Titolo ispirato al romanzo Middlemarch (1874) della scrittrice inglese Mary Anne Evans,
meglio conosciuta come George Eliot, La vita nascosta (2019) è un
film programmatico che rivela la sensibilità e il deciso orientamento poetico di
Terrence Malick.
La storia della
famiglia Jägerstätter comincia nel 1939, un anno dopo lAnschluss, punto
di non ritorno per gli austriaci. August Diehl, noto per
linterpretazione nel tarantiniano Inglourious Basterds (2009), indossa
i panni di Franz, uno dei protagonisti della vicenda. La pellicola ci presenta
labisso che ingoia non tanto chi va a morire ma soprattutto chi resta a casa
ad affrontare il vuoto e lattesa. Senza titoli di testa e senza premure verso
lo spettatore, il regista dellIllinois mostra immagini di repertorio del Terzo
Reich di riefenstahliana memoria sormontate dalla a lui tanto cara voce fuori
campo.
Una scena del film
In un paesaggio
suggestivo e incontaminato i coniugi Jägerstätter e le loro figlie conducono
una vita serena e senza ombre, nella semplicità della fede e del lavoro tra i
campi, circondati da montagne materne. Si inizia a comprendere la natura del
protagonista quando, davanti al saluto nazista di alcuni soldati, rimane con le
mani (o con i pugni) in tasca. Lequilibrio della vicenda è incrinato ma non
ancora frantumato quando il padre di famiglia viene chiamato per laddestramento
militare. La Francia si arrende e la guerra sembra stia passeggiando sul viale
del tramonto. Ma la Storia ha altri piani per lEuropa: linsensatezza del
conflitto mondiale riprende vigore e con ferocia richiama alle armi gli uomini,
tutti costretti a giurare fedeltà al “Re dei terrori”. Franz invece, per parafrasare
Erasmo da Rotterdam, si appella al libero arbitrio concessoci da Dio per
manifestare la sua protesta contro labominio di sventrare con una baionetta
nemici innocenti con la sola colpa di essere nati in un Paese diverso dalla
Germania.
Inizia così la
sua personale battaglia tra ciò che è giusto e ciò che è facile, in un mondo
che con superficialità si abitua al male dilagante e imperante. I suoi porti
sicuri sono Dio e la famiglia, le preghiere e le carezze sullerba, in un ritmo
così pesato e ponderato da lasciar percepire ogni singola emozione. Malick
sembra riportarci nellamenità vista in The Tree of Life (2011),
tra le pieghe dolci degli affetti familiari riflessi di un macrocosmo inintelligibile.
E lo fa con lente carrellate a seguire e con le ammalianti inquadrature dal
basso che sembrano schiacciare gli attori sul soffitto di legno o addirittura contro
il cielo; daltronde ogni suo film è un manuale di grammatica cinematografica.
Lo spettatore è testimone, ma anche compartecipe, della progressiva presa di
coscienza di Franz nei confronti del martirio imminente che coinvolgerà anche
la sua famiglia, intrappolata in un contesto sociale pavido e ostile.
Una scena del film
A Malick basta la
camera a spalla e i suoi ormai celebri campi lunghissimi per rappresentare la
dicotomia uomo-natura. E quali metafore migliori delle montagne, delle nuvole,
dei fulmini e del fumo per illustrare il preludio dellorrore in agguato?
Attraverso un montaggio parallelo assistiamo sia alla battaglia di Franz contro
un intero sistema timoroso di esporsi, sia alle angherie degli abitanti del villaggio
nei confronti delle Jägerstätter, a partire dal sindaco sostenitore convinto
del nazismo fino ai bambini. Nessuno è innocente durante la guerra: conta solo
sopravvivere. A differenza del cruento The Thin Red Line (1989), nella
rappresentazione del conflitto bellico non viene mostrata nemmeno una goccia di
sangue. Il dolore e la sofferenza, a tratti insostenibili, prendono vita nella
solitudine dei due coniugi, vittime ognuna a proprio modo: «Non preoccuparti
per me, prega». Basta questa frase di Franz alla moglie Fani per comprendere la
sua vocazione al martirio in nome di un bene superiore.
Il film diventa
allora una sorta di romanzo epistolare su pellicola, colmo di emozioni e di
rabbia per limmane ingiustizia di cui siamo testimoni. Con un ritmo lento e
ammaliante, diremmo oggi “malickiano”, lo spettatore si ritrova ad attendere
lincontrovertibile, il preannunciato sin dai suddetti pugni in tasca, ribadito
in via definitiva dalla (purtroppo) ultima interpretazione di Bruno Ganz.
E il protagonista di questa piccola storia ignobile accetta la sua sorte,
consapevole che il suo sacrificio, pur rimanendo per decenni muto, lascerà alle
figlie una lezione: è meglio subire uningiustizia che compierla.
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