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Notturna ascesi dell’erotismo

di Gianni Poli
  Cantico dei cantici
Data di pubblicazione su web 27/11/2017  

È ospite in tournée al Teatro Modena di Genova Cantico dei cantici, coreografia di Virgilio Sieni ispirata all’omonimo testo biblico. Lo spettatore prova sconcerto al primo impatto con l’azione scenica. Laddove ci si attenderebbe un’ambientazione agreste, in un panorama di verdeggiante assolata campagna, si scorgono emergere dalle tenebre ombre oscillanti generate da una luce variabile e incerta. Il silenzio iniziale è lungo, perfino angoscioso. Poi il contrabbasso fremente di Daniele Roccato – pura “voce” allo stato nascente – suggerisce parole misteriose, soffocate, proferite appena. Effetto ben diverso dal flauto e dall’organo “cantanti” che accompagnavano la versione di Martha Graham (Song, 1985).

Tutt’altro, dunque, rispetto alle metafore ardenti, agli slanci appassionati per piacevoli evoluzioni di corpi in una calda stagione luminosa che caratterizzavano lo spettacolo di Graham. Qui la drammaturgia delle immagini svaria dall’immersione nella stanza notturna nel Cantico a quella dell’attesa e del dolce tormento dell’innamorata: «Sul mio letto, nella notte» (II Poema), sospira la sposa, una Sulammita immaginaria ma ben desta al desiderio erotico. L’aggregarsi e lo sciogliersi delle coppie – nell’avvicendarsi di danzatori e di danzatrici – avviene per tensioni rattenute, brevi esplosioni, lente e scostanti approssimazioni. Lo spazio scenico è costituito da un tappeto circolare di autentica doratura artigianale che purtroppo dalla platea si scorge a malapena. La “voce” rauca o graffiante, mai soave, del contrabbasso sostituisce le corali esclamazioni meravigliate dei protagonisti o i gemiti degli amanti, sospesi e oscillanti fra l’abisso della conoscenza e lo spasimo del piacere.


Un momento dello spettacolo
© Fulvio Rubesa

L’esercizio del moto ritmico tesse dunque l’armonia dissonante del farsi e del disfarsi all’infinito, in un crescendo che s’avvolge a spirale senza esaurirsi. Si stabilisce così la dimensione spazio-temporale per l’intreccio delizioso e sofferto delle braccia ramificate, delle dita sfioranti. La postura seduta consente virtuosismi in elevazione; il rotolamento, lento o frenetico, scioglie i corpi in inseguimenti metafisici, piuttosto che generare una lotta fra i sessi o aspirare alla riunione della coppia primigenia. Il gesto di cogliere un frutto è richiesta di unione. Dare un bacio è implorare uno scambio. Stringere una mano o intrecciare le dita significa donare pregando. La tecnica come materia viva, non soltanto come strumento.  

Eppure il coreografo segue il testo (sembrerebbe nella traduzione-interpretazione di Guido Ceronetti, seppure non citata) per adempierne alcuni “dettami” tecnici. Ad esempio la «danza a due cori» (V Poema): un rito forse nuziale agito da due file affrontate di tre attori. Gli otto poemi sono ripresi in altrettanti movimenti sintetici di tutte le varianti d’un arabesco gestuale analogico, non imitativo del reale. Nota Sieni: «Qualcosa accade in una pianura d’oro, tavola dove si svolge l’azione… Nel silenzio tagliente, vacuum lucreziano… Si odora di origine… Una canzone a due voci che risuona in tutti i corpi… Otto momenti che indagano […] il vuoto sacrale che non nega niente e annuncia qualcosa con le sue membra» (dal Programma di sala).


Un momento dello spettacolo
© Virgilio Sieni

Nell’insieme la partitura dinamica contravviene, nel suo stile inventato, alle iperboli insistite del modello verbale, esaltandone gli elementi più umbratili, le più sommesse invocazioni, smussandone gli acuti in più laceranti intime ferite. Come se il pudore verso l’esuberanza lirica preferisse il chiaroscuro tonale e il rallentato al bagliore del lampo, alla corsa sfrenata. Anche i corpi nudi, resi androgini o asessuati dai calzoni grigi e uguali, si rendono intercambiabili nella vertigine delle combinazioni incessanti. Se un mutamento nell’estetica di Sieni è visibile (ad esempio rispetto al suo De Rerum Natura, 2009), la continuità pare assicurata dalla ricerca di un «corpo sospeso davanti al tempo», preposto a una «dilatazione» soggettivata della/nella durata dell’atto espressivo. Vale ancora una sorta di metonimia, per la quale gli attori-danzatori costituiscono nel loro insieme un corpo unico da cui sviluppare una vitalità potentemente elementare.

Sieni confida sull’effetto indotto nello spettatore – già in altri casi chiamato a collaborare alla performance come “attore non professionista” – da suggestioni tanto più astratte quanto più fuse nella corporeità dominata. Nella sensibilità di chi guarda si manifesta lo sforzo di parafrasare il movimento così arduo in sentimento e senso più comprensibili. Per il cronista è doveroso confessare il turbamento ammirato di fronte al rifiuto del linguaggio narrativo, sia pure poetico, per instaurare e confermare l’alta ambizione formale dell’opera. 



Cantico dei cantici
cast cast & credits
 


 

Un momento della coreografia di Virgilio Sieni vista al Teatro dell'Archivolto di Genova il 17 novembre scorso

© Filippo Manzini



 
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