Forme evanescenti,
ombre guizzanti e sagome nere di corpi umani, accanto agli oggetti del quotidiano,
ai lampi tenui degli schermi-video, alle luci di piccole lanterne e alle atmosfere
segnate da tinte giapponesi, definiscono il tracciato di una singolare dimora
dei ricordi. È questa lambientazione di House
of Us. Part I - The Mother, il personale viaggio teatrale creato
da Irina Brook e presentato a
Venezia, presso la Casa dei Tre Oci alla Giudecca; si tratta di un progetto che
ha già preso vita nel settembre 2021 presso il Palazzo SantElia a Palermo, con
il sostegno del Teatro Biondo e degli allievi della scuola, e che ora rivive in
una nuova versione sostenuta dal Teatro Stabile del Veneto - Teatro Nazionale e
da altri enti culturali. Anche stavolta limpegno delleclettica artista si
collega a un programma di formazione per giovani attori dellAccademia Teatrale
e per futuri scenografi provenienti dallAccademia di Belle Arti. Gli
spettatori entrano in piccoli gruppi e partecipano a un avvenimento misterioso
che ha uno sviluppo libero e variabile.
In
questa prima fase la performance pone al centro la relazione di Irina con la memoria
della madre, vale a dire con Natasha
Parry, lappassionata attrice scomparsa nel 2015 che ha interpretato tanti
capolavori con la direzione di Peter
Brook. Entrando nella Casa-museo veneziana ci si trova subito nella «Sala delle ombre, del letto e della spirale»,
dove le icone dipinte dalla regista accentuano il senso di solitudine e di
nostalgia sofferto da una donna che amava il teatro a dismisura: un letto
sospeso oscilla leggero nel vuoto, circondato da una valigia, dai libri, dalle
grucce senza vestiti, immagini di una partenza ricorrente che per la figlia si
traduce in assenza, in lontananza. Nella stanza laterale, nel «Camerino della
madre», una sedia vuota e una specchiera per il trucco paiono reperti di un
ambiente evanescente, appena segnato da fotografie sparse e da reperti dei
trionfi teatrali, a cominciare dal memorabile successo avuto con le recite de Il giardino dei ciliegi di Čechov al Théâtre des Bouffes du
Nord di Parigi.
Una scena dello spettacolo © Serena Pea
Salendo al primo piano si apre la «Sala degli
specchi e del pianoforte», una stanza in forte penombra che alle pareti mostra una
serie di specchi sciupati; qui i dieci bravi attori esordienti ondeggiano
intorno alla figura logora e emaciata dellattore Geoffrey Carey, intento a declamare in modo soffuso, con un tono derisorio,
frammenti di testi shakespeariani. Dal volteggiare dei corpi e
dallaccavallarsi delle voci proviene gradualmente la necessità di prendere le
distanze dallo schematismo interpretativo e, soprattutto, dallegemonia dei
maestri, tanto più quando costoro comprimono gli impulsi creativi dei propri
figli. Limpeccabile Carey, ad esempio, nella sua «Stanza» oscura, stracolma di
scuri imballaggi, mentre apre la scatola degli oggetti
infantili, sussurra la sconvolgente sofferenza di un fanciullo
che racconta le prevaricazioni del padre, unautoritaria star delle soap hollywoodiane, prima di trovare il
coraggio di fuggire a Parigi. Anche nella «Cucina di Irina» saffastellano tanti
reperti della nostalgia e si elencano brani di letture che esplorano lessenza
del vivere, che esprimono il desiderio di migliorare il mondo. E ancora la «Stanza
di Kostia», in cui emerge il difficile conflitto artistico tra le generazioni, attraverso
il dramma di Konstantin Treplev ne Il
gabbiano, schiacciato dalla sfiducia di una madre artista famosa.
Una scena dello spettacolo © Serena Pea
Nel salone centrale si
ricompone la comunità degli attori e degli spettatori; si recita, si canta, si
sogna sulla scia delle citazioni dai capolavori di Čechov, sperando di diradare loscurità che si è insinuata
nei cuori degli uomini, come dichiarano le parole di un anonimo: «Quando diventi il sole, le ombre spariscono». Dopo la discesa verso il
piano terra Carey compone una danza a «spirale» in un labirinto di candele, un
cammino intimo e silenzioso, prima che ciascun ospite sia invitato a liberare i
pensieri più sinceri, scrivendo il nome di una persona cara su un foglio che
una navicella a forma di casa lascia navigare sopra lacqua di una vasca oscura,
un gesto che sispira alla «cerimonia giapponese Obon». Il saluto di Irina Brook, che merita lapprezzamento per la
sua creazione autobiografica, somiglia a un arrivederci, perché si accinge a
preparare altre due tappe della sua House of Us: nei prossimi anni sono previste, infatti, una Part II -
The Son, dedicata alla condizione
giovanile, e una Part III - The Daughter
sulla meraviglia e sullimmaginazione.
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