Lo spettacolo rende omaggio a Franco Parenti, che interpretò il protagonista della comédie-ballet di Molière messa in scena da Andrée Ruth Shammah nel 1980. Questo nuovo allestimento, ancora diretto da Shammah, conferma le scelte felici del passato affidando a Gioele Dix, allora giovane attore, la parte del celebre ipocondriaco, succube delle sue ansie e in balia duna professione che lautore contesta e satireggia aspramente.
Al culmine della maturità, Molière costruisce lultima commedia con i mezzi più tipici e prevedibili della sua arte, per effetti sicuri sul gusto dun pubblico già conquistato. Autonomo dal re, si trova in concorrenza con Quinault e Lully nel produrre una novità di stagione. Esce in anticipo sulla coppia rivale rappresentando, nel febbraio 1673, il suo Malade imaginaire, adeguatamente farcito di intermezzi e di balletti musicati da Charpentier. Oggi, decaduto il contorno diversivo dellopera, si rappresentano soltanto i “tre atti in prosa”, preoccupandosi di dare un senso, quanto più possibile attuale, alla trama farsesca della pièce.
La messa in scena di Shammah è abile appunto nellottenere dalla farsa una schietta ilarità, suffragata da meritati applausi anche a scena aperta. Tuttavia, resta limpressione dun percorso per vie collaudate e prevedibili, consueto nelle versioni più moderne dei classici: quasi le intrinseche qualità linguistiche e ideologiche dei testi non fossero in grado di attestare il loro valore oltre i mutamenti storici. Nella rappresentazione mi pare un po si perda, in cerca della contemporaneità, la misura della distanza dalla concezione dellopera. Trovo invece apprezzabile laffettuosa inclinazione al femminile impressa dalla regista allemblematico malato, che dallautocompatimento è assolto e curato maternamente con la tutela sia pur rude di Tonina, in un confronto epico nel quale la comicità prevale sul dramma.
Un momento dello spettacolo © Fabio Artese
Anche nella traduzione di Garboli il linguaggio è molto attuale. Nello spettacolo i costumi, le attitudini e le voci aggiornano lambientazione della commedia, trasferita in un Novecento probabile, ma vago, con vistosi anacronismi, quali la poltroncina rossa rotante, in stile Ikea, o la sigaretta che Beraldo fuma dissertando sui devianti interessi della scienza medica. Sulla scena sgombra, dalle pareti disadorne in due toni di grigio – praticabile dagli attori anche grazie a uno spazio retrostante ricavato con un trasparente – appare Argante intento a fare i conti delle spese esorbitanti delle cure e a ridurre i compensi richiesti da medici e farmacisti. Infagottato, con la cuffia contro gli spifferi e i calzettoni rimboccati, ripassa le fatture accanto al suo comodino ingombro.
Gioele Dix inizia il suo bilancio con una recitazione chiara e sciolta, non ostentata: un lungo campionario articolato in cliniche citazioni ed esclamazioni estemporanee. Nella condizione di padrone di casa è in continua sfida con lirriducibile Tonina, serva-infermiera che oltre a soddisfare le sue richieste maniacali, lo sprona a liberarsi dalle sue paure. Anna Della Rosa è interprete scaltra e volitiva dun personaggio (sostenuto da Lucilla Morlacchi nella prima edizione) sincretico di saggezza, tatto e diplomazia. La vediamo equilibrare ubbidienza e convenienza nel governo dei rapporti familiari. In tenuta monacale, agile nellaccudire e sfaccendare, pragmatica nelle decisioni e fantasiosa fino allo stratagemma del travestimento. Amica della padroncina Angelica e sua complice nel favorirne la tresca con linnamorato Cleante; vigile sulle pretese della signora Belina, seconda moglie di Argante.
Le scene ritmate a misura giusta, ora comica ora drammatica, rivelano i caratteri salienti dei personaggi. È il caso del primo contrasto fra padrone e serva che volge in alterco e in duello, con inseguimento sulla sedia a rotelle, minacce insulti e bastonate. Vince Tonina, nel dimostrare la velleità del padre minaccioso di castighi per la figlia che rifiuta lo sposo imposto. Ancora Tonina è protagonista, travestita da medico, nel terzo atto, quando imbonisce il malato e lo lascia confuso e illuso. Altro momento di umorismo efficace si ha con la richiesta della mano di Angelica da parte del neolaureato Tommaso Purgone. È la brutta figura dellimbranato pretendente (Francesco Brandi) che – in presenza del padre professore –fa la dichiarazione con un discorso di formule accademiche e banalità sentimentali. Ben riuscita anche la recita improvvisata da Cleante (un Francesco Sferrazza Papa forse troppo umile e rassegnato) e da Angelica (una Valentina Bartolo di sicura vocazione), così chiaramente allusiva al loro amore vero, nei ruoli fiabeschi di Fillide e di Tirsi. Momento in cui si dà forse per scontata labnorme insensibilità del padre nella sua canonica stupidaggine.
Un momento dello spettacolo © Fabio Artese
Fra i ricorrenti duelli verbali (comprendenti sapidi “a parte”), da notare Pietro Micci (Beraldo), di fronte al fratello nellarringa, razionale ed elegante, contro gli abusi dei sedicenti guaritori. Nonché la finta morte di Argante, che svela sia limpostura della moglie (una Linda Gennari maliarda e capricciosa) rallegrata alla vista del cadavere, sia la sincerità filiale di Angelica.
Il finale, che giunge brusco e imprevisto, è scelto con forte senso di suspense, provocando linterruzione della storia alla proposta dellulteriore scherzo carnevalesco del conferimento ad Argante duna laurea in medicina honoris causa. Resta dunque sospesa, dal buio e dal sipario, lipotesi che il perenne tormentato possa mutare in extremis e vincere la sua patologia soprattutto mentale.
Un successo indubbio di pubblico, anche se non emergono i registri più profondi e oscuri di unopera da ritenersi testamentaria nella sua magistrale ambiguità tragicomica.
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