Dopo anni di
inaugurazioni “americane”, con film quasi sempre destinati a essere i
protagonisti della notte degli Oscar, nelledizione apparentemente più “povera”
di grandi autori è proprio a uno di loro che è toccato di aprire il concorso
della 76ª Mostra del Cinema di Venezia: Hirokazu
Kore-eda con La vérité. Dopo la
vittoria al Festival di Cannes dello scorso anno con Un affare di famiglia, il regista giapponese porta al Lido la sua
prima produzione internazionale, girata in Francia con Catherine Deneuve, Juliette
Binoche e Ethan Hawke. Fabienne, diva
del cinema francese, ha appena pubblicato unautobiografia. Per loccasione
nella sua casa di Parigi arrivano da New York la figlia Lumir (sceneggiatrice
di discreto successo), il genero Hank (attore di serie televisive con problemi
di alcolismo) e la nipotina Charlotte. Nel libro Fabienne ha “riscritto”,
inventato e “dimenticato” passaggi, atteggiamenti e persone importanti della
sua vita, generando una prevedibile serie di reazioni tra le persone che
circondano la sua vita (come le dimissioni del fido segretario Luc); queste
schermaglie familiari si incrociano con le riprese di un improbabile film di
fantascienza dove recita la stessa Fabienne. Su tutto aleggia il ricordo della
morte di Sarah Mondavan, migliore amica di Fabienne e attrice ancor più
promettente che, molti anni prima, si è probabilmente suicidata a causa di una
depressione che la protagonista ha contribuito a far degenerare.
Una scena del film © Biennale Cinema 2019
È sempre difficile per un autore cinematografico uscire dal proprio “mondo creativo”, soprattutto quando è profondamente radicato nella sua terra, dove quegli attori, quegli ambienti, quei paesaggi, quei colori rappresentano la forma e la sostanza del suo cinema e delle sue storie. Nel suo approdo in Francia Kore-eda sceglie quasi di nascondersi o meglio di mimetizzarsi nellambiente culturale che lo ospita, tanto che La vérité appare in tutto e per tutto come una commedia amara in perfetto stile “francese”, con tanto di Deneuve che continua imperterrita a interpretare “sé stessa”, o meglio quel personaggio che ha pervicacemente costruito negli ultimi venti anni di carriera. Il risultato è un film che, pur riprendendo le dinamiche tematico-narrative di carattere familiare tipiche del cinema di Kore-eda (la storia è tratta da una sua pièce teatrale e sua è la sceneggiatura), le diluisce e le depotenzia, rinunciando a quelle iperboli morali che solitamente esplodono alla fine del percorso dei suoi personaggi. Qui tutto si risolve nellevocazione del fantasma di una morte che avrebbe permesso alla carriera di Fabienne di decollare, ma la cosa non produce certo gli stessi effetti spiazzanti visti nel citato Un affare di famiglia o in The Third Murder (2017). Anche la parte delle riprese cinematografiche fatte in studi pieni di chroma key verdi e moderni trasparenti digitali appare più un posticcio omaggio a Effetto notte che unefficace variante drammaturgica rispetto al critico ménage familiare dei protagonisti. Una scena del film © Biennale Cinema 2019
Daltra parte è lo stesso Kore-eda a “banalizzare” il senso del film nelleterno dilemma se sia meglio una bugia detta a fin di bene che una verità scomoda, sintomo di un evidente cedimento a una “normalizzazione” verso parametri tipicamente occidentali. Eppure in tutto questo capita di imbattersi in lampi, momenti e inquadrature che lasciano trasparire la mano del regista giapponese: linquadratura iniziale del bosco cittadino con la metro in sottofondo; il cibo come rito, nella preparazione e nella convivialità; la delicatezza dellomaggio a Bella di giorno di Buñuel (1967), nel vestito nero con il coletto collegiale bianco, ricordo dellattrice “che non cè più”. Interrogarsi sulla verità è molto complesso, farlo con il cinema ancora di più; eppure anche questo Kore-eda in versione “light” ci dà qualche indizio su cui riflettere, come quando il regista del film che si sta girando sulla scena ordina di continuare a riprendere nel momento in cui Fabienne sviene sul set, oppure quando ci fa vedere un piccolo, involontario inciampo della Deneuve mentre cammina in giardino o quando la mostra “divina”, con un carrello godardiano, portare il cane a passeggio su un viale semideserto. Perché, in fondo, la verità, come anche la vita, è solo la nostra versione dei fatti.
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