Accostarsi alle fasi creative di Virgilio Sieni richiede uno sforzo particolare per capire la formulazione
via via più astratta delle sue composizioni: lesigenza paradossale di dare
concretezza alle tensioni verso lassoluto dei corpi dei suoi danzatori si
rivela mediante analogie mentali piuttosto che fisiche. Sarà per quella sua
poetica che confida nella «sospensione del gesto» o per la vocazione a dilatare
il tempo attraverso il movimento, fino a disegnare tante figure singolari,
sorte da «danzatori come angeli, ignoranti nel senso dellinnocenza», in grado
di «costruire delle forze, dei pesi dentro il corpo. […] Nasce così un
possibile cosiddetto alfabeto che va a dimostrare ancora una volta il loro
analfabetismo […]. Essi in definitiva non posseggono una lingua. […] Devono
sentirsi richiamati da qualcosa che ignorano […] e dare vita a quel linguaggio
figurato, inaspettato per lui stesso» (dichiarazione dellautore in occasione
dellallestimento di Tristi tropici,
Firenze, 20 maggio 2010). Del resto, Sieni pare insistere nel considerare i
corpi umani come “marionette” coscienti, capaci di effondere energia proveniente
dalle proprie vertebre responsabilmente addestrate e guidate allespressione. Un momento dello spettacolo © Rocco Casaluci Lo spettacolo prodotto dal Comunale di Bologna (in tournée al Teatro Modena di Genova) e
intitolato al balletto di Stravinskij
si compone di due parti, la prima delle quali basata sullepisodio musicale Chukrum (1963, durata 18 minuti)
di Giacinto Scelsi, chiamato a illustrare
un «notturno del corpo» sospeso fra linvisibile e limpercettibile di forme
dombra umane, messe a fuoco soltanto per brevi istanti, instabili e vaghi. Sostiene
il coreografo a motivo della scelta: «Il brano coreografico si pone
in relazione con Petruška, con quello
che sta prima e dopo, luomo nella sua ricerca continua dellorigine ma anche
della leggerezza che segna il suo passaggio. […] Quattro quadri che introducono
un altro punto di vista del fantoccio Petruška e delle sue vicende “umane”: uno
sguardo sulla natura delluomo, dove il lato oscuro non è altro che lessenza
del corpo nel suo mostrarsi orfano di orpelli. Tutto il brano allude alla
nascita, non solo delluomo, ma del bagliore che lo genera, del gesto che lo
determina» (dalle Note di regia).
Una sensibilità ardua, che suscita una reazione inadeguata
nello spettatore disorientato o pregiudizialmente troppo fedele alla tradizione.
Un parallelo si può forse suggerire: come Stravinskij sperimentava contro e
oltre la musica e il balletto dellOttocento, così Sieni preannuncia un proprio
futuro oltre i capolavori della danza del Novecento. La creazione parigina di Petruška (1911) – con la coreografia di Michel Fokine e linterpretazione di Vaslav Nijinskij – è dimenticata per inseguire
uninvenzione autonoma. In tale novità è difficile intendere il ricorso alla
musica originale senza vederle restituito il senso per la quale fu composta. Resta
insomma scomodo aderire al progetto dellartista odierno e gustarne la
perfezione formale delle immagini, tanto lontane dalla fantasia del musicista
russo che contestava allora il romanticismo decadente e attestava il proprio
oggettivismo razionale.
La marionetta viene ora replicata in sei danzatori – tre
uomini e tre donne – dei quali è sottolineata landroginia. Maschere di stoffa
e trucco mutano e confondono le fisionomie degli interpreti, assieme ai
copricapi e agli elementi minimi del costume in tulle che li accomunano. Lo spazio dellintero palcoscenico,
delimitato da tre pareti di velario bianco e praticabile in ogni dimensione,
non allude alla piazza, né richiama la stanza del fantoccio protagonista, ma disegna
piuttosto un luogo mentale. Un momento dello spettacolo © Rocco Casaluci
La vicenda punta sulla fusione dinamica del gruppo, unico
attore di quel “corpo composito” che, aspirando alla nuova e inattesa simbologia
della marionetta archetipica (Sieni ha spesso rievocato la funzione utopica
attribuitale da Gordon Craig), si
affida al moto delle incessanti variazioni dei corpi intrecciati e vibranti, in
volo o in caduta, in acrobazie mirabili, rotolamenti e contatti col suolo,
destinati a volte a fissarsi in tableaux
ulteriormente metamorfici. Eppure in diversi momenti savverte unimpressione
di forte vitalità e individuale e collettiva. Così meglio si notano la solo della marionetta (certo qui allusiva
a Petruška), disarticolata e mobile come un pagliaccio vuoto e privo
dappoggio; lapparizione duna ballerina in tutù, contesa da due personaggi, analoghi
al mite protagonista e al prepotente Moro, evocati dal ciarlatano della leggenda
popolare. Lo sviluppo del tema orchestrale principale, coinvolgente in
girotondo il corpo di ballo, è condotto lungo periodici addensamenti e rarefazioni
di figure fuggenti, nelle quali sono notevoli segni gli scatti e le sinuosità
di preziosa asimmetria in contatti corporei deccezionale leggerezza e
intensità.
Infine, si rappresenta una figura coricata al suolo (immagine
del “morto” burattino?) che viene sollevata e riaccolta in seno al gruppo, che
savvia al proscenio per il commiato. Nellintero spettacolo della durata di
unora, trentacinque minuti scandiscono la partitura del titolo, eseguita con
particolare veemenza e ricchezza di coloriture timbriche, come dimostra la
registrazione ripresa dalledizione bolognese.
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