Con ben cinque candidature agli Oscar 2021, Il
processo ai Chicago 7 si conferma uno dei titoli più interessanti del 2020.
Prodotto dalla Dreamworks e distribuito dallormai onnipresente Netflix,
lultimo film del premio Oscar Aaron Sorkin offre unimportante
riflessione sulla società americana contemporanea nonostante lambientazione
rifletta i movimenti culturali e politici della fine degli anni Sessanta.
Ispirata a una storia vera, la pellicola è figlia di un processo produttivo
lungo e travagliato: nata da unidea di Steven Spielberg nel 2006, fu pensata
per luscita nelle sale in vista delle presidenziali del 2008. Spielberg stesso
coinvolse Sorkin come sceneggiatore prima di “cedergli” la regia e di ritagliarsi
un ruolo nella produzione. Una scena del film
In occasione della Convention Nazionale Democratica di
Chicago del 1968, un gruppo di attivisti organizza una massiccia protesta contro
la guerra in Vietnam che sfocerà in un bilancio di circa cinquecento feriti. Otto
uomini – tra cui il co-fondatore del Black Panther Party Bobby Seale (Yahya
Abdul-Mateen II), Abbie Hoffman (Sacha Baron Cohen) dello
Youth International Party e Tom Hayden (Eddie Redmayne) del
movimento Students for a Democratic Society – vengono trascinati in tribunale
con laccusa di incitamento alla sommossa e cospirazionismo. I personaggi vengono
presentati con un montaggio parallelo nel periodo subito precedente la rivolta,
attraverso lutilizzo del flashback. Il “processo farsa”, o “processo
politico” sulla falsariga dellaffare Dreyfus o di quello contro Sacco
e Vanzetti, si rivela fin da subito una vera e propria
trappola, con il giudice Hoffman (Frank Langella) nei panni del maestro
dorchestra e il procuratore Richard Schultz (Joseph Gordon-Levitt) in
quello di primo violino. Lo scopo di tutta la messinscena è quello di elargire
una punizione esemplare nei confronti dei capri espiatori, creando un vero e
proprio deterrente per il futuro. Uno degli imputati afferma infatti: «Non
siamo stati arrestati. Siamo stati scelti». Nel frattempo, fuori dalle aule del
tribunale, una folla indiavolata grida il mantra “The Whole World is Watching”.
Il processo ai Chicago 7 inizia con
un dirompente agglomerato di immagini di repertorio che introducono lo
spettatore nel contesto di disordine e di violenza raccontato: dalla chiamata
alle armi del presidente Johnson agli assassinii di Martin Luther
King e di Bob Kennedy fino alle sequenze coppoliane dell“apocalisse”
del napalm in Vietnam. Unoverture antimilitarista ben gestita con un
ritmo serrato e un efficace e intelligente montaggio sonoro, sintesi del
periodo di profondi mutamenti sociopolitici e culturali (in prima fila nel
corteo di protesta figura anche Allen Ginsberg) durante il primo anno
del governo Nixon. La punta di
diamante dellintero apparato drammaturgico coincide sicuramente con i dialoghi
serrati e dinamici, gestiti in maniera brillante da un cast eccezionale, tra tutti Baron Cohen, Langella e
leccellente Michael Keaton nel ruolo dellex procuratore Ramsey
Clark, forse lunico personaggio degno dellappellativo di eroe. Daltronde
Sorkin ha dimostrato già in passato la sua maestria come sceneggiatore sia per
la televisione – con la fortunatissima serie The West Wing (1999-2006) –
sia per il cinema con The Social Network (2010). A incidere sulla messa
in scena la predilezione per gli ambienti chiusi (non a caso il regista per un
periodo volle ridurre lo script a pièce).
Una scena del film
Il momento più drammatico, lampante riferimento al
movimento attivista dei Black Lives Matter, concerne il trattamento
riservato allirruente imputato afroamericano Seale, allontanato momentaneamente
dallaula per essere poi ivi riportato legato e imbavagliato: uno degli
avvocati, impietrito, si accerta che riesca a respirare, evidente riferimento
al recente caso George Floyd. Se si volesse rintracciare invece nel film
un tallone dAchille, lo si individuerebbe nel finale autocompiaciuto: la
cosiddetta “americanata” che tuttavia – complice il commento sonoro – favorisce
il sicuro coinvolgimento emotivo dello spettatore. Sebbene la rappresentazione
della sinistra radicale americana appaia un po stereotipata, va riconosciuto al
regista il merito di averla trasposta sullo schermo nella sua incapacità di
essere “assimilabile” né ai liberali né ai conservatori – un po come a suo
modo il personaggio interpretato da Stefano Satta Flores in Ceravamo
tanto amati (1974) – non riuscendo quindi, nemmeno nellaula di tribunale,
ad avere una voce unica come rappresentanza.
Parliamo insomma di un film a suo modo complesso nella
lettura più profonda, che si scaglia contro le istituzioni repressive e
conservative attuali. Quando lavvocato Shultz domanda a Abbie se questi
disprezzi il proprio governo, limputato risponde: «Le istituzioni della nostra
democrazia sono straordinarie, ma ora sono gestite da persone orribili».
Cordiali saluti al signor Trump.
|
|