In questa, per certi versi sonnolenta,
Mostra di Venezia “post-autoriale”, irrompe il messicano Michel Franco con il suo Nuevo Orden, sicuramente il film più esplicitamente violento
e “politico” tra quelli in concorso.
In una sorta di presente (neanche poi
tanto) distopico di un Messico dove a causa delle enormi differenze sociali si
è innescata una violentissima e incontrollata rivolta di classe, nella enorme
villa di una famiglia di costruttori (e corruttori di politici) si vorrebbe
celebrare il matrimonio della figlia, nonostante tutto quello che sta accadendo
fuori dalle alte mura che circondano i ricchi invitati. Larrivo di un vecchio
dipendente della casa, che chiede di avere subito un grosso prestito per poter
operare di cuore sua moglie, mette in agitazione la futura sposa che, decisa ad
aiutarlo, lascia la festa, proprio nel momento in cui i ribelli fanno irruzione
nella villa. Ma quello che sulle prime sembrerebbe un colpo di fortuna è solo
linizio di una discesa in un inferno senza fondo. Una scena del film © Biennale Cinema 2020
Habitué pluripremiato del Festival di
Cannes (cui probabilmente anche questo film era destinato), Franco allarga il
raggio del suo sguardo (non sempre compassionevole) dallambito familiare (Despues
Lucia, Las hijas de Abril) e relazionale (Chronic) a quello sociale,
concentrandosi su quelli che possono essere i possibili sviluppi di uno scontro
di classe. Dopo cinque inquadrature rapide e apparentemente sconnesse (che solo
nel corso della visione scopriremo essere prolettiche) e lirruzione di feriti
in un reparto dospedale, il film ci catapulta in medias res, allinterno
di quella festa di matrimonio che appare subito come una specie di ballo del
Titanic, di gente indifferente e insofferente rispetto a tutto quello che sta
succedendo nel paese e dove vengono immediatamente rese evidenti quelle che
saranno le dinamiche e le empatie tra e verso i personaggi principali.
Ma è la deflagrazione dovuta allentrata
nella villa da parte del popolo in rivolta che lascia davvero spiazzati: dipinti
(in senso letterale) come una sorta di zombie macchiati di vernice verde (colore
simbolo della “rivoluzione”, ma anche dellesercito che dovrebbe contrastarla),
i rivoltosi irrompono nelle stanze dimostrando una rabbia ferina, un odio
chiaramente pregresso e una crudeltà apparentemente gratuita che non si limita
al saccheggio sistematico di tutto quello che trovano. Una rappresentazione
animalesca che li accomuna drammaticamente ai gradi più bassi dellesercito, a
quei soldati che usano e abusano di una violenza ingiustificata verso quei
prigionieri-ostaggi, che hanno rastrellato per le vie e le case di una Città
del Messico piena cadaveri e di posti di blocco dove sono autorizzati a sparare
a vista. Tutto questo, aggiunto a una completa, voluta mancanza di punti di
riferimento, complica molto la decifrazione di quale sia lapproccio del film a
una materia così complessa e allo stesso tempo delicata, tanto che bisogna
ricorrere alle dichiarazioni del regista per capire che Nuevo orden «vuole
essere un avvertimento: se la disuguaglianza non viene affrontata con metodi
civili e le voci di dissenso vengono silenziate, allora subentra il caos».
Una scena del film © Biennale Cinema 2020
Ma è un avvertimento quantomeno confuso,
perso nella freddezza di una messa in scena che appare concentrata a creare quasi
esclusivamente tensione ed effetto spettacolare; un distacco che non risparmia
neanche i personaggi, ai quali è preclusa qualsiasi complessità e possibilità
di evoluzione, venendo così ridotti al ruolo di semplici pedine da spostare
allinterno di una narrazione che si fa via via sempre più prevedibile. Non
basta neanche una vaga eco di cupezze carpenteriane a risollevare il film dal
suo sostanziale cinismo. Probabilmente è stata proprio questa sua innegabile
ricerca della spettacolarità a conquistare la giuria e a spingere i giurati ad
assegnare a Nuevo orden uno dei Leoni dArgento della Mostra tra i più
generosi degli ultimi anni.
È innegabile che il cinema messicano sia, oggi
più che mai, tra i più interessanti a livello internazionale (Iñarritu e
Cuarón sono lì a dimostrarlo), ma è altrettanto evidente come questo
cinema, soprattutto nei suoi rappresentanti più in vista, sembri talvolta privo
di quel “calore” che dovrebbe essere sempre presente nei film, grandi o piccoli
che siano.
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