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La danza di Wayne McGregor nell’universo di Virginia Woolf

di Gabriella Gori
  Woolf Works
Data di pubblicazione su web 29/04/2019  

Esponente di spicco dello sperimentalismo narrativo del Novecento, Virginia Woolf è la musa ispiratrice di Woolf Works di Wayne McGregor. Il balletto capolavoro nato per Alessandra Ferri e il Royal Ballet di Londra nel 2015 è ora in prima italiana al Teatro alla Scala di Milano con la étoile Ferri, il Principal Dancer del Royal Ballet Federico Bonelli e il Corpo di Ballo scaligero. Un evento attesissimo che segna – come la stessa Ferri ha dichiarato – il suo «vero ritorno» alla Scala e riapre le porte del teatro del Piermarini al britannico McGregor dopo l’allestimento di Dido and Aeneas nella stagione 2005-2006.

Woolf Works, su musica di Max Richter, regia e coreografia di McGregor medesimo e drammaturgia di Uzma Hameed, è uno spettacolo raffinato che evoca la figura della scrittrice londinese attraverso tre suoi romanzi, a loro volta fonte di ispirazione di tre atti coreografici. Da Mrs. Dalloway (1925) nasce I now, I then; da Orlando (1928) prende spunto Becomings; da The Waves (1931) scaturisce Tuesday. Il lavoro si apre con la proiezione delle parole e la voce di Virginia Woolf che si chiede: «How can we combine the old words in new orders so they survive, so they create beauty, so that they tell the truth? That is the question» (“Come possiamo combinare le vecchie parole in nuovi ordini così che sopravvivano, così che creino bellezza, così che dicano la verità? Questa è la domanda”). E proprio in queste words troviamo l’origine dei works di Woolf Works di McGregor: una paronomasia, un bisticcio retorico che svela l’essenza stessa di questo applauditissimo balletto. Un balletto evocativo che riflette sul piano coreografico quello che accade sul piano narrativo quando la Woolf traspone la disgregazione della psicologia e del tradizionale usus scribendi in chiarezza di costruzione e in spinta musicale, fortemente lirica ed emotiva.



Un momento dello spettacolo
© Marco Brescia e Rudy Amisano

In Woolf Works il “flusso di coscienza” e il monologo interiore, che seguono dall’interno l’andirivieni delle sensazioni e dei pensieri della mente, si riflettono nella ricostruzione in danza di McGregor che riproduce lo stesso accavallarsi di ricordi con il linguaggio del corpo. Dancemaker assurto nel firmamento dei grandi coreografi a cavallo tra vecchio e nuovo Millennio, Wayne se da un lato disgrega gli equilibri, uscendo dai canoni classici e contemporanei, dall’altro traduce questa destabilizzazione in uno stile trasgressivo geometrico e dinamico. Due poetiche, dunque, l’una narrativa e l’altra coreutica, che si fondono per dare vita a un prodotto artistico di altissimo profilo cui concorrono la levatura di tutti gli interpreti, in primis di Alessandra Ferri e Federico Bonelli con il Corpo di Ballo milanese, la bella musica di Richter eseguita dall’Orchestra del Teatro alla Scala diretta da Koen Kessels, le scene di impatto di Ciguë, We not I e Wayne McGregor, i visionari costumi di Moritz Junge e le cangianti luci di Lucy Carter. Senza dimenticare l’accurato film design di Ravi Deepres, il puntuale sound design di Chris Ekers e la cristallina voce del soprano Enkeleda Kamani, solista dell’Accademia Teatro alla Scala. Insomma un balletto sopraffino che ha consentito a McGregor di vincere il Critics’ Circle Award e alla Ferri l’Oliver Award, arricchendo di ambiti riconoscimenti i loro già invidiabili palmarès e segnando una tappa fondamentale nella storia della danza degli anni Duemila.

In Woolf Works il primo e l’ultimo atto sono accomunati dal lirismo, mentre nella parte centrale svetta il piglio creativo di McGregor che prepotentemente travolge la scena e gli spettatori con il rutilante espressionismo cinetico della sua danza. I now, I then vede al centro l’aristocratica Clarissa Dalloway tutta indaffarata nei preparativi di una festa tra amici, e Septimus, un veterano di guerra rimasto traumatizzato che si suiciderà. Due figure che, pur non incontrandosi, riflettono lo stesso stato d’animo nel fluire doloroso e incessante della rimembranza che non lascia scampo.

Le immagini di vie, fiori e giardini di una Londra asettica e distante fanno da sfondo a tre enormi cornici. Tra queste la Ferri, nel doppio ruolo di Virginia e Clarissa, inizia la sua “danza della mente” ballando con persone del suo passato e presente. Riassapora la sua giovinezza nei duetti con Clarissa giovane (Caterina Bianchi), riscopre l’amicizia con Sally (Agnese di Clemente), ricorda l’amore flirtando con Peter (Bonelli) e con Richard (Mick Zeni).

In questo primo quadro la danza è puro respiro e i favolosi interpreti inanellano passi e figurazioni classicheggianti, esaltati dal frusciare delle vesti e dall’inconsistenza del loro essere proiezioni della mente, mentre la disperazione di Septimus (Timofej Andrijashenko) per l’amico morto Evans (Claudio Coviello) e l’accoramento della moglie Rezia (Martina Arduino) lasciano presagire il destino della scrittrice. Destino che segna l’ultimo atto di Woolf Works con Tuesday, ispirato a The Waves, dove l’azione si fa più animata per la presenza di bambini che giocano sulla spiaggia davanti alle immagini di un pelago agitato. Mare che diventa simbolo del liquido amniotico e della maternità negata alla Woolf e “porto quiete” dell’ultimo viaggio della scrittrice che sparirà tra le acque del fiume Ouse. Struggente è la poesia di questa parte accentuata dalla voce del soprano Enkeleda Kamani, dalla lettura furori campo della lettera d’addio di Virginia al consorte, dalla compresenza del Corpo di Ballo e degli allievi della Scuola di Ballo dell’Accademia scaligera. Una coralità che esalta gli incontri di Virginia-Alessandra con Federico Bonelli e Virna Toppi in cui viene spontaneo ravvisare il marito e la sorella Vanessa. Il drammatico passo a due di Ferri e Bonelli ha qualcosa di magico e nella fusione tra le onde del mare e il movimento mosso dell’organico tersicoreo si consuma la fine della Woolf con Alessandra che si abbandona al moto ondoso per accogliere la morte tragica ma salvifica.



Un momento dello spettacolo
© Marco Brescia e Rudy Amisano

Becomings da Orlando, opera legata all’amicizia amorosa della Woolf con Vita Sackville-West, è basato sulla forza mutante di un giovane, Orlando, che attraversa tre secoli senza invecchiare e cambiando sesso. Una trasformazione che riflette il divenire metamorfico della vita e l’incalzare dei pensieri che affollano la mente. Questa volta McGregor costruisce la coreografia su ensemble, duetti, terzetti, soli, in un fluire continuo accompagnato dalla musica elettronica, dai raggi laser che investono platea e palchi, da costumi avveniristici con tanto di gorgiere spaziali e indumenti dorati. Qui è l’essenza primordiale dello stile contemporaneo di Wayne a prorompere con il suo rocambolesco sovrapporsi di estremi disequilibri, di grovigli corporei che seguono e si oppongono alle note di Richter nelle vorticosità dei passaggi, nella fagocitazione dello spazio.

L’incalzare parossistico del dettato coreografico non dà tregua ai danzatori e neppure agli occhi degli spettatori, e mette in luce la bravura di Nicoletta Mani, Virna Toppi, Maia Celeste Losa, Agnese Di Clemente, Martina Arduino, Timofej Andrijashenko, Nicola Del Freo, Valerio Lunadei, Gabriele Corrado, Claudio Coviello, Christian Fagetti, Marco Agostino. Tutti eccezionali e degni di misurarsi con Bonelli, straordinario per eleganza e purezza di linee, meraviglioso partner della stratosferica Ferri che non finisce di stupire a dispetto delle sue cinquantacinque primavere. In lei grazia, eleganza, forza si fondono mostrando un’infinita saggezza artistica nel confrontarsi con “l’uso estremo e tecnicamente spinto” del corpo di McGregor.

E se è vero che quest’ultimo ha insegnato alla sua compagna di scena “l’astrazione che nasce dalle verità delle emozioni”, a sua volta lui ha imparato da lei “l’understatement e la capacità di togliere alla danza il superfluo”. Un felice e appagante incontro di anime nell’universo di Virginia Woolf.

Spettacolo visto il 10 aprile 2019 al Teatro alla Scala di Milano.




Woolf Works
cast cast & credits
 


Un momento dello spettacolo visto il 10 aprile 2019 al Teatro alla Scala di Milano
© Marco Brescia e Rudy Amisano

 
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