Ha
debuttato il 18 dicembre scorso in prima nazionale al teatro Magnolfi di Prato Cani
morti di Jon Fosse, adattato e diretto da Carmelo Alù,
vincitore delledizione 2018 del progetto Davanti al pubblico diretto da
Massimiliano Civica. Iniziativa che prevede, fino al 2020,
lallestimento di un nuovo spettacolo allanno proposto e diretto da un giovane
regista esordiente.
Due le possibili
interpretazioni dello spettacolo, opposte e, forse, complementari. La prima è
quella di aver assistito, di fatto, a niente. Nessuna scenografia, niente
musica, nessuna esaltante performance degli attori, nessun messaggio da
comunicare, nessun sottotesto, niente di radicato o di velato nelle frasi e
nelle intenzioni dei protagonisti, immersi in un banale e ripetitivo quotidiano.
Una “lettura” che pare confermata dallo stesso regista (fermatosi a fine
spettacolo insieme a Massimiliano Civica per un breve incontro con il pubblico)
che invita i presenti a non interpretare i dialoghi dello spettacolo per quello
che non sono o a credere che i protagonisti abbiano voluto dire altro rispetto
a quanto hanno detto. «Secondo la mia visione
i personaggi di Fosse dicono esattamente quello che dicono. Altrimenti
sarebbero altre persone. Con il rischio di parlare sempre per dire altro. In
realtà il problema è proprio quello! Loro hanno solo quello da dire. Non cè
una profondità delle battute in sé». Sotto cè solo «una storia che si muove,
allinterno di una situazione, inclusa in un arco. Ed era proprio quella la
sfida e linvito al pubblico di stare unora in una situazione indolente,
caratterizzata da un vuoto, che è il filo conduttore di tutto lo spettacolo».
Un momento dello spettacolo © Duccio Burberi
Tuttavia, a dispetto
dellinvito di Alù, teniamo buona la possibilità di non cascarci. Perché, in
realtà, siamo portati a vedere oltre e a vedere altro. Uscendo da teatro (ma
anche nel corso dello spettacolo) la mente comincia a ricostruire, a
immaginare, a smontare e rimontare i pezzi di dellindolente situazione
familiare messa in scena. A chiedersi la ragione di certe espressioni o
ripetizioni. Perché la madre è così ossessionata dal caffé? È forse metafora
del suo amore materno o di un ordine la cui mancanza la spaventa a dismisura?
Da quanto tempo è scomparso il cane? Da un giorno? Da due giorni o addirittura
da più di una settimana? Non lo sappiamo. Perché la ciotola del cane, nonostante
la sua assenza, è così ben curata e piena di croccantini? Non potrebbe essere,
lo stesso cane, emblema di un sogno con cui il ragazzo ha vissuto per tanti anni
e che ora si è semplicemente dileguato, non lasciandogli neanché la forza di
alzarsi dalla sedia per andare a cercarlo nel cortile? Un sogno, perduto ma non
dimenticato, alla pari dellamata chitarra, venduta ma non rimossa. Chi è
realmente lamico di infanzia del ragazzo e perché incute tanto interesse
quanto disagio negli altri personaggi? Perché la sorella non porta mai le due
figlie dalla nonna durante le sue già così rare visite? E perché il marito
della sorella sembra essere lunico a comportarsi in maniera del tutto naturale
in una situazione quotidiana che, nonostante lassoluta normalità, di naturale ha
ben poco? Chi è il misterioso vicino dalla bellissima casa che tutti dicono
essere nuovo ma che in realtà sembra, a tratti, una conoscenza di vecchia data?
Dovè il padre di famiglia? Perché non è in alcun modo menzionato in tutto lo
spettacolo?
Un momento dello spettacolo © Duccio Burberi
Le domande potrebbero essere
molte di più e altrettanto numerose (almeno quanto il numero dei presenti in
sala al Magnolfi) le osservazioni e le chiavi di lettura possibili. Quella di offrire
domande più che risposte è la prerogativa di ogni opera contemporanea. Tuttavia,
cè poi il rischio di non aver niente da dire. Non è raro che lassenza di
contenuti venga scambiata per ricchezza intellettuale e artistica. Alù non sembra
correre questo rischio. Il giovane regista potrebbe avere molto da dire, ma per
questo occorre dargli tempo. Per ora è meglio limitarsi a registrare un esordio
dignitoso accompagnato da un umile, sincero interesse per il proprio mestiere.
Si è detto che la
scenografia è pressoché assente, così come la musica. È vero. Tuttavia, la
presenza di pochissimi ma ben calcolati elementi audio-visivi su uno sfondo
totalmente nero completa lo svolgersi del racconto in maniera intelligente: il
proiettore acceso rivolto verso il tavolo a simulare la finestra che dà sul
cortile, la ricordata ciotola del cane, le tre sedie (non sufficienti a
ospitare tutti i personaggi contemporaneamente) e soprattutto linquietante
bussare alla porta, a prescindere dal fatto che dietro di essa si trovi la
sorella, lamico dinfanzia o la polizia. Come se da fuori si attendessero solo
cattive intrusioni.
Gli attori e le loro
relazioni sono, come afferma Alù, ciò che più interessa: «ho scelto Fosse
perché volevo lavorare con gli attori su un autore che facesse uscire tutte le
loro fragilità e che li mettesse davanti a loro stessi, non fornendogli un
alibi per scappare dietro a un testo più corposo. Volevo stare là in quella
casetta con gli attori e provare a vedere ciò che succedeva».
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