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Innaturale quotidianità

di Mani Naeimi
  Cani morti
Data di pubblicazione su web 22/12/2018  

Ha debuttato il 18 dicembre scorso in prima nazionale al teatro Magnolfi di Prato Cani morti di Jon Fosse, adattato e diretto da Carmelo Alù, vincitore dell’edizione 2018 del progetto Davanti al pubblico diretto da Massimiliano Civica. Iniziativa che prevede, fino al 2020, l’allestimento di un nuovo spettacolo all’anno proposto e diretto da un giovane regista esordiente.

Due le possibili interpretazioni dello spettacolo, opposte e, forse, complementari. La prima è quella di aver assistito, di fatto, a niente. Nessuna scenografia, niente musica, nessuna esaltante performance degli attori, nessun messaggio da comunicare, nessun sottotesto, niente di radicato o di velato nelle frasi e nelle intenzioni dei protagonisti, immersi in un banale e ripetitivo quotidiano. Una “lettura” che pare confermata dallo stesso regista (fermatosi a fine spettacolo insieme a Massimiliano Civica per un breve incontro con il pubblico) che invita i presenti a non interpretare i dialoghi dello spettacolo per quello che non sono o a credere che i protagonisti abbiano voluto dire altro rispetto a quanto hanno detto. «Secondo la mia visione i personaggi di Fosse dicono esattamente quello che dicono. Altrimenti sarebbero altre persone. Con il rischio di parlare sempre per dire altro. In realtà il problema è proprio quello! Loro hanno solo quello da dire. Non c’è una profondità delle battute in sé». Sotto c’è solo «una storia che si muove, all’interno di una situazione, inclusa in un arco. Ed era proprio quella la sfida e l’invito al pubblico di stare un’ora in una situazione indolente, caratterizzata da un vuoto, che è il filo conduttore di tutto lo spettacolo».



                             Un momento dello spettacolo
                                     © Duccio Burberi

Tuttavia, a dispetto dell’invito di Alù, teniamo buona la possibilità di non cascarci. Perché, in realtà, siamo portati a vedere oltre e a vedere altro. Uscendo da teatro (ma anche nel corso dello spettacolo) la mente comincia a ricostruire, a immaginare, a smontare e rimontare i pezzi di dell’indolente situazione familiare messa in scena. A chiedersi la ragione di certe espressioni o ripetizioni. Perché la madre è così ossessionata dal caffé? È forse metafora del suo amore materno o di un ordine la cui mancanza la spaventa a dismisura? Da quanto tempo è scomparso il cane? Da un giorno? Da due giorni o addirittura da più di una settimana? Non lo sappiamo. Perché la ciotola del cane, nonostante la sua assenza, è così ben curata e piena di croccantini? Non potrebbe essere, lo stesso cane, emblema di un sogno con cui il ragazzo ha vissuto per tanti anni e che ora si è semplicemente dileguato, non lasciandogli neanché la forza di alzarsi dalla sedia per andare a cercarlo nel cortile? Un sogno, perduto ma non dimenticato, alla pari dell’amata chitarra, venduta ma non rimossa. Chi è realmente l’amico di infanzia del ragazzo e perché incute tanto interesse quanto disagio negli altri personaggi? Perché la sorella non porta mai le due figlie dalla nonna durante le sue già così rare visite? E perché il marito della sorella sembra essere l’unico a comportarsi in maniera del tutto naturale in una situazione quotidiana che, nonostante l’assoluta normalità, di naturale ha ben poco? Chi è il misterioso vicino dalla bellissima casa che tutti dicono essere nuovo ma che in realtà sembra, a tratti, una conoscenza di vecchia data? Dov’è il padre di famiglia? Perché non è in alcun modo menzionato in tutto lo spettacolo?



                              Un momento dello spettacolo
                                     © Duccio Burberi

Le domande potrebbero essere molte di più e altrettanto numerose (almeno quanto il numero dei presenti in sala al Magnolfi) le osservazioni e le chiavi di lettura possibili. Quella di offrire domande più che risposte è la prerogativa di ogni opera contemporanea. Tuttavia, c’è poi il rischio di non aver niente da dire. Non è raro che l’assenza di contenuti venga scambiata per ricchezza intellettuale e artistica. Alù non sembra correre questo rischio. Il giovane regista potrebbe avere molto da dire, ma per questo occorre dargli tempo. Per ora è meglio limitarsi a registrare un esordio dignitoso accompagnato da un umile, sincero interesse per il proprio mestiere.

Si è detto che la scenografia è pressoché assente, così come la musica. È vero. Tuttavia, la presenza di pochissimi ma ben calcolati elementi audio-visivi su uno sfondo totalmente nero completa lo svolgersi del racconto in maniera intelligente: il proiettore acceso rivolto verso il tavolo a simulare la finestra che dà sul cortile, la ricordata ciotola del cane, le tre sedie (non sufficienti a ospitare tutti i personaggi contemporaneamente) e soprattutto l’inquietante bussare alla porta, a prescindere dal fatto che dietro di essa si trovi la sorella, l’amico d’infanzia o la polizia. Come se da fuori si attendessero solo cattive intrusioni.

Gli attori e le loro relazioni sono, come afferma Alù, ciò che più interessa: «ho scelto Fosse perché volevo lavorare con gli attori su un autore che facesse uscire tutte le loro fragilità e che li mettesse davanti a loro stessi, non fornendogli un alibi per scappare dietro a un testo più corposo. Volevo stare là in quella casetta con gli attori e provare a vedere ciò che succedeva».




Cani morti
cast cast & credits
 


Un momento dello spettacolo visto il 18 dicembre 2018 al Teatro Magnolfi di Prato
© Duccio Burberi


 
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