«Perché la devi curare? È malata?» domanda Angelica a Tina. Angelica (Alba Rohrwacher) è una donna inquieta che ha affidato la figlia Vittoria (Sara Casu) ancora in fasce alla più giudiziosa amica Tina (Valeria Golino). Il primo contatto tra lignara Vittoria e la madre biologica desta nella bambina una curiosità irrefrenabile verso quella donna inquieta e sfrontata. Mentre Tina sostiene che il suo atteggiamento apprensivo è per la ragazzina una “cura”, la madre naturale non riesce proprio a capire cosa debba essere curato in Vittoria. Laura Bispuri rappresenta nuovamente il cinema italiano nella sezione Competition della Berlinale. Concorre allambito Orso dOro con una pellicola ancora dominata da donne. Le figure maschili restano sullo sfondo, a livello narrativo e recitativo. Evidente la contrapposizione fra attori “locali” e le intense attrici protagoniste. La Rohrwacher prosegue la collaborazione con la regista romana confrontandosi con Valeria Golino. Il film è ambientato in una piccola realtà sarda. La giovane figlia si muove tra due poli. Lo spazio ha una funzione narrativa e simbolica dirimente. Da una parte, i luoghi chiusi della casa della madre adottiva, pia e timorosa; dallaltra gli spazi aperti, luminosi, intensi dellimpetuosa madre naturale. Analogamente gli spazi cinetici vissuti da Vittoria e Angelica – i viaggi in macchina, larrampicata sul Supramonte, la corsa dei cavalli legati alla jeep – si oppongono allo spazio della casa dovè cresciuta: la cameretta spoglia dove la madre adottiva la controlla a breve distanza, lacqua immobile e silenziosa della vasca da bagno. Una drammaturgia dello spazio che include anche gli spazi del rumore: il vento che sferza il volto della ragazzina mentre scala laspro altopiano sardo con lirrequieta Angelica e la giocosa melodia anni 80 di Questo amore non si tocca che ballano insieme si oppongono al placido canto delle cicale delle serate estive.
© Vivo film / Colorado Film / Match Factory Productions / Bord Cadre
Films
La fotografia di Vladan Radovic esalta questo ruolo oppositivo e descrittivo dei
luoghi: i colori caldi e ancestrali dei territori selvatici dove vive e si
muove Angelica si alternano con gli spazi più cupi di Tina. In un bar fumoso la
fragilità di Angelica emerge e naufraga nellopacità di un luogo di
frustrazione e solitudine.
La luce è fondamentale anche nel tracciare i lunghi
piani sequenza che dipingono gli stati danimo delle protagoniste. Un disperato
buio notturno avvolge linquadratura che segue Tina nella straziante sofferenza
generata dal rifiuto da parte della figlia. Mentre unaccecante luce opprimente
allude al senso di inadeguatezza di Angelica, allaggressività con cui cerca di
sottrarsi al compito materno, per il quale pensa di essere inadeguata.
Come nellopera desordio Vergine Giurata, il corpo è indagato dalla regista attraverso lunghi
piani sequenza con la camera a mano. Con viscerali piani ravvicinati che
sottolineano i sentimenti esasperati delle madri, la fragilità e limperfezione
della condizione materna, i momenti di confronto-scontro tra le due donne che
ora si invidiano e si odiano, ora si cercano riconoscendosi in questa loro opposizione. © Vivo film / Colorado Film / Match Factory Productions / Bord Cadre
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Ma la camera indaga soprattutto il corpo di
Vittoria, portavoce della sua irrequietezza. Una sete di ricerca che tragitta dalle avventure al respiro
affannoso della paura che conosce insieme allaudacia e alleccitante sfrontatezza
delle sfide che Angelica le propone. Il dondolio degli orecchini che la madre
naturale le dona è il correlativo oggettivo di una femminilità più istintiva e libera.
Si pensi poi alla drammaturgia della fuga, del “cammino”: la macchina da presa
segue la bambina nel movimento verso
la casa di Angelica: una possibilità di scoperta, ma anche un rifiuto della
madre adottiva, del suo atteggiamento apprensivo che la fa sentire inadatta,
imperfetta. Una “malata” da “curare”.
Vittoria vacilla tra questi due modelli, in bilico tra
attrazione e repulsione. La forza fragile e scombinata di Angelica la
incuriosisce, la stimola, ma la spaventa e la ferisce. Lamorevole cura di Tina
la opprime, la fa sentire loggetto – deludente – di una soddisfazione
egoistica («Mi hai comprata!»), ma al contempo ha bisogno della sicurezza di
questo affetto placido e rassicurante. Non è soltanto la maternità ad essere
messa in questione, ma la ricerca della protagonista diventa una quête identitaria.
Nonostante nella pellicola siano forse
eccessivamente esibiti gli intenti, è da apprezzare lassenza di un approdo, di
una soluzione finale scontata o consolatoria. Non cè una scelta possibile, a
eccezione del riconoscimento della bellezza dellamore materno – e forse, più
propriamente, della scoperta di sé – nel suo duplice carattere di
attrazione-repulsione, nella sua imperfezione e complessità, nella molteplicità
del suo significato e delle sue possibilità di attuazione (madre naturale,
madre adottiva, madre che ritorna).
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