ma non occhi, non si lasceranno persuadere fino a quando tale persuasione non corrisponderà a un riverbero del grande pubblico». È il nostro caso. 

L’Europa si conferma madre delle rivoluzioni, vocazione faticosa ma appassionante, e positiva.






 
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