Come
rappresentare Shakespeare oggi? È un problema condiviso dalla scena
contemporanea con risultati talvolta infelici. Come e perché riproporre uno dei testi shakespeariani meno
accattivanti per il pubblico odierno come Richard
II? Scritto presumibilmente intorno al 1595, il dramma storico porta in
scena una vicenda ambientata alla fine del XIV secolo. Una distanza considerevole,
non solo cronologica, rispetto alla sensibilità odierna.
Unimpresa
impervia quella affrontata da Peter
Stein per questa produzione del
Teatro Metastasio di Prato. Il regista tedesco, non nuovo alla drammaturgia shakespeariana,
ha scelto la traduzione di Alessandro
Serpieri perché più accessibile e fedele alloriginale. Lavoro lungo e
accurato abbinato a un laboratorio per giovani attori diretto dallo stesso Stein.
Un momento dello spettacolo © Paolo Porto
Richard II, si sa, è una
complessa riflessione circa il potere e le sue ripercussioni sulla natura
umana. Porta in scena la storia di un giovane
re salito al trono per discendenza divina che macchia la corona ingiustamente e
per questo è deposto. Lopera si interroga sulla legittimità da parte delluomo
di togliere il potere a un sovrano ingiusto. I temi sono attuali: leterno conflitto
tra interessi personali, fragilità umane e ideali politici raccontati
attraverso scontri generazionali. Guerra e violenza. Una violenza vissuta
verbalmente e mai manifestata in scena. È il tono della voce a dissiparne
lenergia, facendosi più intenso man mano che il testo emerge quale vero e
unico protagonista. Il registro recitativo è aulico e raramente ironico nelle
poche scene confidenziali tra il sovrano e i suoi fidi che vivono nellambiguità
(anche sessuale).
La
scenografia di Ferdinand Woegerbauer,
caratterizzata da forme geometriche astratte e dominata da tinte bianche e nere,
disegna le linee prospettiche di uno spazio scenico spoglio. Solo “pareti”, nientaltro.
In questa sorta di “studio” cinematografico i luoghi sono definiti drammaturgicamente
dal colore delle luci sullo sfondo, “didascalie” scarne di un immaginario
collettivo. Un momento dello spettacolo © Paolo Porto
In
contrasto con la semplicità delle scene, i personaggi indossano accurati costumi
depoca disegnati da Anna Maria
Heinreich, caratterizzati da oggetti e colori simbolo del potere: il trono
ligneo, la corona e lo scettro dorato. Dietro il trono ammiriamo in tutto il
suo splendore il cervo bianco, stemma di Riccardo II, che decora il retro del celebre
Dittico Wilton mostrando il sovrano inginocchiato
di fronte alla Vergine Maria. La sua elezione divina è così rafforzata, in
contrasto con lautoelezione politica del suo avversario, Henry Bolingbroke (Alessandro Averone). Assente il
personaggio della regina Isabella, a indossare le vesti di Riccardo II è Maddalena Crippa. Una soluzione non
originale, quella en travesti, che
però mette in risalto le qualità e le doti artistiche dellattrice, attenta a
mostrarci le due personalità del protagonista, quella pubblica e quella
privata, facendosi interprete biunivoca della regalità maschile e femminile.
Lo spettacolo ruota intorno
al dualismo tra qualcosa che per noi suona antico, lontano, e lumanità che ci
appartiene, che Stein propone come in una sorta di “teatro-museo” nel quale non
cè nulla di “realistico” o di “caratterizzante”. In questo vuoto
spazio-temporale i personaggi agiscono come figure di un quadro animato: mai disposti
casualmente seguono una simmetria ai limiti del caricaturale. Con i piedi ben
radicati in terra, muovono prevalentemente il busto e le braccia; la parola è
invece dinamica, ritmicamente cadenzata: un effetto di ritualità evidenziato
dai suoni lunghi e dagli accenti vocali degli attori.
Un momento dello spettacolo © Paolo Porto
«La
rabbia devessere trattenuta» dichiara Riccardo e così è. Sulle tavole del
palcoscenico non restano che attori e simboli, fantasmi senza luogo, senza
spazio, senza teatro. E, in fondo, cosa può dirci ancora oggi Shakespeare? Questa di Stein è una possibile risposta. Nonostante
la lunghezza e le difficoltà testuali, il ritmo dello spettacolo è lineare e scorrevole.
Uno spettacolo dautore. Alta la qualità della recitazione “non naturalistica”,
individuale e corale. Spicca Paolo Graziosi
(Duca di Lanchester) in una messinscena dove il regista rispetta ed esalta il testo e gli attori, senza forzature.
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