Formatasi con Nanni Moretti presso la Sacher Film, Susanna
Nicchiarelli, classe 1975, ripropone nella coproduzione italo-belga Miss Marx le tematiche che da sempre permeano
la sua filmografia: luniverso femminile (Il terzo occhio, 2003; Nico, 1988, 2017), la politica (dal suo esordio
con Cosmonauta, 2009, fino a La scoperta dellalba, 2013). La sua ultima fatica, un biopic
sulla figura di Eleanor Marx, si aggiudica il premio FEDIC,
conferito dalla Federazione italiana dei cineclub. Qui
la regista romana, sceneggiatrice unica del film, ricostruisce filologicamente
i dialoghi partendo dalla corrispondenza dellattivista inglese. A interpretare
la protagonista è Romola Garai, a suo agio nelle pellicole ambientate
nella Gran Bretagna del XIX secolo, come in Nicholas Nickleby (2002) di Douglas
McGrath, tratto dallomonimo romanzo (1838) di Dickens, e come in Vanity
Fair (2004) di Mira Nair, da Thackeray (1848).
Una scena del film © Biennale Cinema 2020
Sono
i moti rivoluzionari del 1848 la causa del trasferimento dei coniugi Marx da
Bruxelles a Londra. A causa di problemi finanziari, la famiglia prende possesso
di un più che modesto appartamento bifamiliare nel quartiere di Soho, allepoca
pullulante di emigrati in difficoltà economiche. In questo complesso contesto
sociale e ambientale, nel 1855 nasce Eleanor. Il film comincia proprio con il
funerale dellidolatrata figura paterna Karl (Philip Gröning):
una scelta autoriale che mette subito in chiaro la volontà di concentrarsi
esclusivamente sulla figlia più giovane del filosofo tedesco. Sin da bambina
avviata alle idee razionaliste e socialiste del padre, “Tussy” sviluppa un
precoce pensiero critico che si tradurrà in una strenua ed eroica battaglia, nel
nome del socialismo, per i diritti dei lavoratori e delle donne. Le vicende
prendono vita nellInghilterra vittoriana, portatrice (mal)sana di ipocrisie e
sfruttamenti, la stessa magistralmente narrata da Dickens in Oliver Twist (1837), David Copperfield (1849-1850) e Hard Times - For These Times (1854).
Una scena del film © Biennale Cinema 2020
Parallelamente
alle battaglie per luguaglianza sociale e di genere, la Nicchiarelli focalizza
lattenzione sulla (meno lucida) battaglia coniugale di Tussy con il già
sposato Edward Aveling ( Patrick Kennedy). Drammaturgo e attivista
che si distinse nella lotta per la creazione dei primi sindacati per gli operai
e per i disoccupati, fu considerato dalla donna infantile, privo di moralità e
orgoglio. La sintesi perfetta della loro relazione ci viene restituita attraverso
una performance teatrale eseguita dalla coppia davanti a un gruppo di
spettatori, tratta da Casa di bambola ( Et dukkehjem, 1879) di Ibsen:
una recita realmente andata in scena nel 1886 con Eleanor nel ruolo di Nora,
Aveling in quello di Torvald e George Bernard Shaw nei panni di Krogstad.
In un gioco di primi piani che eludono la finzione scenica, assistiamo a una
vera e propria confessione dei coniugi, in particolare della donna, che
recrimina la sua condizione di bambola-figlia prima e di bambola-moglie poi.
In
una tirannica società patriarcale, Tussy si fa portavoce di un insistito tentativo
di emancipazione volto allaffermazione professionale, sfuggendo sia alle
rigide convenzioni legate allo sposarsi e al divenire madre, sia al peso del
cognome che da sempre la accompagna. Femminismo e socialismo sono due facce
della stessa medaglia: luna non può esistere senza laltro. Memorabile lo
sguardo in macchina di Garai mentre, grazie a un particolare raccordo di
montaggio, la si vede incedere allinterno di una serie di fabbriche statunitensi,
ripresa con una carrellata a precedere. Lattrice recita con orgoglio il suo pamphlet, le sue accuse nei confronti
del capitalismo “vessatore”, guardando negli occhi lo spettatore e in questo
modo polverizzando la quarta parete alla maniera di Anna Magnani in Mamma Roma (1962).
Una scena del film © Biennale Cinema 2020
Miss
Marx soffre nel complesso di una vera e propria assenza di pathos.
Nicchiarelli si limita a ricostruire, molto abilmente, le atmosfere vittoriane,
rese da uneccellente scelta di costumi e di luci. Ciò che viene tralasciata è
però la ricerca di unempatia vera e propria con lo spettatore, privato dellazione,
di emozioni forti, di rotture drastiche. Il viaggiare dellautrice su binari
paralleli – lotta pubblica vs lotta
privata – si traduce in un mancato approfondimento sia delluna che dellaltra.
Sul
piano della messa in scena sono invece da apprezzare lassenza di retorica e la
scelta di “azzardi autoriali” quali lutilizzo di materiali darchivio e di elementi
anacronistici: fra tutti le musiche del gruppo torinese Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo, storici collaboratori
della regista che con la loro colonna sonora si aggiudicano il Premio
Soundtrack Stars (proponendo anche una rielaborazione di Springsteen in
chiave punk). Complessivamente
il giudizio sul film resta positivo, soprattutto per la capacità di fare della
protagonista un emblema universale, trascendendone la collocazione storica: è
la donna tout court che rifiuta le convenzioni per studiare, amare, combattere.
Delicata e ben gestita la sequenza conclusiva, in cui Eleanor diventa un personaggio
letterario romantico, alla stregua di Werther o della Bovary.
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