In occasione del centenario dalla propria fondazione lAmerican Society of Cinematographers (ASC) ha dedicato la copertina di «American Cinematographer» – e una lunga intervista – a Vittorio Storaro, che nel 2020 ha compiuto ottantanni. A margine di questo “speciale”, curato da Terry McCarthy (pp. 24-37), in appositi box alcuni fra i maggiori colleghi contemporanei del maestro ne tessono le lodi, sia artistiche sia umane: da Roger Deakins a Robert Richardson, da Ed Lachman a Janusz Kaminski, tutti ne sottolineano le speciali qualità nel creare complesse relazioni e composizioni visive tra luci e ombre, lattitudine a lavorare in stretto, virtuoso rapporto con i registi e la determinante influenza che, a propria volta, ha avuto su di loro. Storaro
e i suoi registi
significa raccontare il lavoro del maestro romano lungo oltre cinquantanni: in
particolare con Bernardo Bertolucci, Francis Ford Coppola e Warren
Beatty. Con il primo, Storaro iniziò a lavorare per Prima della
rivoluzione (1964) quale assistente di Aldo Scavarda, mentre come
responsabile della fotografia ha realizzato otto film (da Strategia del
ragno, 1970, a Piccolo Buddha, 1993, toccando il vertice con Il
conformista, 1970, e con Novecento, 1976, ma vincendo lOscar
con Lultimo imperatore, 1987, nellinsieme meno felice degli altri ma
assai ricco di immagini, luci e colori di splendida fattura). Attualmente sta lavorando a nuovi restauri dei dieci film che complessivamente ha realizzato con Bertolucci. Per la conservazione dei film si avvale di un sistema denominato DOTS (Digital Optical Technology System): un nastro in lega di metallo non magnetico immune dai campi elettromagnetici, equivalente digitale delle separazioni del bianco e nero, prodotto dagli studi Eastman Kodak e concepito per durare qualcosa come duemila anni. Ultimamente Storaro ha ultimato il restauro de Il conformista e sta per completare quello de Lultimo imperatore (almeno a far data al periodo dellintervista rilasciata ad «American Cinematographer»).
Con
Coppola sono quattro i film realizzati e con Beatty tre: se i due Oscar sono
stati ovviamente assegnati rispettivamente per Apocalypse Now (1979) e
per Reds (1981), notevole è anche il lavoro per One from the Heart
(Coppola, 1982) e per Dick Tracy (Beatty, 1990).
Di
ciascuno dei tre registi citati nellintervista, Storaro offre dapprima un
sintetico quanto preciso profilo artistico e di personalità: Bertolucci, figlio
di poeta e poeta egli stesso, scrive attraverso la macchina da presa la storia
poetica di un film; Coppola, figlio di immigrati, punta stilisticamente sul colore
e sulle emozioni; Beatty, in primo luogo attore, è interessato a mettere in
rilievo il personaggio principale e così in Reds si identifica con John
Reed convertendo in film la scrittura del giornalista americano (il
suo celebre Dieci giorni che sconvolsero il mondo).
Capace
di rifiutare E.T. (Spielberg, 1982), salvo poi sentirsi dire dai suoi
figli: «perché non hai fatto tu un film come questo?», Storaro ha sempre tenuto
fede a una massima di Jean Cocteau (citata nel dossier di «American Cinematographer») secondo la quale il cinema è un sogno
che si sogna insieme. Così ha continuato a ritenere che non tutti i cinematographers
possano lavorare con tutti i registi (e viceversa) ed è necessario entrare
in un regime di relazioni speciali tra le parti. Proprio ciò che, come si è
detto, gli riconoscono i colleghi fra le molte sue virtù.
Nellintervista
a McCarthy Storaro offre notizie
e osservazioni di grande interesse su alcuni dei suoi più importanti film: dallidea
di utilizzare delle tende alla veneziana per schermare lilluminazione di una
delle scene del Il conformista, dove labito a righe bianche e
nere della Sandrelli intensifica gli effetti della luce (e delle ombre),
alla soluzione, introdotta nello stesso film, di lasciare in una profonda zona
di ombra la figura del professor Quadri (Enzo Tarascio) mentre parla con
Marcello Clerici (Jean-Louis Trintignant, inquadrato con maggiore
illuminazione), come a evocare il platonico mito della caverna.
Il
primo incontro con Bertolucci fu fulminante, racconta Storaro: avevano entrambi
poco più di ventanni e il cinematographer rimase folgorato nel vedere il
maestro parmense che studiava uninquadratura e preparava il set attraverso il
tipico mirino (il viewfinder) del fotografo («Oh mio Dio, non avevo mai
visto fare una cosa simile a un regista»). Già a partire da quel primo set del 1964 Storaro modificò o
cominciò a modificare il proprio modo di essere un, allepoca, operatore alla
macchina. Daltra parte – ricorda – Bertolucci era già così meticoloso da
indirizzare e influenzare subito il futuro lavoro del grande autore di
fotografia. Al tempo della lavorazione de Il conformista, i due cineasti concordarono con
la scelta di ricorrere a una definizione monocromatica per le scene ambientate
nellItalia fascista e a unimmersione nei colori – a esempio il blu del cielo
– per le scene ambientate nella Parigi libera e pre-bellica, con Storaro che si
ispirò in particolare a De Chirico per le scene romane. Bertolucci gli
suggerì di andare a vedere La caduta degli dei (Visconti, 1969)
perché riteneva di voler andare in quella direzione visuale, ma Storaro preferì
non farlo perché aveva unidea molto forte su come realizzare il “proprio” film
e non voleva cambiare direzione. Bertolucci cedette: bisognava avere unidea davvero
forte per trovare il coraggio di dire una cosa tale a un regista del genere.
Uno
dei maggiori aspetti fra quelli che hanno connotato il rapporto con Bertolucci risiede,
dice ancora Storaro, nellaver condiviso un atteggiamento non sempre
necessariamente conscio o razionalmente consapevole nellorganizzare la messa
in film; come se entrambi si trovassero in una dimensione fortemente onirica. A
propria volta Bertolucci ha affermato che Storaro è stato come la sua coscienza
e che con il suo stile di illuminazione delle scene ha costruito i colori, le
ombre e la luce delle inquadrature dei suoi film.
A
proprio modo anche la collaborazione con Coppola ebbe avvio attraverso il
tramite del sogno, insito nello scopo, da parte del regista, di realizzare un
film impegnativo e grandioso quale Apocalypse Now. Tra laltro Storaro
dovette allinizio superare limbarazzo di essere stato scelto in luogo
dellabituale, altrettanto geniale cinematographer di Coppola, Gordon
Willis, il quale peraltro agevolò molto il suo rapporto con Coppola e
lavvio della lavorazione del film. Come noto da quel momento la loro collaborazione
è proseguita per diversi anni (e diversi film). Uno degli aspetti che Storaro
sottolinea di più è la capacità del regista statunitense di aprirgli
continuamente la mente e la fantasia, con grande libertà.
Infine
lattenzione si concentra su Warren Beatty. Questi, essendo in prima istanza
attore, recitò di fronte a Storaro, per almeno due ore, quel che sarebbe
diventato Reds, anziché
raccontargli la sceneggiatura. Dopodiché Beatty iniziò la vera e propria
lavorazione del film, convocando tutti i giorni insieme anche lo scenografo, il
costumista e il montatore e discutendo con loro ogni singola scena, assumendo
un punto di vista privilegiato – quello del personaggio – attraverso il quale
guardare alla storia del film. Sul set di Reds Storaro conobbe
linventore della steadycam, Garrett Brown, divenendone amico. Poi
vennero gli anni dei film con Carlos Saura e in seguito quelli con Woody Allen, sodalizio che prosegue
ancora oggi. Rimanendo fedele allidea che, pur essendo un film opera di
più menti, cè solo un “direttore” ed è il regista. «Io (Storaro) sono un cinematographer!
(e, dunque, non un “direttore”…)».
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