Tre persone conversano in scena, si
interrogano sugli avvenimenti lontani che li videro protagonisti e testimoni di
unavventura scientifica destinata a mutare il sapere sulluniverso, nonché le
sorti della seconda guerra mondiale e la convivenza internazionale. Nel loro
presente teatrale, quasi fantasmi che rievochino il passato, dibattono sui
moventi e le circostanze che segnarono le ricerche in fisica nucleare,
introduttive alla scoperta della fissione e alla realizzazione della bomba
atomica. Il momento decisivo fu lincontro fra il danese Niels Bohr e il
tedesco Werner Heisenberg – ai quali si deve lelaborazione della
meccanica quantistica – avvenuto a Copenaghen nel settembre 1941.
Il senso del loro colloquio dallora,
interpretato in base alle dichiarazioni degli stessi interlocutori, continua ad
alimentare, nelle ragioni e nelle scelte personali più profonde, un “mistero”
tuttora irrisolto. Michael Frayn rimpasta la materia con sapienza
drammaturgica ed efficace sguardo investigativo, animando soprattutto il
confronto tra personalità, caratteri e vocazioni diversamente complessi. Quel
momento riesce avvincente per lincertezza attorno alle condizioni e ai motivi
a contrasto che lo caratterizzarono. Un dilemma morale lacerante sorge infatti
dagli interessi culturali e politici dei due protagonisti implicati: Bohr
difensore dei diritti offesi della patria occupata, Heisenberg sollecitato
dallurgenza delle sue ricerche davanguardia.
Nellaffrontare i problemi specifici con
metodi matematici, i contendenti si trovano a gareggiare in allusioni e
ipotesi. Nellanalogia degli scopi e dei metodi, appaiono rappresentanti di
mondi diversi, inconciliabili e ugualmente esposti alla loro fallibilità. Heisenberg sembra vivere direttamente il paradosso del principio di
indeterminazione, frutto della sua stessa speculazione. Bohr lo contesta e pure
ne resta affascinato, in un duello generazionale fra maestro e allievo, nel
quale la vittoria (pare suggerire lautore) non premia nessuno, ma impone
responsabilità reciproche e comuni, estensibili alla scienza intera. Il senso
di quella conversazione, ormai mitizzata, è incerto e controverso, tanto che
nello spettacolo essa viene affrontata e riproposta tre volte, per saggiarne
gli approcci, verificarne le origini e gli scopi, misurarne se possibile le
estreme conseguenze umane. Soltanto dopo le esplosioni di Hiroshima e Nagasaki ne
saranno valutabili i tragici risultati.
Un momento dello spettacolo © Marco Caselli
Lambientazione predisposta da Giacomo
Andrico è unaula universitaria con vistose lavagne coperte di calcoli. In
primo piano, la “casa” dei Bohr, comprendente la gradinata nera dellaula e
poche sedie. Linterno e lesterno dei luoghi corrispondono al passato e al
presente, entrambi frutto dartificio teatrale. Dalloggi della
rappresentazione allo ieri storico e viceversa, si rende drammatica linchiesta
su una realtà sfuggente agli stessi attori, sottoposti alle impellenze e ai
dilemmi del tempo. Lindeterminazione quale regola profonda della natura (e
della sua misurazione) pare dettar legge soprattutto a ogni persona che si
esamini sinceramente e in relazione agli altri e al mondo.
Il regista Mauro Avogadro, lo stesso
del primo allestimento (1999), mira alla coerenza delleffetto complessivo, in
rapporti molto verosimili e resi spontanei dai superlativi interpreti,
anchessi artefici della “prima”. Definito e interiorizzato il carattere
distintivo di ciascun personaggio, la regia cerca lequilibrio fra il mistero
delle coscienze ancora vive e le spiegazioni plausibili del progresso che portò
a dominare lenergia atomica, ma anche al suo impiego funesto. Forse qualche
taglio alle lunghe sequenze dedicate ai concetti e ai calcoli avrebbe alleggerito
il discorso, articolato lucidamente e scandito con maestria dagli attori. I
loro passaggi più ardui, entusiasmanti campioni di linguaggio matematico,
vengono vulgati per lorecchio meno specialistico ma sagace di Margrethe (Giuliana
Lojodice), con esempi quotidiani e metafore cattivanti. È bello e
divertente seguire sensazioni e immagini che gli scienziati esprimono in mimica
oltre che a parole. Si partecipa allora alle proprietà più segrete dellostica materia trattata e al percorso mentale ed
emotivo che conduce dalle ipotesi alle soluzioni e alle acquisizioni finali.
Un momento dello spettacolo © Marco Caselli Grazie alla presenza femminile, così singolare
e necessaria, emergono in quelle personalità tanto eccentriche sfumature e
disponibilità umane. La sensibilità rigorosa di Margrethe ne discerne e
sottolinea il lato morale in dissertazioni e scelte, quasi voce dun coro
spesso rivolta al pubblico in confidenza. Così lattrice riesce con grande
efficacia a proporre i dubbi del testimone esterno, allarmato per i rischi e le
aspirazioni degli avversari, riportandoli a una dimensione personale più umana,
nella visione storica. Umberto Orsini mantiene di Bohr la coscienza
chiara del proprio ruolo di maestro, di fronte al genio del più giovane ex allievo,
formando con lui una coppia che riunisce la potenza intellettuale e la volontà
puntata a un esito comune, scatenandola in un match in tre riprese. «È
un inquietante processo a porte chiuse – definiva il testo Avogadro – il
disegno drammatico di un serratissimo faccia a faccia». Una sfida giocata
mediante i concetti e i numeri che misurano i fenomeni analizzati. La recitazione segue modelli classici eppure
modernissimi per nitidezza e velocità di dizione, urgenza espressiva e capacità
di autogiudizio; una rassegna di stilemi irripetibili, di registri e
intonazioni sorprendenti. Massimo Popolizio recita un Heisenberg di
energica chiarezza, occhiali in una mano e nellaltra il gesso graffiante le dimostrazioni sulla lavagna. Una mente che
attraversa cifre e logiche trascendentali, dalle quali recupera sempre un
tormento esistenziale e lo trasmette alla ricettività dello spettatore che, come ventanni fa, gli risponde con generosi
applausi.
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