È ospite in tournée al Teatro Modena di Genova Cantico dei cantici, coreografia di Virgilio Sieni ispirata allomonimo testo biblico. Lo spettatore prova
sconcerto al primo impatto con lazione scenica. Laddove ci si attenderebbe unambientazione
agreste, in un panorama di verdeggiante assolata campagna, si scorgono emergere
dalle tenebre ombre oscillanti generate da una luce variabile e incerta. Il
silenzio iniziale è lungo, perfino angoscioso.
Poi il contrabbasso fremente di Daniele
Roccato – pura “voce” allo stato nascente – suggerisce parole misteriose,
soffocate, proferite appena. Effetto ben diverso dal flauto e dallorgano “cantanti”
che accompagnavano la versione di Martha
Graham (Song, 1985). Tuttaltro, dunque, rispetto alle
metafore ardenti, agli slanci appassionati per piacevoli evoluzioni di corpi in
una calda stagione luminosa che caratterizzavano lo spettacolo di Graham. Qui
la drammaturgia delle immagini svaria dallimmersione nella stanza notturna nel
Cantico a quella dellattesa e del
dolce tormento dellinnamorata: «Sul mio letto, nella notte» (II Poema), sospira la sposa, una Sulammita
immaginaria ma ben desta al desiderio erotico. Laggregarsi e lo sciogliersi
delle coppie – nellavvicendarsi di danzatori e di danzatrici – avviene per
tensioni rattenute, brevi esplosioni, lente e scostanti approssimazioni. Lo
spazio scenico è costituito da un tappeto circolare di autentica doratura
artigianale che purtroppo dalla platea si scorge a malapena. La “voce” rauca o
graffiante, mai soave, del contrabbasso sostituisce le corali esclamazioni
meravigliate dei protagonisti o i gemiti degli amanti, sospesi e oscillanti fra
labisso della conoscenza e lo spasimo del piacere.
Un momento dello spettacolo © Fulvio Rubesa Lesercizio del moto ritmico
tesse dunque larmonia dissonante del farsi e del disfarsi allinfinito, in un
crescendo che savvolge a spirale senza esaurirsi. Si stabilisce così la
dimensione spazio-temporale per lintreccio delizioso e sofferto delle braccia
ramificate, delle dita sfioranti. La postura seduta consente virtuosismi in
elevazione; il rotolamento, lento o frenetico, scioglie i corpi in inseguimenti
metafisici, piuttosto che generare una lotta fra i sessi o aspirare alla riunione
della coppia primigenia. Il gesto di cogliere un frutto è richiesta di unione. Dare
un bacio è implorare uno scambio. Stringere una mano o intrecciare le dita
significa donare pregando. La tecnica come materia viva, non soltanto come
strumento. Eppure il coreografo segue il testo
(sembrerebbe nella traduzione-interpretazione di Guido Ceronetti, seppure non citata) per adempierne alcuni “dettami”
tecnici. Ad esempio la «danza a due cori» (V Poema): un rito forse nuziale agito
da due file affrontate di tre attori. Gli otto poemi sono ripresi in
altrettanti movimenti sintetici di tutte
le varianti dun arabesco gestuale analogico, non imitativo del reale. Nota
Sieni: «Qualcosa accade in una pianura doro, tavola dove si svolge lazione…
Nel silenzio tagliente, vacuum
lucreziano… Si odora di origine… Una canzone a due voci che risuona in tutti i
corpi… Otto momenti che indagano […] il vuoto sacrale che non nega niente e
annuncia qualcosa con le sue membra» (dal Programma
di sala). Un momento dello spettacolo © Virgilio Sieni Nellinsieme la partitura dinamica
contravviene, nel suo stile inventato, alle iperboli insistite del modello
verbale, esaltandone gli elementi più umbratili, le più sommesse invocazioni,
smussandone gli acuti in più laceranti intime ferite. Come se il pudore verso lesuberanza
lirica preferisse il chiaroscuro tonale e il rallentato al bagliore del lampo,
alla corsa sfrenata. Anche i corpi nudi, resi androgini o asessuati dai calzoni
grigi e uguali, si rendono intercambiabili nella vertigine delle combinazioni
incessanti. Se un mutamento nellestetica di Sieni è visibile (ad esempio rispetto
al suo De Rerum Natura, 2009), la continuità
pare assicurata dalla ricerca di un «corpo sospeso davanti al tempo», preposto a
una «dilatazione» soggettivata della/nella durata dellatto espressivo. Vale
ancora una sorta di metonimia, per la quale gli attori-danzatori costituiscono nel
loro insieme un corpo unico da cui sviluppare una vitalità potentemente
elementare. Sieni confida sulleffetto
indotto nello spettatore – già in altri casi chiamato a collaborare alla performance come “attore non
professionista” – da suggestioni tanto più astratte quanto più fuse nella
corporeità dominata. Nella sensibilità di chi guarda si manifesta lo sforzo di
parafrasare il movimento così arduo in sentimento e senso più comprensibili. Per
il cronista è doveroso confessare il turbamento ammirato di fronte al rifiuto del
linguaggio narrativo, sia pure poetico, per instaurare e confermare lalta ambizione
formale dellopera.
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