Volge al termine la venticinquesima edizione di Fabbrica Europa. Nellambito di un programma misto aperto a tutte le forme di spettacolo, la proposta musicale assemblata dal direttore Maurizio Busìa è stata nel segno della pluralità: dal pop alla sperimentazione toccando i territori più disparati.
Tra i momenti più riusciti, Risplendenti, Riversi (Stazione Leopolda, 9 maggio) è una nuova produzione concepita specificamente per la kermesse fiorentina. Nataša Mirković (voce) e Michel Godard (serpentone e basso elettrico) presentano una nuova tappa del percorso di ibridazione tra antico, moderno, Occidente e Oriente avviato con il progetto discografico En El Amor (Carpe Diem Records, 2017). Li affiancano il percussionista Jarrod Cagwin, già loro collaboratore nel precedente progetto, e il fisarmonicista Luciano Biondini. Oggetto di rivisitazione in chiave contemporanea sono alcune composizioni italiane del XVI e XVII secolo (Frescobaldi, Cavalli, Falconieri) mescolate a musiche balcaniche dautore e tradizionali, oltre a brani composti dagli stessi musicisti. Composizioni che passano al setaccio dellidioma improvvisativo jazzistico, non dimenticando la lezione delle avanguardie storiche. Il risultato della stratificazione di questi incontri “forzati” potrebbe essere un confuso pastiche: e invece, complice lassoluta maestria strumentale dei musicisti, si rivela sorprendente. La sequenza dei brani è tenuta insieme da una drammaturgia attenta, con momenti solistici di passaggio mai fini a sé stessi. I quattro protagonisti padroneggiano un numero impressionante di tecniche diverse, di matrice sia etnica che “colta”, che permettono al discorso musicale di accogliere una grande ricchezza di soluzioni timbriche e sintattiche e di “scorrere” con estrema libertà. Il tutto, come insinua Godard sul finire del concerto, «alla faccia della filologia».
Risplendenti, Riversi © Marco Caselli
Ma non è questo il solo concerto che chiama in causa virtuosismo e disinvoltura stilistica: il duo composto da Gabriele Mitelli e Rob Mazurek (Stazione Leopolda, 10 maggio) colpisce per le stesse motivazioni, pur presentando materiali musicali molto diversi. Alla dimensione interamente acustica del set di Mirković e soci si contrappone la manipolazione elettroacustica che i due trombettisti mettono in primo piano. La costruzione, sempre coinvolgente, si svolge per quadri, ognuno dei quali dà vita a paesaggi diversissimi catturando e processando in tempo reale una cospicua serie di fonti strumentali. A dare coerenza ed efficacia al tutto è la capacità di gestire in modo fluido i trapassi fra un quadro e laltro.
Ancora un duo, formato dal pioniere dellavanguardia giapponese Otomo Yoshihide (ai giradischi e alla chitarra elettrica) e dal sassofonista statunitense Chris Pitsiokos, è protagonista del concerto prodotto insieme a Tempo Reale (Limonaia di Villa Strozzi, 30 maggio). Lincontro avviene nel segno dellimprovvisazione libera, aggiornata tenendo conto dei principi della sperimentazione underground: le asperità abbondano, e marcata è la ricerca sulle possibilità timbriche e performative degli strumenti. Linterplay tra i due musicisti è così fluido che si stenta a credere che si tratti di una collaborazione recente. Otomo e Pitsiokos portano in campo non soltanto tecniche individuali di grande personalità, ma anche una forte capacità dialogica che permette loro di dar vita a strutture estemporanee chiare ed efficaci. Lo scavo sonoro del giapponese, radicale e sorprendente soprattutto quando si applica sui giradischi, non oscura il giovane americano che impressiona per agilità, potenza e consapevolezza.
Otomo Yoshihide e Chris Pitsiokos © Valeria Calabria
La tecnologia è prepotentemente in primo piano in Back Symphony (Stazione Leopolda, 12 maggio) del Quiet Ensemble composto da Fabio Di Salvo e Bernardo Vercelli. Lo spettacolo si basa sulla meccanizzazione e microfonazione di una serie di elementi illuminotecnici (fari, teste mobili, proiettori) che, muovendosi autonomamente, compongono unefficacissima drammaturgia dello spazio fisico e acustico. Gli oggetti, collocati in scena gradualmente dai due artisti, vengono via via spostati secondo nuove configurazioni che danno alla performance un dinamismo coreografico di grande coinvolgimento. La densità e la definizione dei suoni, provenienti dallamplificazione delle parti motrici degli oggetti, sono unaltra nota di merito di questo lavoro. Al crocevia tra balletto meccanico e concerto elettroacustico, Back Symphony è uno spettacolo riuscito.
Back Symphony © Giulia Sarno
La performance che Enrico Gabrielli ha proposto in prima esecuzione (Stazione Leopolda, 6 maggio) si basa sul riuso di dispositivi obsoleti: una scelta oggi piuttosto diffusa negli orizzonti della sperimentazione musicale, con risultati non sempre convincenti. È una prospettiva che può coniugare, in proporzioni di volta in volta diverse, ricerca sonora, archeologia dei media, critica ambientalista e sguardo nostalgico sul passato. Nel caso di Piccolo ensemble di comunicazione, questultimo livello è preponderante, come emerge dalla descrizione che accompagna lopera. Le «vecchie parole» dei messaggi vocali raccolti da Giulia La Marca e Tommaso Perfetti per il progetto “Enzo sono Lina” di Enece Film, vengono proposte ed elaborate per mezzo di otto segreterie telefoniche. Ad azionarle, sotto la direzione dello stesso Gabrielli, è un gruppo di studenti del Liceo musicale “Francesco Petrarca” di Arezzo che agiscono sulla base di «un foglietto di regole musicali, dialettiche e di ascolto degli altri» e di basilari processi di ascendenza aleatoria (alcune azioni sono infatti governate dal tiro dei dadi). Se gli elementi di novità non abbondano e la riuscita è parziale, il punto di vista più interessante da cui guardare al lavoro è quello didattico: portare dei giovanissimi a contatto con un modo diverso di vedere la creazione musicale, a partire dallesplorazione, anche in chiave ludica, delle possibilità sonore e drammaturgiche di un dispositivo originariamente concepito per altri scopi.
Piccolo ensemble di comunicazione © Marco Caselli
In chiusura, segnaliamo il concerto di Stefano Pilia e Massimo Pupillo (Stazione Leopolda, 7 maggio) musicisti notissimi della scena sperimentale underground che hanno proposto un denso percorso di esplorazione sonora dal sapore ritualistico attraverso la gestione simultanea di una molteplicità di sorgenti (campioni, suoni di sintesi, basso e chitarra elettrici). Le atmosfere “scure” create dai due italiani sono state rovesciate nel set seguente, quello della vocalist e violinista canadese Jessica Moss, virato invece su tinte emotive luminose e rarefatte, con semplici soluzioni musicali che non colpiscono lascoltatore. Poco entusiasmante anche Screenplay di John Parish (Stazione Leopolda, 6 maggio), uno spettacolo che ha voluto coniugare cinema e musica, ma in maniera poco organica: unoccasione mancata.
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