Rilevanti qualità letterarie e
sociologiche motivano ladattamento teatrale del romanzo di Heinrich Böll. Lo spettacolo visto al
Teatro della Corte di Genova savvale duna sceneggiatura bene aderente al
racconto, nel suo procedere ad abile ricalco del linguaggio dorigine per
serbarne anche i nodi più complessi. Il romanziere tedesco, che aveva presto
denunciato il pericolo della prepotenza conformista dellinformazione nei
confronti dei soggetti più deboli con Raccolta
di silenzi del Dottor Murke (1955), era ritornato sul tema con il caso di Katharina
Blum (1974).
Una prima riuscita del testo sta,
oltre che nella suspense inerente al
genere, nella capacità di raffigurare, a un alto livello dimmaginazione e despressione,
situazioni sociali e storiche riconoscibili in Germania e nellOccidente novecentesco.
Personaggi di spiccata autonomia psicologica, affascinanti per la loro
fragilità latente, esposti ai limiti della libertà e ai rischi derrore delle proprie
scelte. Così la semplice e onesta lavoratrice Katharina, fra ingenuità e
ignoranza, viene coinvolta in una vicenda che finisce per stritolarla. Vicenda
che dimostra come anche la sincerità, quando incontra un interprete in
malafede, possa deviare fino alla menzogna. Non di una fatalità mitica e
astratta, ma di azioni coscienti di persone responsabili, resta vittima la
donna che – per loccasionale frequentazione di un piccolo, insignificante
pregiudicato, di cui sinnamora e che aiuta a nascondersi – diventa strumento
della carriera dun giornalista senza scrupoli. Saranno infatti gli articoli scoop del cronista Werner Tötges a distruggere la reputazione della governante dei
coniugi Blorna, coppia matura dalle consolidate abitudini borghesi.
Un momento dello spettacolo © Simone di Luca
Le fasi dellinchiesta
diffamatoria, tanto sagacemente articolate in Böll, trovano adeguata misura
teatrale nel testo adattato da Letizia
Russo che, nella scansione in scene a dissolvenza incrociata, prepara la
messa in scena del regista Franco Però.
Grazie alla scenografia di Domenico
Franchi – “a zone” ora distinte ora interagenti fino alla sovrapposizione
quali la camera di Katharina, la casa dei Blorna, il commissariato o lesterno
– quei luoghi diventano funzionali, mediante unilluminazione combinata in
diverse gradazioni contrastate. Lazione può procedere drammaticamente sia nella
narrazione in prima persona della protagonista, sia nei dialoghi con gli
interlocutori.
La recitazione ha dunque epicità
e coinvolgimento negli attori: tanto più intensa quanto più sa moderare
lintimismo della confessione, lenfasi dello sdegno o del dolore. Esemplare,
in questo, Elena Radonicich
(Katharina), quando racconta sé stessa e stabilisce un rapporto con un proprio
“doppio” oggettivato, rispetto allimmediatezza della testimonianza della sua
crisi e del tentativo di reagire. E accanto a lei Peppino Mazzotta (Hubert Blorna) ed Ester Galazzi (Trude Blorna), marito e moglie, cordialmente affettuosi
con la domestica che assicura la gestione del loro ménage. Sottilmente uniti, i coniugi, da allusioni a discordie o in
maliziose complicità; finché dal benessere goduto con signorilità precipitano
nellindigenza economica e morale per il coinvolgimento con le altre persone che
si scoprono (ad effetto ritardato) connesse a Katharina, a partire
dallimprenditore e politico amico, Emanuele
Fortunati (Alois Sträubleder).
Il riconoscimento del loro fallimento costituisce un episodio clou del dramma, che esprime in
grottesco, doloroso contrappunto le contraddizioni sottaciute e fatte
deflagrare dalla rovinosa caduta.
Un momento dello spettacolo
© Simone di Luca
Il commissario Moeding di Francesco Migliaccio alterna umori e decisioni
un po sorprendenti fra calcolo e scatto istintivo, inseguendo la soluzione più
facile dellindagine: un eccepibile agente della giustizia, plausibile nei difetti
comportamentali assorbiti dalla normalità. Else, la madrina di Katharina, è
resa da una Paola Bonesi sensibile e
apprensiva, incapace però di aiutare la sua pupilla, perché anchella smarrita
in eventi che non domina e non capisce. Il giornalista, motore della triste
storia, ha in Riccardo Maranzana un
interprete esuberante e spaccone, compiaciuto artefice del piano dinchiesta e
di cronaca scandalistica abilmente montato. Finirà ucciso dalla sua vittima.
Landamento della
rappresentazione è organizzato ciclicamente: inizia con la confessione di
Katharina («Lho ucciso io, vado a farmi arrestare…») e similmente finisce, con
la donna che vaga per la strada, dopo avere sparato al suo implacabile aguzzino,
proclamando la propria colpevolezza. Necessaria? Gli spettatori così la sentono,
nellapplaudire con convinzione.
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