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La vittoria di Andrea Chénier

di Alberto Bentoglio
  Andrea Chénier
Data di pubblicazione su web 15/12/2017  

Grande era l’attesa per la nuova produzione di Andrea Chénier che ha inaugurato la stagione del Teatro alla Scala il 7 dicembre 2017. L’opera di Umberto Giordano (il cui nome fa ancora oggi storcere il naso a non pochi dottissimi uomini di musica), su libretto di Luigi Illica, mancava dalla sala del Piermarini dal 1985 e la presenza nei ruoli principali di Anna Netrebko e del marito Yusif Eyvazov faceva della serata una ghiotta occasione anche per il gossip dello star system della lirica internazionale interessato soprattutto a faccende di natura coniugale («Lui canta solo perché c’è lei che è sua moglie». «No, lei canta solo perché c’è lui che è suo marito!»). A parte queste sciocchezze, le aspettative non sono andate deluse: grazie, in primo luogo, alle straordinarie abilità musicali di Riccardo Chailly – che già nel 1982 e nel 1985 aveva diretto alla Scala la partitura di Giordano (nel 1982 sul palco c’era allora un indimenticabile José Carreras) – il pubblico in sala e il ben più numeroso pubblico televisivo, collegato con una diretta internazionale, hanno potuto apprezzare un’edizione di questo capolavoro come credo sia impossibile, o molto raro, vederne in questi ultimi anni.


Un momento dello spettacolo 
© La Scala

Lo spettacolo reca la firma di Mario Martone (che già aveva convinto pubblico e critica con la Cena delle beffe, anch’essa di Giordano, presentata nel 2016, e con l’intelligente edizione di Cavalleria e Pagliacci del 2011) ed è una produzione di serie A. In un periodo in cui è ormai consuetudine vedere Violetta morire nel centro massaggi Thai, Lohengrin entrare in scena cavalcando una Vespa anni Cinquanta, Lady Macbeth leggere la lettera del consorte dallo schermo del suo iPhone, Carmen cantare l’habanera sul confine messicano mentre tenta di emigrare nell’America di Trump, Martone ha il coraggio di ambientare Chénier nella Parigi della Rivoluzione francese (non in quella russa e nemmeno – pensate bene – in quella studentesca del ’68) proponendo una regia intelligentemente critica ma, al tempo stesso, fedele alle esigenze della musica e del libretto. In questa operazione, è aiutato dalle scene belle e funzionali della bravissima Margherita Palli, dai meravigliosi costumi di Ursula Patzak, dal sapiente gioco illuminotecnico di Pasquale Mari e dai movimenti mimici e coreografici di Daniela Schiavone

Lo spettacolo funziona e piace al pubblico che apprezza la scena costruita su un girevole che ruotando permette, da un lato, di seguire da differenti angolature cinematografiche i luoghi dove si svolge la vicenda e, d’altro lato, favorisce la concisione drammaturgica, presentando lo spettacolo in due sole parti, con un unico intervallo tra il secondo e il terzo quadro. Nel disegno registico di Martone, nulla è mai banale e nulla è inutilmente provocatorio. La recitazione dei cantanti è sempre curata, in primo piano, mai convenzionale, i movimenti delle masse sono efficaci, gli interventi coreografici e mimici calibrati: insomma ogni cosa contribuisce a porre musica e canto in primo piano come sempre (o quasi) dovrebbe accadere nel teatro d’opera.


Un momento dello spettacolo 
© La Scala

Altrettanto eccellente si conferma la parte musicale. Chailly è perfettamente a suo agio con la partitura di Giordano. Il suono dell’orchestra è bello, intenso e curato. Il coro scaligero canta così bene che ogni suo intervento è perfetto. Il palcoscenico segue con cura le indicazioni del direttore, conseguendo risultati eccellenti. Lo stesso dicasi per i protagonisti. Primo fra tutti Yusif Eyvazov che propone un Andrea Chénier convincente, sofferto, più lirico che drammatico (ma così lo voleva il compositore), dal bel fraseggio e dagli acuti squillanti in una interpretazione che cresce musicalmente di atto in atto e trova, a mio parere, il suo punto di forza nella romanza conclusiva Come un bel dì di maggio che ricorda un modo di cantare antico e raffinato (alla Tito Schipa e alla Beniamino Gigli, per intenderci). Al suo fianco Anna Netrebko che dall’Aida di Verdi approda alla Maddalena di Giordano con la consueta sicurezza vocale e la straordinaria capacità di modulare la voce e piegarla a ogni indicazione della partitura. Ogni frase è curata, ogni accento espressivo è ricco di colore. Il suono è bello, gli acuti sicuri, l’emissione perfetta. Non so dire se al momento la Netrebko sia il soprano migliore in circolazione ma se anche non fosse il numero uno, davvero poco ci manca. Di livello non comune il Carlo Gérard di Luca Salsi che canta sempre con nobiltà espressiva e con un fraseggio curato, lontano dalla “scuola del muggito” (la definizione se non sbaglio è di Rodolfo Celletti) che per anni ha fatto dei baritoni dell’opera verista degli inascoltabili urlatori. Un cast stellare, dunque, completato dalla mulatta Bersi di Annalisa Stroppa, dalla Contessa di Coigny di Mariana Pentcheva, dalla commuovente Madelon di Judit Kutasi e dall’Incredibile di Carlo Bosi che offrono prova di bravura non comune.

Applausi tanti e per tutti, dal primo all’ultimo, in un teatro sempre esaurito in ogni ordine di posti come ai tempi di Del Monaco e della Callas!



Andrea Chénier
Opera lirica in quattro quadri


cast cast & credits
 
trama trama



Un momento dello spettacolo
© La Scala

 
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