Abbandonando gli elementi
thriller che avevano contraddistinto il precedente omonimo cortometraggio, Madre di Rodrigo Sorogoyen narra la complessa relazione tra Elena (Marta Nieto), quarantenne spagnola il
cui figlio è scomparso dieci anni prima sulla stessa spiaggia dove lei ora
vive, e Jean (Jules Porier), un
ragazzo francese in cui la donna rivede la figura cresciuta del proprio bambino
perduto.
Una storia damore insolita,
fatta di sfumature, di sovrapposizioni e di ambiguità. La gioia che Elena trae
da quelladolescente che si manifesta come la reincarnazione del figlio è
incrinata dalla caducità di unillusione consapevole che si sa durare solo una
flebile estate. Mentre Jean prova per quellaffascinante, triste donna
unattrazione irresistibile, tra i due si crea un “equilibrio” tanto delicato quanto
precario, puntualmente messo in crisi dal nugolo di personaggi intorno a loro,
incapaci di cogliere la necessità profonda del loro rapporto. Seppur inevitabilmente
destinato a finire in breve tempo, quellincontro rappresenta per entrambi
loccasione di una riconciliazione con sé stessi: per Elena è il superamento di
un lutto da cui non è mai riuscita a emergere definitivamente e che gli ha
tolto ogni gioia di vivere; per Jean è lopportunità di trovare il coraggio di uscire
dal bozzolo delladolescenza per iniziare ad affacciarsi sul mondo degli
adulti.
Una scena del film © Biennale Cinema 2019
Sorogoyen dirige con eleganza e
precisione, prestando sempre molta cura nella composizione dellinquadratura e senza
mai abbandonarsi a inutili virtuosismi. In particolare, luso dei campi lunghi
restituisce unimmagine ricca di presenze invisibili le cui forze operano incessantemente
sul film: il bambino scomparso, locchio costante della madre che ancora lo
cerca, le orme dei bagnanti sulla sabbia. Di grande efficacia è anche lo stacco
iniziale che collega la tragica telefonata in cui Elena parla lultima volta
con il figlio con la ripresa della spiaggia dove il fanciullo è scomparso. Invano
lo spettatore cerca, nascosta tra le onde e gli scogli, quella piccola figura
solitaria: lentamente appare una terribile scritta, «dieci anni dopo», e in un
semplice gesto si frantuma ogni speranza. Una scena del film © Biennale Cinema 2019
Da sottolineare anche la prova
dei due protagonisti: tra Marta Nieto e Jules Porier sembra esserci una
naturale alchimia che rende spontanei le carezze, i baci, gli sguardi con cui
comunicano tra loro. Un amore mai triviale, ma mai neppure del tutto casto, e
per questo sempre vero e credibile: il bacio finale con cui si congedano è il
suggello di questo ineffabile legame che solo unimmagine privata di inutili parole
e di sclerotici pregiudizi riesce a restituire.
In concorso per la sezione “Orizzonti”, Madre si contraddistingue per la maturità dimostrata dal regista e
dagli attori nellaffrontare un tema tanto sottile esposto al rischio di scadere
nel “falso”, nel “costruito”. Invece, grazie anche a un abile lavoro sui
rapporti visivi tra personaggio e ambiente e sullasse del visibile e
invisibile, Sorogoyen sorprende lo spettatore per raffinatezza e profondità.
*Dottorando in Storia dello spettacolo presso lUniversità di Firenze.
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