Sono esplosivi i corpi della Company Wayne McGregor, come esplosivo è
il genio del suo fondatore e mentore Wayne
McGregor. Un coreografo che stupisce sempre per il modo di trattare “la
cosa danza” e di sondare la capacità di un corpo coreutico di restituire il
pensiero della mente. Questi i principi alla base di Autobiography, il suo nuovo
lavoro nato dalla collaborazione con gli scienziati del Wellcome Trust Sanger
Institute per indagare il rapporto tra danza e genetica. Uno spettacolo che ha
debuttato lottobre scorso al Sadlers Wells di Londra e ora è ospite in alcuni
teatri italiani fra cui il Comunale di Ferrara. Il dancemaker inglese,
partendo dallo studio dellintera sequenza del suo genoma, lo ha “riprodotto” tramite
i dieci danzatori della compagnia in una sorta di autobiografia che prevede ventitre
sequenze corrispondenti alle ventitre coppie di cromosomi che costituiscono la “libreria”
dellinformazione ereditaria di ogni genoma umano. Ventitre “volumi” di una
vita che vengono “restituiti” nelle mise
en danse con un procedimento sistematico di calcolo – lalgoritmo –: si parte
dal codice genetico di McGregor ma poi è il computer a stabilire quale “volume”
della “libreria” mcgregoriana verrà sfogliato, da chi e in quale ordine.
Un momento dello spettacolo © Richard Davies
Una creazione che per sua stessa natura non si ripete mai: come il DNA,
combinando le quattro proteine base A-T-C-G, realizza diverse, sorprendenti combinazioni,
così Autobiography ogni volta reinventa
la coreografia fondata sui tre principi base del genoma: “replicazione”, “variazione”,
“mutazione”. Unoperazione squisitamente cerebrale che può ricordare la chance operations di Merce
Cunningham e John Cage; ma, mentre
lì era il Caso – sollecitato dal tiro dei dadi – a decidere lassemblaggio e la
successione delle sequenze della coreografia, in Autobiography labbinamento nasce dalla manipolazione dei dati del
genoma da parte dellintelligenza artificiale del PC. Lassetto coreografico è dunque sempre in divenire ma non
lo sono gli elementi fissi che sorreggono la messa in scena. In primis gli straordinari componenti della
Company e, a seguire, la musica di Jlin, che spazia dalle sonorità
elettroniche a quelle orientali, dalle percussioni a “respiri” barocchi; la
scenografia metallica di Ben Cullen
Williams, che presenta un reticolato appuntito da piccole piramidi; il cangiante
e chiaroscurale disegno luci di Lucy
Carter, che arriva a inondare platea e palchi di raggi laser; i setosi costumi
bianchi e neri di Aitor Throup, che
assecondano i corpi dei ballerini; e infine la drammaturgia di Uzma Hammed che rilega le “pagine” dei “volumi”
genomici.
Un momento dello spettacolo © Andrej Uspenski
Dunque, protagonista di questa applaudita indagine genetica è la danza
di McGregor. Una danza vera, definita “pura”, che per lepoca in cui nasce è
contemporanea ma per il genoma che la caratterizza è “mcgregoriana” in ogni sua
parte e riflette il modus creandi dellartista
britannico. Un fare danza in cui è possibile ravvisare la lezione di maestri
del postmoderno come Cunningham e
del postclassico come Forsythe; una lectio rivisitata e rivissuta dallinconfondibile
piglio “alla McGregor”, che travolge e stravolge i dettami orchestici a suo
piacimento, compreso il famigerato classico. In Autobiography la Company balla, anzi “straballa”, in un
intreccio rocambolesco e parossistico di assoli, duetti, terzetti, quartetti,
sestetti, ensembles che, come nel reticolato
genomico, si intersecano, si riproducono e si trasformano, generando differenti
moduli espressivi. Moduli in cui i corpi esplodono assecondati dalla
musica, accompagnati dalle proiezioni scenografiche, esaltatati dalle luci e
accarezzati dai costumi. La sensazione che si prova di fronte allo spettacolo, tutto sommato
breve con i suoi ottanta minuti senza intervallo, è quella di non avere requie a
causa dellincessante riprodursi delle sequenze, che mette a dura prova la
resistenza e il fiato dei ballerini e trascina lo spettatore in un vortice di
emozioni visive che solo la danza-danza riesce a regalare.
Un momento dello spettacolo © Richard Davies
Non passa inosservato il solo iniziale per limplosiva potenza con cui
il danzatore a torso nudo tiene la scena o il solo finale per la conturbante
fisicità con cui la ballerina, con tanto di fluente coda di cavallo bionda, chiude
questa autobiografia. Ma è la parte
centrale della coreografia che abbaglia con lesasperazione della “replicazione,
variazione, mutazione” di estremi decalés
e cambrés, di eccentrici off balance, di velocissimi brisés volés, di continui
rebounds. Una “danzatletica” di
grande respiro che evita lacrobatismo ginnico proprio per la qualità e lo
stile del dettato danzato e danzante tipico di McGregor e di altri suoi pezzi, fra
cui Entity, Erazor, Far e Atomos. Coreografo residente al Royal Ballet, artista ospite
di insigni corpi di ballo come il Balletto dellOpera di Parigi, il New York
City Ballet, il Bolshoi, il San Francisco Ballet e autore “certificato” da
premi e riconoscimenti – non ultimo l“Oliver Award” nel 2016 per il suo Woolf Works –, il coreografo britannico è
atteso nella primavera del 2018 a New York in AFTERITE, la sua prima creazione
per lAmerican Ballet Theatre, e a Londra con il Royal Ballet, in un programma
dedicato ai cento anni dalla nascita di Bernstein.
Una celebrazione che lo vedrà misurarsi, come già successo nel 2012, con altri due
nomi di punta della danza inglese, Christopher
Wheeldon e Liam Scarlett. Ma McGregor
non teme confronti e sarebbe bello poterlo vedere esplodere, se non nei “lontani”
States, almeno nella più vicina Londra.
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