Un momento dello spettacolo
© D. Burberi
Allo stesso soggetto è
dedicato il recente Da Prometeo. Indomabile è la notte andato in scena al
Fabbricone di Prato per la regia di Oscar De Summa. Dopo La
cerimonia (2017) incentrata
sulla figura di Edipo, il regista torna a indagare il valore della mitologia
nella contemporaneità con uno spettacolo che affronta
il tema dellincontro con lAltro, con il diverso e con il progresso. Il
collegamento con le vicende del Prometeo eschileo appare debole, fondandosi semplicemente su una serie di radi rimandi. Qui i personaggi sono ridotti a quattro: il titano
diventa una ragazza, Tea, figura femminile che si contraddistingue per la forza
dirompente e la personalità esplosiva. In lei si intravede il germe di una
ribellione, quella contro un sistema che opprime e che decide per tutti, ma
anche la rivolta verso sé stessa. Suo fratello è Epi (Epimeteo), personaggio caratterizzato
da una sorta di negligente aderenza alla propria condizione esistenziale priva
di stimoli ed emozioni; la sua situazione cambierà radicalmente dopo lincontro
con la seducente Pandora, che gli farà scoprire
il fascino di sentirsi liberi. Infine, a dirigere le sorti di queste
personalità, cè Aetòs – traduzione letterale di aquila – che si presenta come
una sorta di coscienza, di raisonneur pirandelliano che orienta le
azioni, i pensieri e le decisioni altrui.
La messinscena di De
Summa ripropone una struttura già sperimentata in prove registiche precedenti
(si pensi a La sorella di Gesucristo del 2016), quella del racconto suddiviso in brevi sketches
che si susseguono dopo lenunciazione del titolo da parte degli attori. Lo
spettatore è posto immediatamente di fronte al finale della vicenda e tutto
quello che si svolge dopo altro non è se non lesplicazione delle cause che
hanno condotto la protagonista a questa conclusione. Il linguaggio adoperato
alterna un parlato quotidiano e colorito a espressioni dal timbro poetico, i
monologhi di Aetòs che spostano lattenzione verso riflessioni più profonde. Le
parole assumono un valore primario grazie allutilizzo quasi esagerato e
ridondante del meccanismo del loop station. Le frasi vengono pronunciate
e poi registrate, continuando a risuonare nello spazio cariche di intensità e
suggestione. Le riflessioni proposte da De Summa
colpiscono lo spettatore inducendolo a un
sorriso amaro, a unaffascinante riscoperta di pensieri e considerazioni
sullesistenza. Chi sono io? Cosa è racchiuso nel concetto stesso di «io»? Sono
le domande che costellano gli interventi del regista-attore i veri punti di
forza dello spettacolo.
Un momento dello spettacolo
© D. Burberi
La
scena progettata da Francesco Fassone è completamente spoglia: una parete
con macchie dai colori cupi, sulla quale vengono proiettati i giochi di luce
realizzati da Matteo
Gozzi.
I costumi, di fattura moderna, connotano ulteriormente i personaggi: il nero di
De Summa è abbinato alle tonalità sgargianti degli abiti succinti di Tea che simboleggiano la forza della sua scintilla e si
contrappongono ai colori pastello di Epi. Indiscusso protagonista dello
spettacolo è luso della voce associato a quello delle musiche e dei suoni: urla
esasperate alternate a versi sussurrati con voce bassa e calda, rumori e parole
la cui portata espressiva è enfatizzata dagli effetti sonori. A essi si
affiancano le musiche, tra cui spicca Space Oddity di David Bowie, canzone inizialmente solo accennata, poi sussurrata e
infine urlata come canto liberatorio.
Se la prova attoriale di
tutti è ricercata e intensa, a risaltare è soprattutto leclettismo e
loriginalità di De Summa, che coinvolge e
diverte il pubblico mediante una performance
colorata da risate esorcizzanti, sguardi alienati e ironiche provocazioni.
Altrettanto mirabile la prestazione di Marina Occhionero – premiata agli
Ubu come miglior attrice under trentacinque – che si districa con disinvoltura
tra liniziale recitazione in stile rap, le confidenze sussurrate al
microfono e la rabbia disperata del finale.
Un momento dello spettacolo
© D. Burberi
È proprio il finale a
ribaltare questo percorso che sembrava procedere verso lautodistruzione di
Tea, tramite la riproposizione di quella prima scena che aveva avviato lo
spettacolo. Il cerchio si chiude con un cambiamento capace di dare speranza e
di creare quel famoso “lieto fine” cui, probabilmente, era tesa lintera
rappresentazione. Questa volta Tea non intende più suicidarsi e, sulle note di
Bowie, pone fine alla sua storia con un lungo monologo che chiama in causa la
paura, la notte, il senso delle proprie azioni, la forza di un fuoco
rivoluzionario e lintero mondo interiore che la convincente performance dellattore-regista
riesce a far emergere.