Esponente di spicco dello
sperimentalismo narrativo del Novecento, Virginia
Woolf è la musa ispiratrice di Woolf
Works di Wayne McGregor. Il balletto
capolavoro nato per Alessandra Ferri
e il Royal Ballet di Londra nel 2015 è ora in prima italiana al Teatro alla
Scala di Milano con la étoile Ferri, il Principal Dancer del Royal Ballet Federico Bonelli e il Corpo di Ballo
scaligero. Un evento attesissimo che segna – come la stessa Ferri ha dichiarato
– il suo «vero ritorno» alla Scala e riapre le porte del teatro del Piermarini
al britannico McGregor dopo lallestimento di Dido and Aeneas nella stagione 2005-2006. Woolf Works, su musica di Max Richter, regia e coreografia di McGregor medesimo e
drammaturgia di Uzma Hameed, è uno
spettacolo raffinato che evoca la figura della scrittrice londinese attraverso
tre suoi romanzi, a loro volta fonte di ispirazione di tre atti coreografici.
Da Mrs. Dalloway (1925) nasce I now, I then; da Orlando (1928) prende spunto
Becomings; da The Waves (1931) scaturisce
Tuesday. Il lavoro si apre con la
proiezione delle parole e la voce di Virginia Woolf che si chiede: «How can we combine
the old words in new orders so they survive, so they create beauty, so that
they tell the truth? That is the
question» (“Come possiamo combinare le vecchie parole in nuovi ordini così che
sopravvivano, così che creino bellezza, così che dicano la verità? Questa è la domanda”).
E proprio in queste words troviamo lorigine
dei works di Woolf Works di McGregor: una paronomasia, un bisticcio retorico che
svela lessenza stessa di questo applauditissimo balletto. Un balletto
evocativo che riflette sul piano coreografico quello che accade sul piano narrativo
quando la Woolf traspone la disgregazione della psicologia e del tradizionale usus scribendi in chiarezza di
costruzione e in spinta musicale, fortemente lirica ed emotiva. Un momento dello spettacolo © Marco Brescia e Rudy Amisano In Woolf Works il “flusso di coscienza” e
il monologo interiore, che seguono dallinterno landirivieni delle sensazioni
e dei pensieri della mente, si riflettono nella ricostruzione in danza di
McGregor che riproduce lo stesso accavallarsi di ricordi con il linguaggio del
corpo. Dancemaker assurto nel
firmamento dei grandi coreografi a cavallo tra vecchio e nuovo Millennio, Wayne
se da un lato disgrega gli equilibri, uscendo dai canoni classici e
contemporanei, dallaltro traduce questa destabilizzazione in uno stile
trasgressivo geometrico e dinamico. Due poetiche, dunque, luna narrativa e laltra
coreutica, che si fondono per dare vita a un prodotto artistico di altissimo
profilo cui concorrono la levatura di tutti gli interpreti, in primis di Alessandra Ferri e Federico
Bonelli con il Corpo di Ballo milanese, la bella musica di Richter eseguita
dallOrchestra del Teatro alla Scala diretta da Koen Kessels, le scene di impatto di Ciguë, We not I e Wayne
McGregor, i visionari costumi di Moritz
Junge e le cangianti luci di Lucy
Carter. Senza dimenticare laccurato film design di Ravi Deepres, il puntuale sound design di Chris Ekers e la cristallina voce del soprano Enkeleda Kamani, solista dellAccademia Teatro alla Scala. Insomma un
balletto sopraffino che ha consentito a McGregor di vincere il Critics Circle
Award e alla Ferri lOliver Award, arricchendo di ambiti riconoscimenti i loro
già invidiabili palmarès e segnando
una tappa fondamentale nella storia della danza degli anni Duemila. In Woolf Works il primo e lultimo atto sono
accomunati dal lirismo, mentre nella parte centrale svetta il piglio creativo
di McGregor che prepotentemente travolge la scena e gli spettatori con il
rutilante espressionismo cinetico della sua danza. I now, I then vede al centro laristocratica Clarissa Dalloway tutta indaffarata nei preparativi
di una festa tra amici, e Septimus, un veterano di guerra rimasto traumatizzato
che si suiciderà. Due figure che, pur non incontrandosi, riflettono lo stesso
stato danimo nel fluire doloroso e incessante della rimembranza che non lascia
scampo. Le immagini di vie, fiori
e giardini di una Londra asettica e distante fanno da sfondo a tre enormi
cornici. Tra queste la Ferri, nel doppio ruolo di Virginia e Clarissa, inizia
la sua “danza della mente” ballando con persone del suo passato e presente.
Riassapora la sua giovinezza nei duetti con Clarissa giovane (Caterina Bianchi), riscopre lamicizia con
Sally (Agnese di Clemente), ricorda
lamore flirtando con Peter (Bonelli) e con Richard (Mick Zeni). In questo primo
quadro la danza è puro respiro e i favolosi interpreti inanellano passi e
figurazioni classicheggianti, esaltati dal frusciare delle vesti e dallinconsistenza
del loro essere proiezioni della mente, mentre la disperazione di Septimus (Timofej Andrijashenko) per lamico
morto Evans (Claudio Coviello) e laccoramento
della moglie Rezia (Martina Arduino)
lasciano presagire il destino della scrittrice. Destino che segna lultimo atto
di Woolf Works con Tuesday, ispirato a The Waves, dove lazione si fa più animata
per la presenza di bambini che giocano sulla spiaggia davanti alle immagini di
un pelago agitato. Mare che diventa simbolo del liquido amniotico e della
maternità negata alla Woolf e “porto quiete” dellultimo viaggio della
scrittrice che sparirà tra le acque del fiume Ouse. Struggente è la poesia di
questa parte accentuata dalla voce del soprano Enkeleda Kamani, dalla lettura furori campo della lettera daddio di
Virginia al consorte, dalla compresenza del Corpo di Ballo e degli allievi
della Scuola di Ballo dellAccademia scaligera. Una coralità che esalta gli
incontri di Virginia-Alessandra con Federico Bonelli e Virna Toppi in cui viene spontaneo ravvisare il marito e la sorella
Vanessa. Il drammatico passo a due di Ferri e Bonelli ha qualcosa di magico e
nella fusione tra le onde del mare e il movimento mosso dellorganico
tersicoreo si consuma la fine della Woolf con Alessandra che si abbandona al
moto ondoso per accogliere la morte tragica ma salvifica. Un momento dello spettacolo © Marco Brescia e Rudy Amisano Becomings da
Orlando, opera legata allamicizia amorosa della Woolf con Vita
Sackville-West, è basato sulla forza mutante di un giovane, Orlando, che
attraversa tre secoli senza invecchiare e cambiando sesso. Una trasformazione che
riflette il divenire metamorfico della vita e lincalzare dei pensieri che
affollano la mente. Questa volta McGregor costruisce la coreografia su ensemble,
duetti, terzetti, soli, in un fluire continuo accompagnato dalla musica
elettronica, dai raggi laser che investono platea e palchi, da costumi
avveniristici con tanto di gorgiere spaziali e indumenti dorati. Qui è lessenza
primordiale dello stile contemporaneo di Wayne a prorompere con il suo rocambolesco
sovrapporsi di estremi disequilibri, di grovigli corporei che seguono e si
oppongono alle note di Richter nelle vorticosità dei passaggi, nella fagocitazione
dello spazio. Lincalzare parossistico
del dettato coreografico non dà tregua ai danzatori e neppure agli occhi degli
spettatori, e mette in luce la bravura di Nicoletta
Mani, Virna Toppi, Maia Celeste Losa,
Agnese Di Clemente, Martina Arduino, Timofej Andrijashenko,
Nicola Del Freo, Valerio Lunadei, Gabriele Corrado, Claudio Coviello, Christian Fagetti, Marco Agostino.
Tutti eccezionali e degni di misurarsi con Bonelli, straordinario per eleganza
e purezza di linee, meraviglioso partner della stratosferica Ferri che non
finisce di stupire a dispetto delle sue cinquantacinque primavere. In lei
grazia, eleganza, forza si fondono mostrando uninfinita saggezza artistica nel
confrontarsi con “luso estremo e tecnicamente spinto” del corpo di McGregor. E se è vero che questultimo ha insegnato alla sua
compagna di scena “lastrazione che nasce dalle verità delle emozioni”, a sua
volta lui ha imparato da lei “lunderstatement
e la capacità di togliere alla danza il superfluo”. Un felice e appagante incontro
di anime nelluniverso di Virginia Woolf. Spettacolo visto il 10 aprile 2019 al Teatro alla Scala di Milano.
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