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Nel villaggio delle donne

di Marco Pistoia
  L'uomo seme
Data di pubblicazione su web 13/03/2018  

Nel gioco del “se fosse”, questo spettacolo, a un tempo delicato e di forte impatto, anche emozionale, sarebbe una gemma di smagliante purezza. Negli ultimi anni l’arte attoriale di Sonia Bergamasco è andata completandosi e arricchendosi. Nello stesso tempo quest’artista che non conosce confini e limitazioni sta rivelando doti non comuni anche quale regista teatrale. E se il Il ballo (prossimo allestimento al Franco Parenti) era già a suo modo una prima prova di regia, l’esordio “ufficiale” in questa veste è avvenuto lo scorso anno al Piccolo con Louise e Renée, drammaturgia di Stefano Massini da Mémoires de deux jeunes mariées di Balzac, dove l’attrice (ma non interprete) ha brillantemente diretto due colleghe di ottima classe, Federica Fracassi e Isabella Ragonese.

Con L’uomo seme Sonia Bergamasco è tornata in scena e si è avvalsa di notevoli compagni di strada: il maestro Rodolfo Rossi, già altre volte partner musicale, nel ruolo del titolo; il quartetto di musiciste e danzatrici salentine Faraualla (Loredana Savino, Gabriella Schiavone, Maristella Schiavone, Teresa Vallarella); il consueto Cesare Accetta, sempre straordinario autore delle luci; Barbara Petrecca, scenografa e costumista di vaglia, ideatrice di un elemento di scena che assume anche una valenza drammaturgica: un bellissimo albero, riccamente ramificato e mobile, posto al centro della scena, che ci ha virtuosamente ricordato lo stile delle sculture sceniche di Mario Ceroli per Ronconi con echi di Alexander Calder.

Lo spettacolo è tratto da un racconto lungo di Violette Ailhaud (nella traduzione di Monica Capuani). Ultraottantenne quando lo scrisse nel 1919, la Ailhaud narra, come in un mémoire, una vicenda ambientata nella bassa Provenza, essendo stata testimone, poco più che adolescente, del momento storico dirompente da cui la storia prende avvio: la decimazione degli uomini durante l’insurrezione repubblicana del 1851, sotto Luigi Napoleone Bonaparte, cui farà seguito una seconda decimazione, stavolta causata dalla Grande Guerra.

Un momento dello spettacolo
Un momento dello spettacolo

Nel prologo la Bergamasco, in piedi sopra una sedia, legge l’antefatto. Poi entra a tutti gli effetti nella scena della storia e se ne fa voce narrante, come eco della stessa Ailhaud, con sapienti movimenti coreografici eseguiti con le Faraualla e ottimamente curati da Elisa Barucchieri. L’attrice dà metaforicamente voce a tutte le donne del villaggio che si divideranno il primo uomo che arriverà. Un racconto a mo’ di monologo interiore o, meglio ancora, di flusso di coscienza, al quale l’attrice ha conferito quasi il suono di un canto. Non nel senso specifico del termine, perché Bergamasco non canta, ma in senso poetico. Nella sua magistrale polifonia vocale l’artista condensa le sensazioni che provano le donne del villaggio: paura e desiderio, passione e speranza, attesa. Del resto, a proposito dei ricorrenti rapporti tra parole voce suoni musica, l’attrice-regista nel programma di sala scrive che l’idea di dare voce a questo antico racconto è dovuta in primo luogo a «un’intuizione musicale». Nonché a una suggestione che deriva da un libro di Svetlana Aleksievič (La guerra non ha un volto di donna, 1985), dove si racconta di villaggi abitati solo da donne che parlano di uomini assenti; donne che, scrive il premio Nobel, piangono o cantano a mo’ di pianto.

Tutto ciò nello spettacolo è orchestrato come una fiaba o un racconto magico-fiabesco, che la gamma di luci e colori di Accetta marca con toni pastello o intensi blu notturni; e che l’albero modella accogliendo le donne che vi si adagiano, come in una confortevole dimora. Valenze etno-antropologiche emergono da una storia piena di rabbia quanto di tenerezza, nonché dalle articolate sonorità di Rossi: il suo maniscalco giunge in palcoscenico come una delicata epifania. Ancora una volta un testo non teatrale viene piegato a racconto di scena, immerso – come già in Louise e Renée – in forti suggestioni visive, in particolare legate a possibili – anche se non evidentemente citati – modelli pittorici ottocenteschi. Anche la virtuosa calibratura cronometrica suggella un armonioso incontro tra narrazione e teatro, musica e poesia, recitazione e regia.



L'uomo seme
cast cast & credits
 

La locandina dello spettacolo

La locandina dello spettacolo



 
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