Il
quinto centenario della morte di Raffaello
è stato per Bologna loccasione di ripensare il rapporto della città con
lUrbinate e le modalità di assimilazione dei nuovi canoni estetici dellItalia
centrale da parte di pittori come Francesco
Francia, Innocenzo Francucci da
Imola e Lorenzo Costa, ma
soprattutto di uno scultore quale Alfonso
Lombardi e di incisori come Marcantonio
Raimondi e Giulio Bonasone. A
loro sono dedicate le due mostre in corso alla Pinacoteca Nazionale, ideate nellambito del progetto Un dialogo tra le arti a Bologna nel segno di Raffaello che si
interroga, tra le altre cose, su come il maestro influenzò gli emiliani, anche
se da lontano e con linvio di poche opere. Tra queste la Visione di Ezechiele ricordata da Vasari in casa del conte Vincenzo
Hercolani, ora alla Palatina di
Firenze; la Madonna Sistina
conservata alla Gemäldegalerie di Dresda e forse dipinta per il convento di San
Sisto a Piacenza; la Perla della
Galleria Estense di Modena, recentemente restituita alla sua mano.
Lepisodio
più celebre è però quello dellEstasi di
Santa Cecilia, commissionata dalla futura beata Elena Duglioli DallOlio e finanziata dal canonico fiorentino Antonio Pucci. La pala fu probabilmente
eseguita agli inizi del pontificato di Leone
X per essere collocata nella cappella dedicata allomonima santa, fatta
edificare per volontà della stessa Duglioli nella chiesa lateranense di San
Giovanni in Monte. Una comunità religiosa che, sin dalla cacciata dei
Bentivoglio, si era distinta per il sostegno alla legazione pontificia. Lopera
di Raffaello, secondo i più accreditati studi, assumeva così il carattere di “pubblico”
monito per i bolognesi, rammentando loro la volontà politica di Leone X di
perseverare nellazione di riassorbimento della città nello Stato pontificio. Era
anche un ringraziamento alla Duglioli per il sostegno dato ai legati Francesco Alidosi e allo stesso Giovanni de Medici, che ricoprì tale
carica prima della salita al soglio papale; nonché un riconoscimento delle sue pratiche
religiose, tra cui accostarsi con frequenza
allEucarestia attraverso loratorio del Divino Amore. La sua realizzazione si inseriva dunque a pieno titolo nelle complesse vicende politiche e religiose di Bologna, che in quel momento rivestiva un ruolo non secondario nel panorama internazionale, come le ricerche degli ultimi anni hanno ormai precisato. Non si dimentichi che nel 1515 la città fu sede dellincontro tra Leone X e Francesco I. Sappiamo che in quellanno Raffaello era assente da Roma ed è una valida ipotesi la sua presenza prima a Firenze, dove forse si era recato in vista del progetto per la facciata della basilica di San Lorenzo, poi a Bologna, al seguito del papa. La data 1515 compare, di pugno di Albrecht Dürer, su un disegno preparatorio per la Battaglia di Ostia donato da Raffaello allartista tedesco (oggi alla Graphische Sammlung Albertina di Vienna) e sulla copia del ritratto di Giuliano de Medici, duca di Nemours, conservata al Metropolitan Museum of Art di New York. Quindici anni dopo la città fu sede di un altro straordinario evento politico e culturale. Alludo, ovviamente, allincoronazione felsinea di Carlo V per mano di Clemente VII, ma anche al loro successivo incontro nel 1533. Due episodi che richiamarono a Bologna numerosi artisti e letterati. Uno su tutti: Tiziano, a cui è legato il nome dello scultore protagonista della mostra Alfonso Lombardi: il colore e il rilievo, a cura di Alessandra Giannotti e Marcello Calogero. In una fortunata pagina delle Vite di Vasari Lombardi viene descritto intento a modellare di nascosto nella cera il profilo dellimperatore impegnato in una seduta di posa con Tiziano, “scavalcando” il pittore in bravura. Daltro canto la sua abilità come ritrattista è attestata dalla rete di relazioni da lui intrattenute con i potenti del momento: dal duca di Mantova Federico II Gonzaga al cardinale Ippolito de Medici, dai capitani imperiali Francesco Maria della Rovere e Antonio de Leyva ai già nominati Francesco I e Carlo V, a cui presto si aggiunse papa Paolo III.
Alfonso Lombardi, Busto raffigurante il Salvatore, Firenze Bacarelli
& Botticelli
Ma Lombardi fu anche un abile modellatore su grande scala, come
dimostrano i Funerali della Vergine nelloratorio di Santa Maria della
Vita e il Compianto sul Cristo morto nella cattedrale di San Pietro. Dote
che gli valse un ruolo centrale, al fianco di Amico Aspertini, nella
realizzazione degli apparati effimeri per gli ingressi trionfali di Clemente
VII e Carlo V, rispettivamente il 24 ottobre e il 5 novembre 1529, nonché per
la cerimonia dincoronazione del 24 febbraio 1530. Nuovi documenti, la cui
prossima pubblicazione è annunciata nel catalogo edito da NCF, attestano che lo
scultore dimostrò la propria maestria in questo campo anche a Roma, in
occasione dellelezione di Paolo III nel 1534, quando modellò le grandi
sculture di piazza San Pietro.
La mostra, sospesa per il Covid-19 e fortunatamente
prorogata fino al 31 agosto, si concentra sul breve ma fulgido percorso dello
scultore in Emilia. A cominciare dagli anni della formazione presso la corte di
Ferrara, dove i cantieri promossi dal duca Alfonso
I dEste gli permisero di entrare in contatto con la cosiddetta maniera moderna. Il trasferimento a
Bologna nel 1519 fu determinato dalla vittoria nel concorso per il monumentale Ercole
di Palazzo dAccursio, dove dette prova di una straordinaria rilettura della statuaria
antica. Fu nella città felsinea che il ferrarese dimostrò la sua capacità di
interpretare le invenzioni di Raffaello, la cui conoscenza – oltre
allapprezzamento diretto della Santa Cecilia – fu mediata dalla
grafica.
Una conoscenza che condivise con i pittori attivi in
città, come emerge dalla seconda sezione della mostra, dove sono esposti gli Apostoli
per la chiesa di San Giuseppe di Galliera, ispirati alla serie di uguale
soggetto incisa da Raimondi su disegno dellUrbinate; nonché il busto di Cristo che, proveniente dallo stesso
complesso architettonico e solo recente recuperato, è stato opportunamente posto
a confronto con quello modellato da Antonio
Begarelli. Il percorso prosegue con le opere realizzate per Castel
Bolognese, che illustrano la fortunata stagione emiliana della scultura
dipinta, in grado di imitare la pittura fino a sfidarla nel suo campo
delezione, quello della pala daltare. Infine, un inevitabile focus sulle qualità di ritrattista di Lombardi
e sul suo incontro con Carlo V, che chiude gli anni bolognesi dello scultore,
giocati sul filo della cultura raffaellesca romana e padana.
In sintesi: Lombardi, spesso considerato uno
scultore secondario per la sua scarsa propensione allintaglio del marmo a
favore del modellato, viene ora opportunamente rivalutato. La rilettura delle
opere giovanili, resa possibile dalla monografica felsinea, dimostra che lartista,
formatosi nel solco della tradizione padana, fu
in grado di aggiornare in senso raffaellesco il proprio stile ancor prima di
recarsi a Roma nel 1533.
Determinante, in
questo senso, lo studio dei disegni e delle incisioni tratte da opere del maestro.
A questo aspetto è dedicata la seconda mostra bolognese, a cura di Elena Rossoni: La fortuna visiva di Raffaello nella grafica del XVI secolo. Da
Marcantonio Raimondi a Giulio Bonasone. Una rassegna di incisioni
realizzate in rapporto a, o derivate da, Raffaello. Gli esemplari esposti, in gran parte
restaurati per loccasione, appartengono al
Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca, dove sono conservati oltre
settecento fogli legati a invenzioni del pittore
umbro.
Unica eccezione la prima matrice realizzata da Raimondi per la Strage degli Innocenti – la cosiddetta
versione “con la felcetta,” per distinguerla dalla seconda “senza felcetta” – e
la corrispondente incisione, concesse in prestito dai Musei Civici di Pavia in
quanto lesemplare dellIstituto bolognese risulta altamente stanco. Questa
tiratura tarda, comunque visibile, è un chiaro esempio di come le matrici
realizzate nei primi decenni del Cinquecento vennero sfruttate a lungo, sino al
loro esaurimento, divenendo poi materiali di studio per gli artisti, gli
intenditori e i collezionisti.
Marco Dente, Giudizio di Paride, 1515-1516. Bulino. Pinacoteca Nazionale
di Bologna
Lesposizione, articolata in sette sezioni, inizia con
il primo contatto di Raffaello con Raimondi. Siamo a Roma intorno al 1510-1511:
quellincontro segnò la nascita di una nuova stagione di produzione e
diffusione della stampa. LUrbinate individuò infatti nel bolognese lartista
più adatto a mediare il suo rapporto con la tecnica incisoria e a diffondere attraverso
questo mezzo le proprie idee artistiche. Per lui elaborò disegni appositamente
studiati per essere tradotti in stampa, come la Strage degli innocenti, il Giudizio
di Paride, Il Morbetto (o Peste frigia) e il Quos ego. Veri e
propri capolavori.
Intanto, almeno dal 1516, altri incisori iniziarono a
confrontarsi con le opere di Raffaello. Tra questi Agostino Veneziano, Marco
Dente e Ugo da Carpi e,
successivamente, Jacopo Caraglio, Enea Vico, Nicolas Beatrizet e Bonasone, tutti presenti in mostra. Nomi che
contribuirono in maniera determinante alla diffusione dello stile raffaellesco
in un circolo vorticoso di rimandi tra disegno, pittura e incisione che
contribuì alla fama dellartista anche dopo la sua morte. Il successo di questo
tipo di produzione è testimoniato, oltre che dalla creazione di nuove
incisioni, dalla copia o replica di stampe già eseguite e dalla riproposta delle
più importanti invenzioni pittoriche: gli affreschi della Farnesina, le scene
dalle Logge vaticane, i cartoni per gli arazzi della Scuola Vecchia e della
Scuola Nuova, le raffigurazioni della stufetta del Cardinal Bibbiena. Ma si
pensi anche allEstasi di Santa Cecilia
di Bonasone.
La presenza nelle stampe dellinvenit di Raffaello si diffuse in maniera capillare e non sempre
veritiera, soprattutto dopo la morte dellartista. Un marchio di sicuro
successo, come dimostra il suo utilizzo per invenzioni di cui è incerta la
derivazione raffaellesca, quando non è ormai esclusa dalla critica. Piccoli
spunti o idee furono il punto di partenza per la realizzazione di stampe
completamente reinventate da incisori che, direttamente o su richiesta di
editori mossi da fini commerciali, vollero fregiarsi del nome del maestro. Così
avvenne, con ogni probabilità, nel caso dellAllegoria della vita umana realizzata da Giorgio Ghisi nel 1561.
A questo fenomeno si
affiancò quello della produzione di stampe eseguite “sullo stile di” Raffaello,
realizzate grazie a una sorta di “rimescolamento” tra idee proposte dallartista
in differenti opere e disegni. Il caso principe è quello della serie con la Storia di Amore e Psiche: trentadue
incisioni eseguite dal Maestro del Dado
con lintervento, per tre di esse, di Agostino
Veneziano, su disegni di Micheil
Coxcie. Il gusto del maestro, ormai assimilato, veniva reinterpretano e
restituito in maniera nuova, e certo non altrettanto incisiva. Siamo ormai alle
soglie degli anni Quaranta del Cinquecento quando gli editori, pur continuando
a stampare le matrici prodotte nei decenni precedenti, cominciarono a
prediligere altri artisti, Michelangelo
in primis. Nuovi modelli si stavano
ormai affermando.
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