Vivere
in tempi interessanti, si dice, è un malaugurio. I nostri lo sono per sostanza
e cronaca. Sostanza è lerba che cresce per un nuovo raccolto. «Lo sviluppo del
costituzionalismo globale ha un chiaro fondamento nelle insufficienze dei
costituzionalismi nazionali. Le costituzioni nazionali non sono bastate per
evitare crimini orrendi. Gli Stati stessi, invece di proteggere le libertà dei
cittadini, le hanno in vario modo limitate. Sono, allora, apparsi necessari
principi superiori, capaci di limitare gli Stati e le relative costituzioni. Ma
come possono essere posti tali principi, senza una Costituzione globale, che a
sua volta richiederebbe una assemblea costituente cosmopolita?». «Lentamente e
con fatica si stanno affermando alcuni principi comuni nel mondo, dal rispetto
della vita umana alla pace, allaccettazione del movimento della finanza, delle persone e delle merci». (S.
Cassese, Il costituzionalismo globale
avanza, in «Il Sole 24 Ore»,
26 maggio 2019, p. 27, recensione a Global Constitutionalism From European
And East Asia Perspectives, a cura di T. Suami et al., Cambridge, Cambridge
University Press, 2019). Un buon augurio.
Il
seme fu laccordo del 1928 a Parigi che dichiarò illegale la guerra. «Prima del
1928, ogni Stato faceva propria la posizione opposta. La guerra non era un
allontanamento dalla politica civile; era politica civile. Per gli Stati
risultava infatti inconcepibile farne a meno. I firmatari del patto cercarono
di porre fine alla guerra fra gli Stati rinunciando a essa come strumento di
politica nazionale. Questa rinuncia segnò linizio di una trasformazione, non
la fine. Analogamente a quanto era stato per la dichiarazione dindipendenza
degli Stati Uniti, il patto rappresentava una categorica rottura con il
passato. Prometteva inoltre un nuovo ordine legale e politico, per quanto
ancora indefinito. Proprio come cerano volute la guerra dindipendenza, il
venir meno della prima costituzione degli Stati Uniti (nota come gli Articoli
della Confederazione) e la ratifica della seconda costituzione nel 1789, perché
si compissero le promesse della dichiarazione dindipendenza, ci sarebbero
voluti due decenni di lotta, compresa una guerra mondiale, il fallimento della Società delle Nazioni e listituzione
delle Nazioni Unite, perché le promesse del patto divenissero realtà» (O.A.
Hataway e S.J. Shapiro, Gli internazionalisti. Come il progetto di bandire
la guerra ha cambiato il mondo, Vicenza, Neri Pozza, 2018, p. 14). «Al
posto della guerra, il diritto internazionale conta sullemarginazione». «Lo
scopo non è la vendetta, quanto rimettere in riga chi si è comportato male» (ivi,
p. 440).
La
cronaca. «Lazienda di analisi dati che ha lavorato col team elettorale di Trump e nella vittoriosa campagna di Brexit prelevò milioni di
profili Facebook di elettori USA, la maggiore infrazione mai vista dei giganti
tecnologici, e li trasformò in un potente programma software per predire e
influenzare le urne. Un informatore ha rivelato all«Observer» che Cambridge Analytica – allora diretta da Steve Bannon, consulente chiave di
Trump, e di proprietà di Robert Mercel,
miliardario fondatore di un fondo avvoltoio – usò dati personali presi senza
autorizzazione a inizio 2014 per costruire un sistema di profilazione
individuale degli elettori USA, bersaglio di spot elettorali personalizzati. Christopher Wylie, che lavorò con un accademico
dellUniversità di Cambridge, ha detto all«Observer»: “Usammo Facebook per prelevare milioni di profili
personali. E costruire modelli per sfruttare ciò che sapevamo di loro e colpire
i loro demoni interiori. Era la base su cui era costruita la società» (R.
McNamee, Zucked. Waking Up to the Facebook Catastrophe, London, HarperCollins,
2019, pp. 180-181). «Secondo un calcolo di Google, per i nati tra il 1980 e il
2000 lattenzione del cervello allo schermo del computer dura nove secondi.
Dopo si distrae, e ci vuole un nuovo stimolo per attivare la concentrazione» (A.
Beuve-Méry, Une génération en déficit
dattention, in «Le Monde»,
12 giugno 2019, p. 29).
«Allarrivo
nella Sala Ovale Trump promise di ristabilire la potenza USA. Il suo metodo si
è rivelato trasformare in armi una massa di attrezzi economici. Il mondo può
vedere così la forza impressionante proiettata da una superpotenza svincolata da regole o alleati». «Cè
aria di ammutinamento». «Trump ha ragione, il network dà agli USA un vasto
potere. Ci vorranno decenni e una fortuna per sostituirlo. Ma se ne abusi,
finirai col perderlo» (Weapons of Mass Disruption,
in «The Economist», 8-14 giugno
2019, p. 13). «Lo storico Walter Russell
Mead, 66 anni, il primo ad aver inquadrato The Donald in un filone di
pensiero tradizionale – quello che affonda le sue radici nel presidente
populista Andrew Jackson – avverte:
“Il suo approccio alla politica estera è quello di un immobiliarista. Il modo
in cui concepisce le sue mosse, questo caotico negoziare mirato a creare
incertezza nellavversario: è tutto scritto nel suo The Art of Deal, il
suo libro sullarte di fare affari» (A. Lombardi, Walter Russell Mead: “Donald in politica estera ha larte
dellimmobiliarista”, in «la
Repubblica», 16 giugno 2018, pp. 17-18).
Questa
disgregazione di massa nasce dallindebolimento dei grandi partiti, e da un
mercato politico di demoni elettronici da nove secondi, perché «la rete
educativa, infrastrutturale e di sicurezza sociale a sostegno duna prospera
classe media esige sostanziali entrate fiscali. Per mantenere il sistema ci
vuole un terzo pilastro: grandi
imprese radicate nel territorio». «Democrazie solide possono superare bene
questo periodo di turbolenza. Ma sarebbe sbagliato darlo per scontato» (Votes of confidence, in «The Economist», 15-21 giugno 2019,
p. 66). Forse lUE, ma «Trump, nella visione di Bannon, è una fase, persino una
deviazione, nella rivoluzione che da lui prende il nome e da sempre ha a che
fare con la debolezza dei due partiti maggiori. La presidenza Trump – non
importa quanto duri – ha creato la finestra di opportunità per gli outsider
veri. Trump è solo linizio. In piedi sui gradini di Breitbart News, quella
mattina di ottobre [2017], Bannon sorrise dicendo: “Sarà una cosa selvaggia, di
brutto”» (M. Wolff, Fire And Fury, Paris, Little-Brown, 2018, p. 310).
Malauguratamente, Brexit.
«La
costituzione britannica è un guazzabuglio di contraddizioni disseminate in
innumerevoli leggi, convenzioni e regole». «Un tempo i legislatori britannici
erano per lo più consci che agire dimpulso con le regole può compromettere la
democrazia. Forse per questo usavano moderazione. Ma negli ultimi decenni,
quando la democrazia liberale pareva inattaccabile, hanno scordato la cautela».
«Il fatto stesso di uscire dallUE porrà nuovi dubbi sulla costituzione. La
Carta dei Diritti Fondamentali, che consacra nella legge i diritti dei
cittadini europei, non regolerà più i tribunali inglesi». «Da qui una
preoccupazione finale. La sgangherata e facilmente emendabile costituzione è
vulnerabile alla radicalizzazione politica di tre anni ai remi di Brexit».
«Molti britannici sembrano
spensieratamente inconsapevoli della prossima prova». «Brexit è stata a lungo
una crisi politica. Ora sembra destinata a divenire anche crisi costituzionale.
È una crisi a cui i britanni sono vergognosamente impreparati» (The
Next to Blow, in «The Economist»,
1-7 giugno 2019, p. 7). Noi pure. «Il problema dellUnità dItalia, di come sia
avvenuta e di quali fratture abbia lasciato il sedimento, si pone ogni volta
che, cambiando le sfide del presente, si è spinti a voltarsi indietro e a
riflettere sulle parole di Antonio
Gramsci: “Realmente lunità nazionale è sentita come aleatoria, perché
forze ‘selvagge, non conosciute con precisione, elementarmente distruttive, si
agitano continuamente alla sua base”. Oggi quelle forze selvagge si manifestano
di nuovo. Vediamo affiorare spaccature profonde lungo crinali antichi» (A.
Prosperi, Un volgo disperso. Contadini dItalia nellOttocento, Torino, Einaudi,
2019, p. X).
Sullonda
della crisi dei grandi partiti storici è tornata la strana coppia UK-Italia,
che Soros, allora solo profit,
cacciò dal Sistema Monetario Europeo nel 1992. La preda ora è il mondo intero,
in libera e selvaggia caccia. Ma «la scelta tra diritto e potere è falsa. Non
esiste vero potere – un potere utile
a conseguire importanti e duraturi obiettivi politici – in assenza di diritto.
Il diritto crea il potere concreto.
Come scoprirono i giapponesi nel 1931, non bastava occupare la Manciuria se
nessuno trattava la Manciuria da Manciukuò. La Russia sta oggi imparando
nuovamente questa lezione con la Crimea». «La stessa lezione la sta scoprendo
la Cina nel Mar Cinese meridionale. Può occupare tutte le isole che vuole, ma a
poco valgono fintanto che il resto del mondo si rifiuta di riconoscerle. Cè
del fatalismo nel dipingere un mondo che riposa sul potere statale, e non
lascia molto spazio allagire umano. La vicenda della trasformazione del
vecchio ordine mondiale nel nuovo sta però a dimostrare che, se il diritto
determina il potere, le idee – e coloro che le elaborano e le diffondono –
determinano il diritto. La forza bruta, come acqua impetuosa, va controllata e
incanalata». «Se il diritto è ciò che dà forma al potere reale, e le idee danno
forma al diritto, allora abbiamo il controllo sul nostro destino. Possiamo scegliere di riconoscere
certe azioni e non altre. Possiamo collaborare con chi segue le regole ed
emarginare chi non lo fa. E quando le regole non funzionano più, possiamo
cambiarle» (Hataway e Shapiro, Gli internazionalisti, cit., pp. 491-492). Si chiama
libertà, nel diritto e nella democrazia.
Invece
i «movimenti creati per proteggere gli interessi e esaltare le identità
nazionali, a conti fatti si rivelano strani compagni di letto. I governi Jaroslaw Kaczynski in Polonia e Viktor Orban in Ungheria hanno a lungo
fatto orecchie da mercante alle richieste italiane di redistribuire in UE i
richiedenti asilo africani. Problema ora aggirato: nuovo mantra della destra
populista è la risposta di sigillare le frontiere europee. Ma accordarsi sulla
politica economica sarà più difficile. LAFD e gli altri gruppi nord-europei di
estrema destra vogliono proprio lausterità fiscale che Salvini denuncia come freno alleconomia italiana» (A Posse of
Patriots, in «The Economist»,
13-19 aprile 2019, p. 23). È il ciascun per sé spacciato per sovranità nella
nostra economia poco innovativa nei prodotti e avvezza a espedienti di
svalutazioni competitive e condoni fiscali, che solo aggravano i nostri
ritardi. Leuro impedisce le svalutazioni competitive e nella parità stabilita
è una forte leva del nostro commercio estero, tuttora attivo per cinquanta
miliardi. «Ma questo spiega perché una crisi di governo dopo le elezioni
europee può spingere indietro lItalia nella spirale viziosa delle paure di
mercato sulla sua solvibilità, portando a costi del debito più alti e a deficit
ancor maggiori. Un governo populista di destra Salvini può essere più omogeneo
e armonico. Ma
perfino più temerario fiscalmente» (Out of the Frying Pan, but into What?, in «The Economist», 11-17 maggio 2019, p. 20). Quel che si dice spararsi nei piedi.
In
effetti, Bannon opera da tempo anche da noi. «Il piano di Steve Bannon, già
direttore strategico di Trump, per lanciare unaccademia della destra
alternativa in un monastero italiano, rischia di essere interrotto dautorità.
Il business plan per averlo in
affitto è falsificato. Bannon
paga 100.000 lanno per la Certosa di Trisulti, antico monastero certosino
sulle montagne a est di Roma. Dello stato, nel febbraio 2018 il ministro per i
beni artistici e culturali lo ha concesso in affitto per 19 anni a una
organizzazione no-profit di base a Roma, lIstituto Dignitatis Humanae, di cui
è amministratore fiduciario Bannon. Due organismi ufficiali stanno indagando
sulla concessione». «Bannon ha definito lAccademia per lOccidente
Giudaico-Cristiano, che lIstituto intende aprire nel monastero in autunno, una
“scuola di gladiatori culturali”. Il direttore dellIstituto, Benjamin Harnwell, dice che essa
offrirà un master con corsi di filosofia, teologia, storia ed economia. Bannon
curerà di persona il corso complementare sulla pratica di leadership politica».
«La controversia sul business plan è
solo lultima di varie batoste subite dallIstituto negli ultimi mesi. Da
dicembre Luca Volonté, ex democristiano
suo presidente, è sotto processo a Milano, accusato di corruzione per 2,4
milioni di € ricevuti da fonti dellAzerbaigian private e pubbliche. Presunto
pagamento per laiuto a bloccare, quale parlamentare del Consiglio dEuropa, la
denuncia di violazione dei diritti umani in Azerbaigian. Volonté nega. Harnwell
ha fondato lIstituto Dignitatis Humanae nel 2008 aiutato da vari eminenti
cattolici. Tra di loro Austin Ruse,
presidente del Centre for Family and Human Rights in America, e liberali come Lord Alton, pari inglese già politico
liberal-democratico. Ma come Harnwell ammette, con il visibile e crescente
ruolo di Bannon molti membri e funzionari liberali, incluso Lord Alton, hanno
lasciato. Ultimo un prelato vaticano di alto rango, il Cardinale Peter Turkson»
(Academic Controversies, in «The Economist», 25-31 maggio 2019, p.
30). «Astra inclinant non necessitant».
ANTI
SOCIAL SOCIAL GROUP.
Stampata su una t-shirt, la scritta va interpretata, ma si tratta sempre di
social. Anche il denaro è sempre denaro, ma ci fa lavorare insieme solo se
circola in modi eticamente e tecnicamente corretti, come il traffico,
altrimenti sono guai grossi per tutti. È materia di educazione pubblica, non di
sovranità. Le regole che danno valore al denaro prescindono dal consenso elettorale. Chi lo dice imbroglia o è
imbrogliato e azzera il valore di denaro e voto. Specie per chi ha poco potere
e denaro, democrazia è intelligenza. I mini-bot ci riportano ai mini-assegni
degli anni Settanta, sostitutivi delle monete, sparite perché di valore
nominale inferiore a quello del loro metallo, quando inflazione e interessi sui
BOT erano al 20%, ma eravamo, si dice, sovrani. Fatturati i demoni politici, Mark Zuckerberg ha annunciato la
“libra”, la moneta elettronica di Facebook che «mira in particolare ai paesi in
sviluppo dove il sistema finanziario e la moneta non sono sempre stabili:
India, Brasile, Venezuela, Argentina …» (V. Chocròn e A. Piquard, Facebook veut bousculer les monnaies, in «Le Monde», “Éco&Entreprise”, 18 giugno 2019, p. 12).
Sulla china di un sistema finanziario e monetario
italiani sempre più instabili, lira o libra?
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