Raccontare le vicende degli Atridi, il γένος maledetto per antonomasia dellantichità classica in (cattiva) compagnia dei Labdacidi di Edipo, significa inevitabilmente confrontarsi con i grandi tragici dell'Atene del V secolo. È infatti in virtù del prestigio dei loro capolavori che il mito in questione si è cristallizzato in una tradizione, imprimendosi nella memoria della cultura occidentale. Lo sa bene Antonio Latella, direttore dellambizioso progetto Santa Estasi della scuola di Alta Formazione della Fondazione Emilia Romagna Teatro. Partendo dai testi delle tragedie di Eschilo e Euripide (con qualche incursione senecana) si è infatti proposto di portare in scena i delitti e le nefandezze di Atreo e dei suoi discendenti nellunico modo possibile: riscrivendoli.
Il risultato finale è una imponente drammaturgia strutturata
nella forma della “octalogia legata”: otto spettacoli, ciascuno dedicato a un
personaggio del mito, dotati di una propria autonomia interna e tra loro
concatenati. Lidea è quella di ununica narrazione articolata in più segmenti
distinti che rimandano continuamente gli uni agli altri. Tale originale formula
consente al regista di saturare la ciclicità già propria del teatro tragico
antico (la canonica trilogia legata eschilea) rimodulandola nei termini della serialità
contemporanea, almeno quanto a estensione narrativa e a organicità del progetto
compositivo nel suo insieme. La nuova cornice condiziona il trattamento del
materiale mitologico: ad esempio il personaggio di Ifigenia, interpretato dalla
medesima attrice (Federica Rossellini), è protagonista di
due diversi spettacoli non consecutivi quali lIfigenia in Aulide e lIfigenia
in Tauride, richiamando nel secondo momenti del primo. Oppure ancora nella Crisotemi, episodio finale aggiunto ex novo, si ripropongono letteralmente
frammenti delle rappresentazioni precedenti ricomposti in unaltra prospettiva,
dando vita a un vortice che avrà il suo clou
nel ricongiungimento finale di tutti i protagonisti.
A fare da preambolo allintero ciclo è una breve sequenza di
ascendenza senecana dedicata allo svolgimento del sacrilego banchetto da cui ha
avuto origine tutto: quello in cui Atreo
offre in pasto al fratello Tieste le carni dei suoi figli, Tantalo e Plistene.
La “digressione”, che forse accentua un po troppo lelemento orrido e
grottesco, già di per sé abbondante nel Tieste del filosofo stoico romano,
sviluppa programmaticamente le componenti della serie spettacolare. La più
significativa è langolatura intima, familiare,
con la quale si inquadrano le vicissitudini dei protagonisti. Lazione
scenica è infatti quasi sempre collocata allinterno dellοἶκος, sia esso la reggia di
Argo o la tenda di Agamennone, caratterizzato da una scenografia minimale – un
tavolo, alcune sedie, dei divani e addirittura un televisore – che connota una dimensione domestica.
Entro quelle mura si aggrovigliano le problematiche relazioni in seno alla
famiglia “disfunzionale” degli Atridi, terreno fertile
in cui si radicano i moventi delle brutali azioni dei personaggi. Ci troviamo
nellalveo del «dramma borghese», ironica etichetta usata da Agamennone nellIfigenia in Aulide per descrivere i
tormenti di Menelao ossessionato dalla moglie fedifraga Elena. È questo taglio
prospettico che, pur nella sua prevedibilità, ha il pregio di spezzettare le singole
individualità portandole al naufragio in molteplici dinamiche relazionali,
generando personaggi ricchi di sfaccettature. Un momento dello spettacolo © Brunella Giolivo
La prima tappa di questo lungo percorso è proprio la citata Ifigenia in Aulide, adattamento
dellomonima tragedia euripidea. La riscrittura, affidata alla giovane Francesca Merli sotto la supervisione
dello stesso Latella, tiene in gran conto il modello di riferimento. Al
contempo però lautrice riesce a intaccare
la versione canonica del mito scolpita nella memoria degli spettatori: pochi interventi programmatici tanto sottili
quanto penetranti imprimono alle vicende e ai personaggi un deciso cambio di
segno. Il resto lo fanno gli attori, i quali con la loro interpretazione si
insinuano in queste crepe e scavano ancora più a fondo contribuendo ad
accentuare tale gioco di scarti.
Emblema dellefficace procedimento appena descritto è il
personaggio di Ifigenia. In Euripide la fanciulla è un paradosso, una “bomba a orologeria”.
Latto eroico che compie assumendosi volontariamente la responsabilità del
proprio sacrificio sgretola definitivamente il mondo degli uomini eroi,
prigionieri di una Ἀμηχανία che
impedisce loro di definire il giusto, prima ancora che di perseguirlo. Merli, nel suo adattamento (tramite lallusione a
doppio senso ai giochi infantili) suggerisce una possibile relazione incestuosa
di Ifigenia con il padre Agamennone come vero movente del suo finale suicidio.
Lo spunto si trasforma nella chiave di volta dellinterpretazione della Rossellini: Ifigenia
non soltanto toglie ogni dubbio mimando in scena un rapporto sessuale con il
capo degli Achei, ma si spinge oltre infondendo una forte carica erotica in tutte le azioni sceniche in cui è coinvolta. La
fanciulla non è più una vittima innocente che riesce a capovolgere la situazione
e a farsi carico del proprio destino, ma una figura meno lineare, per certi
versi oscura e più intimamente tragica. In un mondo di pseudo-eroi uomini che
la relega a merce di scambio, sceglie di trasformare il proprio corpo in
strumento di controllo. In qualche caso le sue azioni palesano intenti
apertamente sovversivi. Si pensi alla scena in cui sfida gli argivi che hanno
assistito alla rivelazione del suo destino baciandoli uno
a uno. Un momento dello spettacolo © Brunella Giolivo
In questa versione dellIfigenia lequilibrio, o meglio lo
squilibrio, su cui si regge limpianto della tragedia rimane inalterato.
Gli interventi mirati spostano lago della bilancia attivando significati nuovi
e ulteriori, ma nella sostanza, oggi come allora, in scena si assiste a una lenta e inesorabile
decostruzione del mondo degli eroi. Anche in questo caso lerosione avviene su
due fronti: un fronte interno – che interessa gli eroi stessi, incapaci di
orientarsi in una realtà ormai irriconoscibile – e uno esterno. Se tuttavia in
Euripide lelemento perturbante che agiva dal di fuori era Ifigenia, adesso
questo ruolo è assegnato al coro. Lo compongono due donne della Calcide, non
più voci della ragione e della coscienza
come nella drammaturgia antica ma piuttosto portatrici di una identità ‘altra. Agamennone e Menelao sono
intravisti come da lontano, mescolando disprezzo e velata invidia, quasi si
tratti di divi contemporanei situati in un altrove inarrivabile che non tocca minimamente le coreute. Il dialogo tra le due,
condensato in ununica sequenza, mette in luce gli aspetti grotteschi e
ridicoli dei capi della spedizione troiana. Entrambe si dicono felici di non
appartenere al mondo eroico finto e gonfiato, intavolando una riflessione – arricchita
da echi senecani – sulla maledizione che deriva dalla fama e dal potere.
La funzione tradizionale del coro è comunque mantenuta
tramite un altro gruppo silente che accompagna i protagonisti lungo tutto
larco dellazione. Si tratta dellinsieme degli Argivi, personaggi muti che
non si limitano a osservare con attenzione quanto avviene sulla scena, da
spettatori nello spettacolo, ma interagiscono attivamente in diverse occasioni.
La più plateale delle quali ha luogo durante il banchetto che funge da prologo,
nel momento in cui si palesa la vera natura del pasto consumato da Tieste: gli Argivi si alzano sbigottiti, nauseati e
terrorizzati. È un altro punto di vista che moltiplica i piani di realtà
orientando la ricezione del pubblico.
Temeraria al punto giusto, questa Ifigenia è costruita su un meccanismo solido e ben oliato che ruota
principalmente attorno ai suoi interpreti. Sono gli attori ad avere lultima
parola sul personaggio attuando quel lavoro di scavo interiore che porta alla
«Santa Estasi» che – secondo la
definizione dei drammaturghi del
progetto (Federico Bellini e Linda Dalisi) è la «condizione dellattore che si lascia attraversare dalle parole,
dal mito, dagli archetipi, dalla frammentazione del pensiero in tutti i suoi
piani» (dal programma di sala). Concretamente ciò si traduce in una recitazione
sempre «caricata» che servendosi di
un registro patetico estremizzato mira
a suscitare reazioni forti nello spettatore. Questa strada riduce lambiguità e
lindeterminazione, ingredienti così importanti per la definizione dei
caratteri della tragedia antica, rendendo al tempo stesso lIfigenia un dramma fruibile e denso di
significati per un pubblico contemporaneo.
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