Non
è la storia ma la perfezione del “concertato” a trascinare lo spettatore dentro
di essa, spaccando la quarta parete, nonostante la frontalità della
scena che lartista palermitana Emma
Dante seguita a preferire come spazio agito (e delimitato) tra fondo e
ribalta. Così come dal buio devono emergere, a un tratto, i suoi attori-fantasmini:
più e meno di personaggi, riconoscibili (da chi abbia
dimestichezza con il “poema teatrale” dantiano) ma sempre nuovi per lintreccio
sonoro, ritmico, delle loro scansioni corporee e vocali. In questo piccolo
capolavoro, infatti, si condensa il dialetto reinventato di mPalermu in
infusione con il pugliese, come in Le sorelle Macaluso.
Un momento dello spettacolo @ Masiar Pasquali Tre
donne e un ragazzo sono disposti, nellincipit,
sul fondo, seduti su seggioline pieghevoli e con una prossemica che ne anticipa
raggruppamenti e antagonismi: due delle femmine (Nuzza-Manuela Lo Sicco, Anna-Leonarda
Saffi) a sinistra sferruzzano e soprattutto confabulano, a destra una sola
(Bettina-Italia Carroccio), che le
altre tendono a isolare; creatura di separazione, e di contesa, il “pinocchietto”
autistico (Arturo-Simone Zambelli),
dai legnosi movimenti (apparentemente) spastici e ripetitori, ma intonati, per
la consueta musicalizzazione, al ticchettio dei ferri da calza. Poi la fila (o
schiera) si disfa per dare vita ad azioni che, di quando in quando,
percorreranno lo spazio che divide il fondale dal proscenio, sostando sovente
su questultimo o in sua prossimità. Sono quadri sorprendenti perché vi si
rovescia di continuo, ma per salti, la prospettiva: dal paradosso duna gioia
di vivere nel degrado al tragico che da quel degrado, nel passato
rievocato, è scaturito; e anche viceversa. Finché non si scopre, come avviene
spesso nella Dante più recente, che al di là dei bisticci (anche) meschini e
delle contrapposizioni, in questa parte emarginata del mondo, sussiste la
misericordia.
Un momento dello spettacolo @ Masiar Pasquali Una
misericordia “materna” (che riecheggia nel termine-titolo una preghiera) ha
portato le tre apparenti donnette a prendersi cura del figlio difettato, prima
ancora della nascita, duna loro compagna, vittima delle violenze dun disumano
falegname (Geppetto). Lo spunto fiabesco – ormai componente sostanziale della
produzione dantiana – è calato in una realtà anomala ma vera, dove solo pochi
oggetti residuali, come le passioni scolpiti da colpi di luce, offrono
allimmaginazione leffetto della miseria e del deterioramento. Fortissima la
scena in cui latroce narrazione dei calci nella pancia gravida della
disgraziata Lucia (che ne muore) scaturisce da accuse reciproche che, invece,
sono mosse da un sentimento di solidarietà, dal comune amore per la madre e per
il figlio, e dalla frustrazione dellimpotenza. Altrettanto forte (anche per
leffetto sorpresa) il quadro della svestizione delle stesse donne, dalle
vestagliette casalinghe ai tanga da prostitute, in un ballo grottesco e
dolente, dove il primo piano del corpo voluminoso di una di loro (Anna-Leonarda
Saffi) colpisce senza vergogna per la perfezione dei movimenti. Daltra parte,
come anticipato, la più o meno latente tragicità di tali scene è compensata dai
riti gioiosi e (al fondo) malinconici con cui le madri adottive si prendono
cura del pinocchietto indocile, il quale passa dagli spasmi autistici a
unesuberanza straordinaria, aleatoria e svolazzante, che pure (mediante
sottili e raffinati innesti) li comprende. Per tutte, si veda la scena del suo
difficile addormentamento, comicamente ripetuta eppure colma di struggente
tenerezza. Così come struggente è il congedo.
Un momento dello spettacolo @ Masiar Pasquali Infatti il destino di questo “Pinocchio”, giunto alliniziazione
delladolescenza, non può essere che listituto. Commuove anche il quadro in
cui Zambelli simula, con gesti “discreti” e parimenti “fluidi”, la difficoltosa
riuscita duna vestizione da ragazzo “normale”. Ma nella valigetta che si
porterà dietro le sue fate madrine zeppano ricordi evocati dal mondo degli
oggetti caro alla Dante: dalla crocetta, alla foto, al carillon; e il finale
non è paradossalmente infelice. Dopo aver salutato, chiamandole “mamma”, le tre
donne che lhanno accudito, il ragazzino conserva la vitalità dun burattino
deccezione: posto allestremo limite sinistro del boccascena, come se stesse
per balzare giù, investito dalla luce, suona la sua
trombetta (come quando passa lamata banda).
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