Alessandro Rossetto, documentarista di
lungo corso, è approdato al lungometraggio di finzione nel 2013, con Piccola patria al Lido di Venezia in
concorso “Orizzonti”. Sempre attento alla documentazione del “vero” anche per
questa seconda prova creativa parte dallosservazione del reale e cioè dalla
crisi che la mondializzazione provoca in una operosa ma fragile, ancora quasi
artigianale, realtà di provincia. Siamo nel nordest dItalia, dove i venti di
crisi sono ancora contenuti dal forte tessuto sociale e affettivo, dove il profitto
viene ancora visto come il risultato di un accorto mix di intraprendenza e
tenacia. Dove il cinismo imprenditoriale è però ancora solidamente ancorato al
valore della competenza e della capacità lavorativa.
Una scena del film © Biennale Cinema 2019
Un
mondo di architetti e geometri che hanno fatto la loro fortuna con
ristrutturazioni e villette, con piccole quotidiane corruzioni di funzionari
comunali. Ma quando al vivacchiare si sostituisce lambizione del fare le cose
in grande, di inseguire il cinismo di una modernità estranea, i germi della
catastrofe sono gettati e maturano rapidamente. E così larchitetto e la sua
famiglia, sempre solidali nella propria misura, pagheranno a caro prezzo la
dismisura dellessersi messi sul mercato globale senza gli strumenti adeguati.
La loro ingenua oltranza (inserirsi nel business della vecchiaia agiata) viene
stritolata dal cinismo planetario di faccendieri ormai complici della
colonizzazione dei grandi capitali cinesi. Questi fiutato
laffare, planano dal lontano oriente e levano lossigeno agli sprovveduti
campagnoli. Si farà tutto quello che i provinciali avevano sognato, ma loro ne
saranno inesorabilmente fuori. Ottime le intenzioni. Il risultato un po piatto
e didascalico.
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