Un trionfo. Un tripudio di applausi riempie il Teatro alla Scala e sommerge il Corpo di Ballo del Teatro Bolšoj e la protagonista de La bayadère di Jurij Grigorovič. Un poderoso ballet à grand spectacle che ha trascinato gli spettatori in un Oriente misterioso, misterico, carico di fascino e sensualità.
Per gli amanti del balletto classico impossibile non essere presenti per almeno due motivi: vedere allopera uno degli organici più famosi al mondo, assente da Milano da undici anni (lultima apparizione risale al 2007 al Teatro Arcimboldi) e assistere per la prima volta sulla scena scaligera a questo celebre balletto epico sullamore tragico e impossibile tra la bayadera Nikiya e il guerriero Solor.
La bayadère è un capolavoro. Creato da Marius Petipa nel 1877, rappresentato la prima volta al Teatro Bolšoj di San Pietroburgo (da non confondere con lomonimo teatro moscovita), questo “balletto grande” è stato oggetto di autorevoli riprese che, rispetto alloriginale petipatiano, hanno ridotto i quattro atti a tre accorpando o modificando lepilogo originario, che prevedeva un terremoto e il ricongiungimento spirituale di Solor e Nikiya.
Basti citare le versioni di Natalia Makarova per lAmerican Ballet Theater del 1979 e di Rudolf Nureyev per il Corpo di Ballo dellOpéra di Parigi del 1992. In questa nuova versione, tuttora in scena al Bolšoj, Grigorovič, primo e indiscusso coreografo del Grande Teatro di Mosca, riprende larchetipo di Petipa, inserisce estratti dalle riprese novecentesche di Vachtang Čabukiani, Konstantin Sergeev e Nikolaj Zubkovskij e aggiunge danze, entrées e variazioni per restituire una Bayadère imponente, grandiosa, liricissima nel rispetto della grandeur della danse décole.
Un momento dello spettacolo © Damir Yusupov
Una sapiente mano coreografica di un geniale vegliardo che ha segnato e segna tuttora la storia del repertorio russo con balletti da lui creati come Spartacus, Ivan il Terribile, Romeo e Giulietta e riletture di celebri titoli fra cui La bella addormentata, Il lago dei cigni, Raymonda, Giselle, Don Chisciotte, Le corsaire. Il balletto della bayadera Nikiya, successivo a La sylphide di Filippo Taglioni (1832) e a Giselle di Coralli-Perott (1841), ma precedente alla trilogia “cajkovskijana” di Petipa (La bella addormentata del 1890, Il lago dei cigni del 1895 e Lo schiaccianoci del 1892), si apprezza fino in fondo se lo si colloca nel contesto tardoromantico e pre-decadente in cui nacque.
Una temperie culturale permeata di esotismo anche nel teatro musicale (Aida, Turandot, Madama Butterfly), che sulla scena danzata dà i suoi frutti con La vestale di Salvatore Viganò (1818), Le dieu et la bajadère (1830) e Lombre (1840) di Taglioni, Śakuntalā (1858) di Lucien Petipa (anche fonte di ispirazione per il fratello minore Marius). Importanti precedenti cui bisogna aggiungere La bajadera, divertimento fantastico-danzante in tre scene composto dal coreografo Lorenzo Viena (1867), il cui libretto è conservato nellarchivio del teatro degli Immobili presso la Pergola di Firenze. Un ritrovamento che conferma ancora una volta linteresse per le atmosfere esotiche che contribuirono alla nascita della Bayadère di Petipa.
La trama è presto detta: siamo in India e tutto ruota intorno allamore tra la bayadera Nikiya, danzatrice del tempio del Gran Bramino innamorato di lei, e il nobile guerriero Solor al seguito del potente Rajah Dugmanta. Questultimo costringe il giovane a sposare sua figlia, la principessa Gamzatti rompendo la promessa fatta a Nikiya. In un drammatico confronto Gamzatti chiede alla bayadera di lasciare libero Solor. Tuttavia al diniego della rivale, la principessa su suggerimento del padre convince Nikiya a ballare alla sua festa di nozze. In quelloccasione le dona un cestino di fiori in segno di pace, ma tra i fiori si cela un serpente velenoso, che morde il niveo collo della donna. Il Gran Bramino le offre un antidoto. Nikiya lo rifiuta morendo davanti a Solor che quindi fugge. Disperato, il guerriero ottiene delloppio dal fedele fachiro Magdaveya: fumando disteso sul canapè sogna di ritrovare la bayadera nel Regno delle Ombre, condannato a cercarla e a desiderarla per leternità.
Un momento dello spettacolo © Elena Fetisova
Grigorovič fa della grandiosa monumentalità scenica e della ricercata opulenza costumistica, a firma di Nikolay Šaronov, il tratto distintivo di un grand ballet che la musica di Ludwig Minkus, eseguita dallOrchestra dellAccademia Teatro alla Scala diretta da Pavel Sorokin, contribuisce a esaltare. La spettacolarità dellallestimento è accentuata da un corpo di ballo perfettamente a suo agio in una messinscena che richiede un costante ritmo narrativo e danzato e un formidabile “gioco di squadra”. Tutti compatti i ballerini cooperano alla resa di questa fabula coreografica che trasuda “russicità” e ha in Grigorovič il suo demiurgo.
Fin dal primo atto siamo fagocitati dalla maestosità del tempio del Gran Bramino che accoglie la maschia danza dei fachiri e il muliebre ballo sacro delle baiadere, fra cui rifulge la protagonista Nikiya: una splendida e flessuosa Olga Smirnova che rifiutando il Bramino si lega a Solor interpretato dalla carismatica e imponete figura di Semën Čudin. Struggente è il pas de deux con cui davanti al sacro fuoco la ragazza accetta di fuggire con lui a patto che le giuri fedeltà. Un momento di intensa passione cui fa da contraltare lenergico grand pas de deux di Solor con Gamzatti: una volitiva Margarita Štrainer che vuole tutto per sé il giovane, colpito dalla sua bellezza e dimentico della promessa fatta. Sono allora le due donne innamorate a confrontarsi in una schermaglia pantomimica in cui nessuna delle due arretra, mostrando entrambe temperamento e personalità.
Nel secondo atto la danza di Nikiya-Olga durante i festeggiamenti nuziali è a dir poco stupefacente. Languida e disperata nella prima parte, frizzante e radiosa nella seconda fino al tragico epilogo. Al dramma assiste esterrefatto lentourage del Rajaj che poco prima si era divertito con continue ed elettrizzanti danze e variazioni: Jampe, un duetto al femminile, il grand pas di otto ballerine accompagnate da due danzatori, la “danza del tamburo”, la “danza della brocca” fino ad arrivare allassolo dellidolo doro interpretato da un sorprendente Denis Zakharov.
Latteso terzo atto, il cosiddetto atto bianco o Regno delle Ombre, non delude. Anzi, scegliendo di chiudere la sua Bajadera con il Regno delle Ombre Grigorovič punta sulla spiritualità dellincontro di due anime innamorate. E lavvolgente atmosfera lunare delle luci di Mikhail Sokolov consente una comunione altrimenti impossibile richiamando lInno alla notte del poeta romantico Novalis.
Un momento dello spettacolo © Damir Yusupov
Il corpo di ballo femminile del Bolšoj rende impalpabile questo regno fatto-fitto di Ombre che scendono sulla famosa pedana inclinata, eseguendo la sequenza di arabesque, ponchés, cambrés, ports de bras. Una lezione di alta scuola cui si aggiungono le singole variazioni di Darja Bočkova, Darja Khochlova e Antonina Čapkina. Bravissime. Si tocca lapice nel passo a due del velo bianco di Solor/Semën e Nikiya/Olga: colpiscono lintensità e il respiro del loro modo di ballare che va oltre lesecuzione ineccepibile di arabesques, ponchés, equilibri on pointe, port de bras della Smirnova o dei manèges, dei tour en lair, dei grandi e piccoli sautés di Čudin. Due impareggiabili primi ballerini di un altrettanto impareggiabile Corpo di Ballo diretto da Makhar Vaziev.
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