1989. Durante il
45° congresso socialista allex Ansaldo di Milano il volto di Benedetto Craxi
campeggia sui maxischermi della Piramide ideata dallartista palermitano Filippo
Panseca. Inquadratura così imponente e inafferrabile da ricordare quella di
Charles Foster Kane nel monumentale esordio di Orson Welles Citizen
Kane (1940), davanti alla gigantografia del proprio volto su un manifesto nel
corso di un comizio per la sua campagna elettorale a governatore di New York.
Se il regista del Wisconsin ricorre allindimenticabile “bocciolo di rosa”
(nella versione italiana “Rosabella”) per rappresentare la chiave di volta del
film, in Hammamet Gianni Amelio ci mostra lineluttabile fine
della parabola governativa di Craxi inquadrando un garofano rosso (simbolo del
Partito Socialista Italiano) sfiorito e quasi sconfitto riverso sul pavimento.
Seguendo il
filone internazionale ormai consolidato dei film biografici, il regista traspone
su pellicola gli ultimi sei mesi del primo socialista a diventare Presidente
del Consiglio, scappato dal fascicolo «Mani pulite» e rifugiatosi nella sua
villa algerina ad Hammamet, la stessa residenza dove sono state effettuate le
riprese per concessione della figlia Stefania,
ribattezzata Anita in omaggio alla moglie brasiliana di Garibaldi (e da un
calabrese come Amelio è tutto dire). Nel film ci vengono mostrate le klimtiane
tre “età” di Craxi: bambino ribelle che con una fionda rompe il vetro di una
finestra (richiamo al piccolo Kane che spinge fino a far cadere nella neve il banchiere
Thatcher venuto a portarlo via); uomo maturo durante il congresso suddetto allapice
del potere; vecchio claudicante ripreso di spalle con una carrellata a seguire,
fino a ritrovarlo sulla sedia a rotelle (ancora un parallelismo con Kane spinto
da un membro della servitù nella non più sfavillante residenza di Xanadu).
Una scena del film
Amelio allinterno
della sua filmografia ha indagato le varie sfaccettature della società italiana
– come in Così ridevano (1998) – senza mai trascurare la dimensione
soggettiva e i percorsi collettivi, ad esempio in Lamerica (1994) e nel
penultimo La tenerezza (2017). Seguendo
un percorso parallelo tra pubblico e privato, il protagonista, interpretato da
un qui “shakespeariano” Pierfrancesco Favino – quasi un Re Lear stanco e
sconfitto (se fosse stato americano avrebbe fatto incetta di premi) – si mostra
agli spettatori in tutta la sua debolezza fisica ma conservando una tenacia
mentale. Sempre lucido e attento alla famiglia, nonché alla situazione politica
in Italia, “il Presidente” trascorre le giornate circondato da guardie armate
fino ai denti e dallaffetto della figlia e del nipote. A un certo punto entra nella
sua vita Fausto, figlio del suo vecchio amico Vincenzo, apparentemente
suicidatosi dopo lo scoppio dello scandalo. Il giovane, invenzione di Amelio
che appare per la prima volta in tuta mimetica con il volto truccato neanche
fosse un messaggero di morte (viene in mente Martin Sheen in Apocalypse
Now, 1979), risulta
un vero e proprio punto debole del film, sia dal punto di vista narrativo che
interpretativo. La sua unica funzione è quella di pretesto per mostrarci Craxi
nella sua quotidianità durante le passeggiate nel desolante dedalo di viuzze
algerine. Il loro rapporto si basa sostanzialmente sullintenzione del
protagonista di affidare a lui le sue ultime memorie. Vincenzo lo riprende con
una videocamera: il girato ci viene proposto formato 4:3 anziché in quello
canonico in 16:9, quasi per dare la sensazione di un fittizio cinegiornale
(ancora di wellesiana memoria).
Il film è
permeato da un continuo sguardo nel passato: si vedano ad esempio i film che la
moglie guarda in televisione, dai western fino a Out of the Past
(1947) di Jacques Tourneur e a All That Heaven Allows (1955) di Douglas
Sirk. A un certo punto Craxi, in una metafora del suo rifiuto per il
passato, le si siede accanto e decide di cambiare canale passando al programma
televisivo Ciao Darwin condotto da Paolo Bonolis, preferendolo
quindi a Robert Mitchum. La televisione, il cosiddetto “quinto potere”
portato sullo schermo da Sidney Lumet nel 1976, è presente per mostrarci
anche un Silvio Berlusconi intento a commentare gli ultimi momenti di
potere di Slobodan Milošević durante la tragica guerra del Kosovo.
Una scena del film
Forse troppo
tardi entrano in scena altri tre personaggi, fondamentali ognuno a suo modo per
descrivere meglio il protagonista (ancora il richiamo alle varie “memorie”
volte a ricostruire il prismatico Kane). La prima figura è interpreta da Renato
Carpentieri, avversario democristiano con cui i due politici danno vita a
un dialogo illuminante, retto da una sferzante ironia come la battuta rivolta a
Craxi sul ritrovarsi con le dita (e le mani) non “pulite”; la seconda è Claudia
Gerini nelle vesti della conduttrice televisiva Patrizia Caselli, storica amante del protagonista che conserva
ancora nella sua memoria limmagine del politico invulnerabile e roccioso; la
terza figura è quella del padre (stavolta non padrone), interpretata dal recentemente
scomparso Omero Antonutti, presente in un discutibile (se non
imbarazzante) episodio onirico nel finale. Proprio la figura del padre funge da
colonna vertebrale del film: dal rapporto di Craxi con la figlia, personaggio
monocorde e petulante, a quello con il figlio Bobo, che nonostante tutto è
rimasto in Italia per provare a salvare lirreparabile, dichiarando ai
giornalisti con orgoglio «Il caso C. non è chiuso».
Hammamet presenta
non poche difficoltà narrative, sorretto ma anche ostacolato da una
sceneggiatura senza midollo spinale che fatica a percorrere con coerenza e decisione
una strada ben precisa, senza offrire punti considerevoli nelle oltre due ore
di durata. A salvare Amelio dalla stroncatura è sicuramente Favino, che fa
sfoggio del miglior metodo di mimesi appreso in gioventù alla scuola teatrale
di Orazio Costa, alternando con padronanza slanci di tenerezza
(specialmente nei riguardi del nipote) a virate di arroganza. Film sicuramente
non memorabile, con un Nicola Piovani che non lascia traccia, e che tuttavia
ha il merito raccontare il divario tra la Prima Repubblica e quella attuale,
quando un tempo i politici utilizzavano la prima persona plurale, quando si
parlava di popolo e non di gente. Nel malinconico bilancio della propria
esistenza, il Presidente ci lascia una lezione: è meglio aggiungere vita agli
anni piuttosto che anni alla vita.
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