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Eccessi di nostalgia

di Matteo Citrini*
  Ji yuan tai qi hao
Data di pubblicazione su web 27/08/2019  

Una produzione quasi da kolossal è all’origine di Ji Yuan Tai Qi Hao, film d’animazione cinese incentrato su un triangolo amoroso nella gloriosa Hong Kong del 1967; città in cui la natura non ha ancora ceduto del tutto il passo alla modernità e la vita sembra scorrere “più lenta e felice”.

Coadiuvato da un drappello di decine di disegnatori e animatori, Yonfan dirige una storia letteralmente di “altri tempi”: tra alberi in fiore ed eleganti salotti da tè, si discorre amorevolmente di letteratura e cinema, si combatte fianco a fianco per i propri valori politici e si può amare chiunque sfidando le discriminazioni e la legge. Un tempo idilliaco dove felicità e tristezza si amalgamano con equilibrio e grazia.



Una scena del film
© Biennale Cinema 2019

Tuttavia, solo nei recessi più reconditi della mente si celano i desideri più carnali e i timori più foschi: la sessualità repressa della quarantenne signora Yu esplode in sogno dopo la visita ricevuta dal giovane Ziming, nuovo insegnante di inglese della figlia Meiling. E le paure della donna, scaturite negli attimi che precedono la fuga amorosa con l’affascinante studente, appaiono come immagini di una sequenza flusso (l’influenza proustiana è palesata dai discorsi dei personaggi stessi che più volte accennano alla Recherche). Immagini oniriche con corpi che si trasformano continuamente in una libertà di forme e colori che solo il cinema d’animazione riesce a restituire. Monache caste, bruti banditi, sinuosi serpenti, giovani aitanti, gentili travestiti e donne trepidanti riempiono l’immaginario della signora Yu. Una danza di scambi e unioni in cui sogni e paure si dissolvono gli uni nelle altre.

Yonfan confeziona un’opera volutamente ricercata, multiforme e stratificata, con echi artistici e intellettuali. Ma la pregevolezza delle singole scene è invalidata dal risultato complessivo: una cornucopia di stili, temi e rimandi che collassano l’uno dopo l’altro lasciando la sensazione di un guazzabuglio più che di un’opera-mondo. Elementi favolistici si sovrappongono a commenti elegiaci, ricostruzioni di film in bianco e nero si alternano a scene da videoclip, personaggi grotteschi s’intromettono nelle sfumature liriche del difficile rapporto tra Ziming e Yu e Meiling secondo logiche non sempre comprensibili.


Una scena del film
Una scena del film

La stessa scelta di animare i personaggi come se fossero al rallentatore, dettata certamente dalla volontà di ricreare un ritmo di vita oramai scomparso, ottiene il risultato auspicato solo a metà: non è solo una questione di velocità dei corpi, ma piuttosto il modo profondamente diverso con cui esperiamo il mondo che ci distanzia da quell’epoca. 

Restano la vivacità delle immagini, la bellezza di una città chiaramente amata dal regista e la vitalità delle forme animate. Ma, sopra di essi, fa capolino una struttura filmica che regge a stento, debordando spesso nell’eccesso. Così la varietà multiforme da vanto diventa debolezza.



*Dottorando in Storia dello spettacolo presso l’Università di Firenze.
Impaginazione di Ludovico Peroni, dottorando in Storia dello spettacolo presso l’Università di Firenze.



Ji yuan tai qi hao
cast cast & credits
 

il regista Yonfan
il regista Yonfan



 
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