Dopo
lOscar per Ida il regista polacco Pawel Pawlikowski ha presentato allultima
edizione del Festival di Cannes Cold War
(Zimna wojna) ottenendo lambito
premio per la regia. Alla fine
degli anni Quaranta la giovane Zula (Joanna
Kulig) viene selezionata da Wiktor (Tomasz
Kot), direttore del coro, pianista e compositore, per far parte di una
compagnia di canti e danze popolari in una scuola della Polonia postbellica.
Tra i due nasce un grande amore fatto dincontri e di ripetuti addii nel corso
del tempo. Come in passato il regista sceglie il formato 1.37:1 e il bianco e nero per restituire un
dramma a distanza, una tetra “guerra fredda” dei sentimenti e della ricerca
dellaltro. Il formato quasi quadrato racchiude gli attori in una cornice
opprimente e, insieme alla scala di grigi che dipinge i volti (fotografia di Łukasz Żal) e alle frequenti inquadrature
fisse, relega i personaggi in una dimensione astratta, scarna, esemplare. Lamore irrealizzabile tra i protagonisti si consuma
durante il primo ventennio della Guerra fredda in diversi luoghi: dalla Polonia
a Berlino, a Parigi, in Jugoslavia. La sua “esistenza” è ripetutamente messa alla
prova tra le note di canti folkloristici polacchi che si trasformano, sotto la
pressione del potere, in inni al comunismo, di cupi pezzi jazz e di disperati rock and roll. La tragica impossibilità
di amarsi aderisce allinattuabile istinto alla libertà nel sistema della cortina
di ferro, allespressione artistica dannata dal potere.
Tale impossibilità è un destino ed è insieme lincapacità
di amarsi tra i caffè di una Parigi apparentemente libera, eppure imbrigliata nelle convenzioni di una cultura
superficiale e di unemancipazione oscura e straniera: regole che stridono con
la forza di un amore assoluto e privo di vincoli, perennemente disadattato. Zula
non ritrova la sincerità propria e della sua unione con Wiktor nel mondo bohémien della capitale francese; lo disprezza
per la sua arida ricerca di conferme che lo rende schiavo di un milieu culturale vuoto, convenzionale,
claustrofobico. Una scena del film © Lukasz Bak La storia si costruisce per frammenti narrativi il cui
fulcro sono brani musicali e presenze sceniche. La regia mira a comporre la
narrazione su “esibizioni”, creando un forte legame tra vita ed espressione
artistica. Allinterno di questi quadri temporali alcune raffinate sequenze si
elevano al di sopra della mera riproposizione del tema dellamore impossibile, condannato dalla società e dal fato, in grazia di una potenza
evocativa mirabile. A seguito del primo litigio della coppia in un campo nei
pressi dellaccademia, Zula si tuffa nel letto calmo di un fiume e il rumore
dellacqua attira lattenzione dellamato girato di spalle. La ragazza inizia a
cantare, intona il suo leitmotiv,
mentre una carrellata laterale la incornicia sospinta dalla corrente tra le
placide onde e le spighe di grano mosse dal vento. Il regista inquadra dapprima
Wiktor e poi la giovane in una soggettiva libera indiretta che racconta la
sospensione temporale nella percezione dellinnamorato. Ancora: quando,
conclusa la prima esibizione del gruppo folkloristico, Wiktor si appoggia a uno
specchio mentre chiacchiera distratto con la coreografa della compagnia, lascia
dietro di sé il riflesso della folla,
mentre lo sguardo è proiettato in avanti verso una Zula in carne e ossa.
Nella Parigi cupa e notturna che richiama la Ville
Lumière di Ascenseur pour léchafaud (1958) ma anche allatmosfera de Le
notti bianche viscontiane (1957), è la scena del giro in barca sulla Senna
a risplendere di una potenza inaspettata. La maestosa Notre-Dame compare tra i
rami, si erge e scorre silenziosa in una buia e toccante inquadratura fortemente
inclinata dal basso verso lalto. Altra sequenza emblematica è quella nellhopperiano
locale notturno Leclipse. Zula è una
disgustata bevitrice dassenzio:
occupa la parte inferiore del quadro con la sua desolazione, finché un brano rock and roll la risveglia dal suo
torpore e la trascina in una danza tanto sfrenata quanto disperata. Una scena del film © IndieWire Lamore tra Zula e Wiktor è una “guerra fredda” che si
realizza soltanto nella distanza e nel cercarsi ostinatamente e rovinosamente. Corrode
i personaggi dallinterno, distrugge le loro vite. Sino al punto in cui il film
mostra lanelata unione nella tragica mancanza dei protagonisti: attraverso la
panchina vuota che hanno lasciato per una vista
migliore. Resta soltanto il luogo vuoto a sancire l“esistenza” e insieme lineluttabile assenza del
loro amore: una “eclissi” che ricorda Antonioni,
già evocata nellinsegna del locale notturno parigino.
Rappresentazione del potere che stritola i rapporti, nega
la libertà e lespressione, la vera “guerra fredda” in questo film si gioca
però su un altro piano: è lamara scoperta di una realtà su cui si infrange
inesorabilmente ogni tentativo di amore assoluto. Interpretata in alcune
sequenze da scelte audiovisive ammirevoli.
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