In
copertina de L'ingegno e il potere di Carlo Bernardini e Daniela Minerva (Firenze, Sansoni, 1982), «1+1=2 è unuguaglianza», dice
linsegnante allo studente, che pensa «Ci risiamo con la politica», icona del faticoso
dialogo tra fondamento della scienza e pensiero comune. «Questo fondamento si
riassume nella parola “credibilità”» (ivi, p. 214) vale a dire «ispirare
fiducia, ottenere credito e riconoscimento» (Treccani). È nostro pane
quotidiano nella pandemia Covid-19.«Di
fronte allignoto, recenti ricerche mostrano che responsabilità della competenza
più che guidare le scelte è organizzare innovazione e progresso delle
conoscenze utili» (A. Hatchuel, Lexpert et la politique face à linconnue, in «Le Monde», 18 giugno 2020,
p. 20). Soprattutto in ambito internazionale, dove, «come disse il suo celebre
segretario generale Dag Hammarskjold, lONU “non fu realizzato per
portare lumanità in paradiso, ma per salvarla dallinferno”» (If America
pulls back from global institutions, other powers must step forward, in «The
Economist» online, 18 giugno 2020). Anche da Covid-19, divenuto pandemia per mancata cooperazione
internazionale. Luniversale valore della scienza si può ignorare ma non negare,
come dimostra il premier UK Johnson.
Dellepidemia
di peste bubbonica nel XIV secolo Jean Froissart ha tramandato le «dicerie
di cura: sedersi sulla fogna, mangiare melassa decennale, bere arsenico. Dichiarata
in febbraio dallOMS, l“infodemia” su Covid-19, non è il primo contagio da
disinformazione. Oggi la mitologia vuole che lepidemia si curi bevendo
metanolo, con più di 700 morti in Iran; e che sia diffusa dai trasmettitori 5G,
provocando in UK oltre 90 attacchi di piromani ai ripetitori. Come il virus le
loro case, idee pericolose stanno infettando la mente delle persone. Lenorme differenza
tra 1300 e 2020 è il rapido contagio mondiale delle idiozie attuali, via
Internet. In marzo unindagine Gallup ha rilevato che in 18 paesi di quattro
continenti un minimo del 16% – e un massimo del 58% – pensava che Covid-19
fosse diffuso deliberatamente». «I social consentono di condividere notizie
vere e false. Ma i falsari sembrano vincere» (Return of the paranoid style,
in «The Economist», 12 giugno 2020, p. 46). «Il 16% degli americani si informa
su Covid-19 direttamente dalla Casa Bianca; tre su quattro credono che i media
abbiano esagerato la gravità della pandemia» (ivi, p. 47).
«I
cambiamenti strutturali possono spiegare perché i conservatori sembrano più
inclini allinfodemia e perché i leader conservatori abbiano più spinte – e
siano più propensi – a sabotare le fonti affidabili». «In molti paesi la
vecchia spaccatura economica sinistra-destra è stata rimpiazzata da una culturale,
liberal-conservatrice. In risposta i conservatori si sintonizzano sulle loro fonti
informative, scoprendo che si fanno soldi amplificando lansia» (ivi, p. 47). «I
liberali per vincere devono conquistare i voti moderati; ai conservatori basta essere
una semplice costola della loro base. Con la politica via via più polarizzata, eccitare
la base è più facile, e vincere sui moderati più difficile» (ivi, p. 48).
In
questo contesto, «Twitter e Facebook sembrano simili. Entrambi reti sociali, connettono
on line gli utenti proponendo in pasto una sfilza infinita di post, foto, video
di bestiole. Entrambi fanno soldi vendendo pubblicità e usano ogni trucco per
attirare lattenzione degli utenti. E ognuno usa pacchetti di dati
comportamentali raccolti dagli utenti per favorire inserzionisti che pagano
profumatamente». «Twitter è essenzialmente un moderno “Speakers Corner”,
chiunque può parlare e altri rispondere. Per gli studiosi è una rete di
trasmissione uno-molti. Facebook è nel suo fulcro rete uno-uno o uno-pochi,
replica le reti sociali di tipo amicale, familiare o lavorativo. La differenza
può sembrare sottile, ma ha varie implicazioni di business. Facebook riesce a
raccogliere più dati dai suoi utenti perché sono più coinvolti reciprocamente.
Ciò rende più facile indirizzare gli annunci. Facebook beneficia anche di più
forti “effetti di rete” perché ogni utente nuovo aumenta lutilità per gli
altri, attirando più utenti e così via. Twitter non può far affidamento su
questo turbomotore di sviluppo: lamicizia è un bisogno umano, ma stare sul
palco non è indispensabile neppure per gli estroversi globali. Questo
contribuisce un bel po a spiegare perché nel 2019 Facebook vanti nove volte
utilizzatori, 21 volte ricavi e 12 volte profitti rispetto a Twitter» (ivi, p.
51).
«Ma
le due aziende condividono una caratteristica che può porle su una traiettoria
analoga. Più delle altre, le aziende informatiche devono essere prudenti nel
non provocare i loro addetti per lo più millennial, specie i migliori ingegneri
software, che possono facilmente trovare lavoro altrove se scontenti. Per lo
più di sinistra, sono sempre più turbati che i capi non facciano abbastanza per
fermare la diffusione della disinformazione, o peggio, da parte di politici, e
non solo. Se Dorsey ha mutato sentire e ora consente di contrassegnare i
tweet di Trump, in parte è per la costante pressione del suo personale. Come
Dorsey, Zuckerberg sta affrontando laperto sdegno delle sue forze».
«Forse Zuckerberg, come Dorsey, finirà col cambiare tono – anche se attenderà più
probabilmente lesito delle elezioni presidenziali a novembre» (ivi, p. 52). Come
nellUngheria di Orban e nei paesi sovranisti, «“il solo linguaggio a
essere compreso è potere e soldi”» (The Orban way, in «The Economist», 4-10
aprile 2020, p. 22). Mercificazione delle debolezze umane.
Eppure
«lAmerica ha vinto la guerra fredda. Che cosa è
andato storto?», si chiede «The
Economist» recensendo tre libri: Do Morals Matter? di Joseph
Nye, The Abandonment of the West di Michael Kimmage, The
Age of Illusions di Andrew Bacevich (in «The Victors curse», 4-10 aprile
2020, p. 67). «È
significativo che tre libri così diversi, per cercare di capire che cosè
andato storto dopo il collasso sovietico, indaghino tutti non allestero ma
allinterno, nella natura stessa dellAmerica. In vari modi, tutti condannano
Trump. Nye dubita della sua moralità. Per Kimmage è il primo presidente anti-Occidente.
Davvero interessante lavvertimento di Bacevich che non si torna indietro, benché
Trump non dia alcuna definizione dellAmerica post-guerra-fredda» (ivi, p. 68).
«Abbiamo
un problema sistemico. Gli USA vivono molteplici transizioni: da Paese a
maggioranza bianca a Paese di minoranza maggioritaria, trasformazioni radicali nella
natura del lavoro e della educazione. Sono passaggi stressanti, richiederebbero
leadership e una chiara visione in grado di unire la società. Invece alla Casa
Bianca abbiamo Donald Trump, la cui unica strategia per essere rieletto è
lacerare il Paese, dividere il popolo americano e cercare di vincere forzando
il collegio elettorale con una minoranza. Il tutto amplificato e incendiato dai
social network, dove la verità è merce scarsa, si urla e non cè mai tempo o
voglia di discutere in modo pacato e approfondito. Così il vero cambiamento
viene negato a chi può beneficiarne e chi teme ogni cambiamento ha ancora più
paura». Inoltre, «se crei una comunità di quasi tre miliardi di persone e poi
rimuovi ogni tipo di cuscinetto, quando le persone cominciano a comportarsi in
modo irresponsabile lasciandosi guidare da emozioni e istinti, gli shock si
trasmettono ovunque proprio come la pandemia. Abbiamo tutti una responsabilità
di costruire cuscinetti, in termini di etica personale, di editing o di limiti
a contenuti razzisti e odiosi. Mark Zucherberg non vuole cuscinetti, preferisce
lasciar correre liberamente la follia di ognuno. Il risultato è una piazza
virtuale e globale dellinstabilità» (P. Valentino intervista T. Friedman, Siamo
un Paese senza più leader. Chiedere di abolire la polizia? Assurdo, in «Corriere
della Sera», 9 giugno 2020, pp. 18-9).
Uno
più uno uguale due.
«La credibilità è non soltanto tecnicamente difficile, ma anche non congeniale
alla natura umana, quasi fosse una limitazione della libertà di pensiero» (Bernardini-Minerva,
Lingegno e il potere, cit.,
p. 216) mentre, «come ha osservato molto semplicemente e molto acutamente il
biologo François Jacob, il ragionamento scientifico procede partendo dal
basso» (ivi, p. 185). Lo fa anche la democrazia e insieme producono risultati
straordinari, specie nelle epidemie: «“The
Economist” ha analizzato le epidemie dal 1960 al 2019. Nonostante i
diversi tassi di contagiosità e letalità, emerge una chiara correlazione. Tra i
paesi di analogo benessere, i tassi minori tendono a essere in paesi dove la
gente può votare in elezioni libere e eque. Altre definizioni di democrazia
danno risultati analoghi» (Out in the open, in «The Economist», 6-12
giugno 2020, p. 73).
Come
ammonisce il citato Jacob, «il XVII secolo ha avuto la saggezza di considerare la ragione
come uno strumento necessario per trattare le cose umane. I Lumi e il XIX
secolo ebbero la follia di pensare che ciò era non solo necessario, ma anche
sufficiente per risolvere ogni problema. Oggi sarebbe ancora più folle
decidere, come alcuni vorrebbero, che, con la scusa che la ragione non è
sufficiente, allora non è neppure necessaria» (cit. in Bernardini-Minerva, Lingegno
e il potere, p. 185). Appunto
la follia che Tom Friedman sul Corriere (cit.) denuncia in Trump
e nei social network. Anche lEuropa vive molteplici transizioni, inclusa prima
degli USA la pandemia Covid-19, ma senza negarla e cercando di superarla anche nelle
ricadute sociali, economiche, istituzionali, con il paradossale incentivo del sovranismo
di importazione USA a fare il necessario salto di qualità verso gli Stati Uniti
dEuropa. Come negli USA di Hamilton, diritti e doveri dei cittadini
sono prioritari.
Nellanalisi
di Filippo Pizzolato, infatti, il vero pericolo per lUE non è lesaltato
“Europa si/Europa no” sovranista, bluff della Brexit ancora inconclusa e tormentatissima
(tanto più per lItalia nelleuro). Pericolo vero è lUE gestita come un condominio
di europei che, sempre più interdipendenti, non si amano e curano solo il proprio
particolare. Lontano da status quo e sovranismo, la necessità ci porta al
federalismo democratico invece di quello debole di regole e parametri per fare
aggiustamenti senza partecipazione, unità progettuale, riflessione. La crisi rivela
tutti i pericoli di una UE gestita da una somma di stati e non dai grandi
motori di integrazione: Commissione Europea, Parlamento Europeo, Banca Centrale
Europea. Stati e UE esistono e coesistono, ma con poteri riequilibrati perché è
il poco, e non il troppo potere UE che ne azzoppa le politiche migratorie,
solidali, estera e di difesa. La forza dellEuropa sovranazionale e comunitaria
è necessaria per porre fine al perverso gioco dei sovranisti che criticano lUE
poco solidale ma in Europa ne bloccano le capacità di intervento in un cortocircuito
distruttivo per lUE e per gli stati stessi, nel gioco paradossale dellEuropa
dei governi. Va superato il vincolo UE di decisioni solo unanimi in materie in
cui il Parlamento Europeo è solo consultato: la mancanza di integrazione
europea è mancanza di democrazia nelle materie cruciali della politica sociale,
dellarmonizzazione fiscale, della riforma dei trattati, della politica estera
e della sicurezza, del bilancio pluriennale (Istituzioni e coronavirus. Come
hanno reagito e reagiscono le istituzioni di fronte alla sfida del coronavirus,
Circolo Guardini-MEIC, seminario online, 6 giugno 2020).
In
questi mesi intra-pandemici siamo nel mezzo duna trasformazione di cui si
stanno delineando i contorni, sottolinea Pizzolato. Choc esogeno, prescinde dagli stati e dal gioco dei compiti a casa
o della colpevolizzazione, lepidemia colpisce tutti gli stati pur se con diversa
virulenza. In questa drammaticità “fortunata”, processi ormai necessari si
stanno realizzando per deroghe, allentamenti, aggiramenti. Coi governi sempre
in difesa dei soli interessi nazionali, per deroghe si va nella direzione
giusta. Anche la politica monetaria mostra i suoi limiti, pur essendo stata un
asse portante dellUE. È ormai evidente, di fatto decisa, la necessità di più
forte iniezione di domanda da parte delle istituzioni comunitarie, approccio
“keynesiano” con una capacità di intervento dellUE sulleconomia e una
capacità di bilancio in grado di riattivare leconomia, di contrastare la
recessione e di aiutare gli stati indebitati. È la direzione in cui sembra si
voglia andare con il programma Next Generation EU, il Recovery Fund così
come è stato proposto dalla Commissione Europea, conclude Pizzolato.
Next
Generation EU
è la necessaria risposta europea alla crisi pandemica, sanitaria e poi
economica, sociale, ambientale che altri pensano di manipolare. Ma 1+1 fa 2 non
11, neppure negli USA di Trump e nella Cina di Xi Jinping. Covid-19 ha
svelato «“Mondo computer, Deutsche Bank, Fbi, Scotland Yard. Cia, Kgb, i nostri
dati e la nostra memoria. Mondo computer: soldi, medicina, comunicazione,
intrattenimento. I nostri dati, la nostra memoria”», «una sequenza di termini
senza sintassi» cantata dai Karftwerk
quarantanni fa in Computer World: «in queste parole cè il mondo di
oggi» (A. Nove, Mondo computer, in «Avvenire», 14 giugno 2020, p. 1). Che
non ha visto arrivare la pandemia.
«Al
vertice delle imprese, focalizzarsi solo sul valore per gli azionisti come nel
boom degli anni Novanta, non è più giusto. Lalto dirigente di oggi devessere uomo (o donna)
politico e avere cura non solo degli azionisti ma della società intera.
Devessere in armonia con le vedute dei suoi lavoratori e consumatori, qualora
limpresa si trovi in mezzo a conflitti sociali o politici. E deve navigare in
questi campi minati generando profitti sufficienti per respingere gli attacchi
di azionisti attivisti» (Bartleby. Lessons from 100 columns, in «The
Economist» online, 15 giugno 2020].
Il
neoliberismo, che lha usurpata, riporta la democrazia in primo piano, il posto
che le spetta.
«Siamo
tutti convalescenti», è il titolo della recensione di Roger-Pol Droit a Convalescenses.
La littérature au repos di Daniel Ménager. «Il senso di stanchezza unito
alla voglia di vivere», «ecco a che cosa corrisponde, punto per punto, quel che
stiamo vivendo» («Le Monde des Livres»,
19 giugno 2020, p. 8). Uno più uno uguale due.
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