Fausto Paravidino insiste
nel cimentarsi in grandi imprese, costruendo pièces e rappresentazioni di impegno e mole notevoli. Dopo Il macello di Giobbe (2015), che
utilizzava versi e prosa per una saga dedicata a una famiglia di macellai,
torna ora a una storia familiare lunga cinquantanni, nella quale si riflettono
eventi storici dellItalia e del mondo. Al prisma di tante sensibilità
personali, il drammaturgo e regista avanza ipotesi e giudizi sulla Storia, con
un approccio forse meno congeniale rispetto alle sue sceneggiature più
riuscite. Questopera richiama molti temi attuali. Ingredienti dun universo
globale nel quale i personaggi, come tipi o maschere (a momenti apposte letteralmente
sui volti degli attori), sono esemplari di unumanità già disgregata da moti
incontrollabili, incerta sulla propria identità e missione, orfana di ideali
tramontati.
Eppure il senso della vita,
quello che Emma cerca (o racchiude) in un paradigma caratteriale giovanile,
intende inserirsi in una prospettiva ancora valida e governabile. Non tutto è
perduto, pare soggiungere lautore-attore, quando alla ribalta chiude la
rappresentazione dichiarandola “storia vera”, poiché frutto dinvenzione
teatrale. Ma includere unaneddotica così varia e appariscente diluisce, nella
ridondanza della sua rappresentazione, linteresse. Introdotti dal tema dellambiguità (se non della perversione) del
ruolo dellarte, tanti altri ed eterogenei ne vengono convocati, quali la
fragilità sessuale della coppia, la seduzione della pubblicità, la
superficialità del compito politico, il travisamento della vocazione religiosa,
con le varianti dellomosessualità o del viaggio iniziatico e di formazione.
Un momento dello spettacolo © Tommaso Le Pera
Nellantologia dei personaggi paravidiani
coesistono vizi e virtù, distribuiti in casi pretestuosi, adattabili sia al
teleromanzo, sia a una comicità da paradosso fantozziano. Così il rude Carlo,
orgoglioso della saggezza contadina, pratica la caccia e simpatizza per le
Brigate Rosse. Suo figlio Marco, in crisi adolescenziale, frequenta la
parrocchia e confonde nella sua “ascesi” leroismo di Gesù e di Mazinga. La
nascita di Emma, per lurgenza del parto, richiede luso di unauto in panne,
spinta a braccia durante una nevicata. Innumerevoli luoghi comuni sugli
equivoci, nei rapporti personali, si presentano come incidenti immancabili
nella navigazione a vista e casuale di queste esistenze, pure osservate con
affettuosa partecipazione. Altre perplessità desta la scelta dei registri
linguistici assegnati ai personaggi. Da una concezione antirealistica e
illusionistica del teatro, lautore sembra tornare, con le citazioni mimetiche
del parlato, degli oggetti e dei costumi, a un implicito verismo, magari per scrupolo
di fedeltà alla ricostruzione storica. Anche gli stili e i mezzi
rappresentativi sono i più disparati: dalla maschera, usata da comparse quasi “corali”
e straniate, alla marionetta, per mostrare Emma, bambina e assente.
Ma oltre le impressioni negative,
landamento dello spettacolo, pure lungo e quindi a momenti accorciabile, procede
spedito e godibile, incorniciato in un impianto scenico che divide la
profondità del palcoscenico con una saracinesca e che mette in risalto settori
successivi con semplici scorrimenti o sostituzioni di quinte modulari. La
storia procede per flashbacks e “in diretta”, in un presente nel quale
saggiorna sia la condizione dei personaggi, sia la suspence per lassenza di Emma, la cui scomparsa sarebbe un caso
ghiotto per Chi lha visto? Il
“mistero” sorge dal ritratto della donna, attorno al quale i visitatori e i
critici della galleria che lo espone sinterrogano, con grottesche movenze e
ironia, sullessenza e la funzione dellarte, così condizionate dal mercato.
Un momento dello spettacolo © Tommaso Le Pera
Seguono la formazione delle
famiglie di Carlo e Antonietta (genitori di Emma) e dei loro amici, Clara e
Giorgio (genitori di Leone). Moventi culturali e ambientali, in concorso
casuale, determinano i loro destini diversi e connessi. Della vita di Emma si condividono
alcuni momenti significativi: la nascita, i problemi di apprendimento e di
relazione, ladesione a “movimenti”, la contestazione clamorosa duna mostra
londinese, il rapporto con Leone, il suo matrimonio con il bello del paese (lo
Splendido) e la fuga, fino al ritorno per lincontro con lautrice del ritratto
e il chiarimento complessivo. Ciò che manca allaffresco storico riemerge nella
ricerca di moventi più personali e congeniali allautore. Impiegare numerosi
personaggi – nella vita “vera” pochi sono i protagonisti e molte le comparse –
è in lodevole controtendenza, in una situazione come quella doggi che vede il ridursi
di ruoli e di attori, con la perdita del concetto di dialogo drammatico. Lo
consente questa compagnia, in cui lattore può interpretare più ruoli e non
deve ostentare il physique du rôle.
Quanto alla recitazione,
Paravidino veste il suo Carlo di saggezza contadina, lo dota di intelligenza
istintiva e senso pratico, ma lo interpreta come insofferente
allacculturazione, negligente e dimesso nella dizione, alterata e soffocata. Eva
Cambiale attinge in Antonietta a una gamma vasta di intonazioni naturali e
abilmente stratificate. Figura intelligente e colta, insegnante di Lettere, è
quattro volte mamma. Reagisce, comprende, accetta, segno della simpatia
dellautore per la donna, centro della vita. Anche lei in crisi, si concede una
vacanza, stacco dalla routine, quando, incinta di Emma, trasloca presso gli
amici Giorgio e Clara (Jacopo Maria Bicocchi e Marianna Folli),
coppia disinvoltamente fuori sintonia in ambito sessuale. Caratteri opposti, i
fratelli Marco (Gianluca Bazzoli) e Giulia (Angelica Leo),
modellati su reattività conflittuali e sensibilità incompatibili. Emma in carne
e ossa è Iris Fusetti, convincente tanto nelle folate di rabbia e di
passione, quanto nel ricordo o nella riflessione responsabile: un bel ritratto
dal vivo della ricerca dellidentità, fra
sincerità e qualche schizofrenia; una lezione
compresa dalle donne (a partire dalla madre) che sidentificano in lei. Fra
tutti i comprimari, divertiti e divertenti, nella devozione allimpegno
condiviso spicca laffabulazione travolgente della Zia Berta di Sara Rosa
Losilla.
Gli attori che si rivolgono al
pubblico e varcano la quarta parete si sentono complici con lo spettatore e –
anche contando su questa confidenza, su questo patto tacitamente condiviso – si
garantiscono lunghi applausi spontanei.
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Il senso della vita di Emma
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Un momento dello spettacolo
© Tommaso Le Pera |
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