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L’umana eternità del mito di Antigone e Creonte

di Giulia Bravi
  Antigone
Data di pubblicazione su web 16/12/2019  

Antigone di Sofocle è una tra le tragedie più rappresentate, riscritte e studiate nella storia del teatro occidentale; penso alle versioni di Bertolt Brecht e Jean Anouilh o alla messinscena del Living Theater del 1967, per citare solo alcune delle più note. La storia della principessa, figlia di Edipo, che sacrifica la propria vita per offrire degna sepoltura al fratello, considerato nemico pubblico dalla città di Tebe, per secoli è stata letta come un conflitto dialogico tra poli opposti: la giustizia divina e la giustizia umana, la ragione del cuore e la ragione di stato, la donna e l’uomo, il figlio e il padre, e così via. E Antigone è stata variamente interpretata come la paladina, talvolta “femminista” ante litteram, talaltra “partigiana”, che in nome di un Bene assoluto si scontra con il rappresentante del Male, Creonte.

Massimiliano Civica, in veste di regista e traduttore, fa un passo indietro nei confronti del testo sofocleo, riavvolgendo anni e anni di interpretazioni per tornare alla materia vergine e al suo contesto d’origine. Assistiamo perciò a un cambio di prospettiva che sposta l’attenzione dalla polarità tra bene e male all’eterno conflitto dell’animo umano costretto a muoversi nell’incertezza delle proprie scelte. Posta sotto questa luce la vicenda scioglie ogni nostra sicurezza di spettatori, disattendendo felicemente ogni aspettativa.


Un momento dello spettacolo
@ Duccio Burberi

Civica condivide con il pubblico il proprio modus operandi nel corposo libretto di sala. La sua lettura del testo originale è all’insegna del rispetto filologico. La parola è protagonista: sussurrata, cadenzata, mangiata, gridata, negata. Spogliata della retorica di cui spesso è investita la tragedia antica, la recitazione degli attori si asciuga e quella di Antigone torna a essere soprattutto una vicenda umana.

Nonostante Civica dichiari di prendere le distanze da qualsiasi riferimento alla contemporaneità, i costumi di Daniele Salernitano ci rimandano esplicitamente al secondo dopoguerra. Una contraddizione fortemente voluta dal regista che riduce la politica ad “accessorio” scenico: la divisa di Creonte che porta al collo il fazzoletto rosso dei partigiani, la tenuta fascista del cadavere-fantoccio di Polinice. Ancora un segno di rottura, dunque, nei confronti di una tradizione registica che vorrebbe Creonte rappresentante dei regimi totalitari e Antigone il suo contraltare. Abbandonato in scena nella penombra, quel corpo di pezza martoriato sembra ricordarci che, qualsiasi schieramento politico rappresenti, non è altro che uno strumento nelle mani della volontà dei singoli. Quanto valgono davvero le morti sulle quali da sempre costruiamo battaglie ideologiche, morali, politiche, religiose e sociali, solo per soddisfare il nostro desiderio di certezze?


Un momento dello spettacolo
@ Duccio Burberi

Attoniti di fronte al palcoscenico spoglio del Fabbricone di Prato non sappiamo più per chi parteggiare; fatichiamo a comprendere le ragioni dell’Antigone sulle righe di Monica Piseddu che, nella sua veste di seta azzurra, in preda ad attacchi di risatine isteriche, non ci appare così diversa dal confuso Creonte di Oscar De Summa, forse epicentro vero della vicenda. Le riflessioni di Civica sono supportate da accurate ricerche bibliografiche, secondo cui per il pubblico ateniese del V secolo a.C. lo scontro tra queste due figure rappresentava quello tra Oligarchia (Antigone) e Democrazia (Creonte; cfr. Libretto di sala).

Al fianco dei protagonisti si muovono gli altri personaggi, sempre presenti sul palco. Il Corifeo è interpretato da Marcello Sambati, unico rappresentante di quel coro silente che il regista sembra voler affidare a noi spettatori. Ismene, canonica incarnazione della “neutralità” politica, è la prima a gettare un pugno di terra sul cadavere del fratello a scena aperta; è Monica Demuru a darle voce, così come la presta a Giocasta e all’indovino Tiresia. Francesco Rotelli interpreta sia Emone sia la guardia, caratterizzando quest’ultima con un accento romanesco che spezza la tensione tragica strappando qualche sorriso.


Un momento dello spettacolo
@ Duccio Burberi

Gli attori si muovono all’interno di un semplice rettangolo luminoso che sembra fungere da orchestra. Dietro di esso e di fronte a noi, una panca di legno sulla quale si consuma il fuori scena, costringendo gli attori a non uscire mai totalmente dalla finzione. Pochi ma evidenti sono i gesti che accompagnano questo teatro tutto d’attore: una mano aperta che accarezza o nasconde la vista del cadavere, un indice puntato in segno di giudizio e ancora il contatto fisico, umano tra i personaggi. La tragedia si conclude in sospensione: Creonte non riesce a proferir parola davanti all’assemblea, ha la voce rotta e le corde vocali mute. L’ultima immagine prima del buio è quella di un uomo che non invidiamo ma non siamo più in grado di giudicare, che ha distrutto la propria vita in nome di un ideale comune, lasciandoci in eredità la sua perdita di centro e un dolore senza riscatto.

Di fronte agli spettacoli di Civica abbiamo spesso la sensazione di non trovarci di fronte al punto di arrivo di una riflessione, ma soltanto a metà di un cammino la cui meta va oltre la singola messinscena e sembra comprendere un discorso più ampio che riguarda la poetica del regista. Non siamo però convinti, da spettatori, di gradire fino in fondo la quantità di informazioni forniteci nel libretto di sala. Il teatro ha davvero bisogno di essere così svelato?



Antigone
cast cast & credits
 


Un momento dello spettacolo visto il 4 dicembre 2019 al Teatro Fabbricone di Prato

@ Duccio Burberi


 
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