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Cristina Pezzoli: la coerenza della regia, la forza sociale del teatro

di Teresa Megale
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Data di pubblicazione su web 25/05/2020  

«Commossa Isa Danieli, nei panni di Filumena Marturano, nella versione di Cristina Pezzoli, ha sorpreso il pubblico che applaudiva, fermando con le mani il sipario che si stava chiudendo sulla prima nazionale dello spettacolo e commentando “E che so’ Sansone?”. S’era emozionata anche per il piccolissimo Tito, figlio della Pezzoli, che sta crescendo a latte e palcoscenico, entrato in scena pure lui in tutina celeste. “Filumena non s’è goduta i figli suoi piccoli e io mi godo questo” ha detto, continuando a tenere la concentrazione del pubblico su di lei». Così, a caldo, Roberta Lazzarini scriveva sul «Messaggero» nel novembre del 2000, nel recensire la regia di Cristina Pezzoli. Qui, l’apprezzata regista di Vigevano, dalla grinta di una combattente, aboliva ogni preventivo impianto eduardiano per rinnovare con l’audacia e la spregiudicatezza artistica che le erano proprie un testo ritenuto fin lì inossidabile e impraticabile senza il suo attore-autore.

E comprendiamo, da lettori avvertiti, la tenerezza della grandissima Isa Danieli dinanzi al bambino, lei stessa cresciuta in una valigia-culla e allattata dietro il palcoscenico dalla madre, attrice-cantante di sceneggiate, nell’intervallo tra un’esibizione e un’altra. Con l’inevitabile durezza che il teatro riserva alle donne di tutti i tempi, anche le quattro maternità di Cristina Pezzoli sono state divise tra retropalchi e camerini, tra tournées e prove costumi, tra puntamenti e “generali”, congestionate fra i troppi impegni di una regista (una delle poche donne in questo ruolo nel nostro teatro) ricercata per l’efficacia del segno artistico e per la freschezza incisiva delle invenzioni sceniche.

Roccia lombarda, carattere impossibile, si sarebbe detto, alla prima impressione. Sempre imprevedibile e mai banale, formatasi alla Civica Scuola “Paolo Grassi” di Milano, fulminata dal teatro grazie a Dario Fo e cresciuta accanto al magistero di Nanni Garella e di Massimo Castri, all’alba del nuovo millennio piazzava uno spettacolo che dimostrava ancora una volta le sue indiscusse abilità, il suo irrefrenabile bisogno di innestare il nuovo, di rileggere la tradizione al solo scopo di vivificarla. Con la forza indomita di una leonessa, la Pezzoli, donna generosa e artista militante, che di sé diceva di “andare a trecento all’ora”, sapeva fare questo ed altro. Quando non recuperava all’attualità testi dimenticati, come L’annaspo di Raffaele Orlando, quando non allestiva opere al festival pucciniano o produzioni per La Contemporanea 83 o per Gli Ipocriti, sapeva valorizzare come nessun altro la drammaturgia contemporanea. E non per modo di dire o per vezzo retorico alla moda.

Nel triennio della direzione artistica dell’Associazione teatrale pistoiese - Teatro Manzoni di Pistoia (2002-2005), con la coerenza che la caratterizzava ha lanciato nuovi autori e ha saputo scommettere senza esitazioni su giovanissimi. Sua la scoperta dell’allora ventunenne Letizia Russo, di cui ha messo in scena Tomba di cani, affidando il ruolo di Glauce, vedova cieca-Edipo, alla sensibilità poliedrica e vibratile di Isa Danieli. Oltre alla Russo, nella sua teatrografia spuntano altri autori contemporanei, tra i quali Antonio Tarantino, Stefano Benni, Remo Binosi, Walter Fontana. Una scelta forte di politica culturale, nella quale credeva fino in fondo e che ha pagato fino in fondo. Causa principale le ristrettezze miopi, erette a sistema di pensiero, di una circuitazione teatrale asfittica, dominata dagli scambi tra i potenti ex Stabili di un tempo.

La sua fiducia incrollabile nel valore culturale e sociale del teatro l’ha resa complice perfetta di chi scrive nel biennio 2006-2008 nella fondazione del gruppo universitario teatrale La 106, poi diventato compagnia dell’Ateneo fiorentino come Binario di Scambio. Il nome ha connotato quel progetto avventuroso e pionieristico sottotitolato Tracciato deviato da Prato a Mosca e ispirato al testo Anche le donne hanno perso la guerra di Curzio Malaparte, che debuttò il 28 giugno 2007 ad Officina giovani, allora diretta da Teresa Bettarini. Della Pezzoli anche la supervisione registica dello spettacolo A ferro e fuoco, dedicato alle Lettere dal carcere di Gramsci e premiato al festival UniversoTeatro di Benevento del 2008 da Ugo Gregoretti.

Da docente del laboratorio di regia presso il corso di laurea specialistica in Pro.SMArT. (Produzione di Spettacolo Musica Arte e Arte tessile) Cristina Pezzoli ha avuto il coraggio di giocare al teatro con la “meglio gioventù” studentesca di quegli anni: giovani attivi e reattivi, che del teatro hanno fatto a loro volta una professione e una passione. Deliberatamente fuori dagli schemi, donna e artista libera, capace e autorevole, dopo anni di pratica nei teatri di prosa e lirici, sulla scia del teatro universitario si era tuffata a capo fitto nel teatro sociale. E durante gli ultimi dodici anni, tutti investiti a Prato, si era immersa in una fitta trama di rapporti per cercare con il teatro di riconnettere e ricucire le periferie con il centro, gli asiatici con gli europei, la pratica teatrale con l’antropologia.

Nel cuore operaio del centro storico, l’apertura di Compost, spazio di incontro multiculturale nato in una vecchia fabbrica nei pressi della Biblioteca Lazzerini, è stato un tentativo straordinario di conoscenza e di interazione della folta comunità cinese con i residenti. Ma anche lo specchio dell’accresciuta sensibilità della Pezzoli verso il teatro come strumento formidabile per incidere direttamente nelle realtà sociali attraversate da complesse dinamiche migratorie. La città di Prato, laboratorio etnico di straordinaria importanza, ha offerto al ciclone Pezzoli la possibilità di rigenerare meccanismi teatrali di lunga durata alla prova di bisogni e domande inedite. Sua in questo periodo l’idea di impiegare l’attore cinese Shi Yang Shi come mediatore culturale e artistico.

Nel frattempo, consapevole della sua identità di donna-regista, lavorava con molte attrici, le più varie, e ne metteva in luce i talenti. Si è misurata con la valorosa generazione di artiste nate sullo scorcio degli anni Cinquanta (Maddalena Crippa, Elisabetta Pozzi, Pamela Villoresi, Laura Marinoni), ha riportato a teatro la Milva strehleriana interprete di Brecht, ha lanciato Veronica Pivetti, ha ripetutamente diretto la Danieli, alla quale ha affidato anche una potentissima e indimenticata Madre Courage. L’elenco non dice la sua ricchezza di sguardi, di intuizioni, di soluzioni, la sua idea di teatro vivo, pulsante, capace di riattivare pubblico e scene. Del 2018 è lo spettacolo Calendar girls con l’amata Angela Finocchiaro, con Laura Curino, Ariella Reggio, Carlina Torta, Matilde Facheris, Corinna Lo Castro e altre interpreti. Un lavoro che lasciava intuire una predilezione sempre più spiccata verso i ruoli femminili, da lei sbozzati con particolare cura e rilanciati in una cifra tragicomica.

Cristina Pezzoli ha vissuto non retoricamente per il teatro, per l’idea di un’arte dalla forte connotazione civile e politica, in grado se non di rinnovare il mondo almeno di renderlo migliore. Al teatro ha sacrificato tutto. Forse l’unico lusso di cui andava fiera erano le vacanze in un’isola siciliana in compagnia della sua bella e ricca famiglia e dei suoi cani. Anche nell’isola in cui è troppo presto approdata dirigerà gruppi e attiverà nuovi sensi, nuove energie, per eternare il gioco preferito del come se.



 



 
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