Se vi diranno che il film di Aronofsky è un film sul mistero della
creazione artistica, sullegoismo del Creatore (con la c minuscola),
sulla difficoltà di relazione tra esseri umani, sullimprevedibilità del
destino, su Caino e Abele, sulle sette ribollenti in ogni lato dellAmerica,
sulla transustanziazione (che probabilmente lautore, con la a minuscola,
non sa cosè ma si potrebbe delineare nellatto di cannibalismo nei confronti
del neonato), sul problema della sovrappopolazione, se vi diranno che è un abrégé personale della storia del cinema
non credeteci.
Mother è semplicemente uno smisurato pasticcio che nasce male (in un clima hitchcocchiano di isolamento), prosegue peggio (con linspiegato accumularsi di persone ambigue nel nido damore che lei sta restaurando per ridare forza creativa al marito in crisi di ispirazione) e finisce in modo grottesco tra demolizioni, riti satanici e spreco di candele. Se vi diranno che ci sono echi di vari horror, di parabole esistenziali cavate dal Malick peggiore, se vi diranno che cè un po di Buñuel e un po di Polański e un po di tutto quel che sè visto al cinema fino ad oggi non ci credete: è solo un solenne, presuntuoso, scombinato pasticcio. Tranquilli, non si troverà nessuno che vi dirà tutto questo affermando, al contrario, che si tratta di unopera dalla grandezza inattingibile. Il vero mistero è perché lo abbiano preso all'ultimo Festival di Venezia, se i selezionatori lo avevano visto. La spiegazione è che non si dice no ad Aronofsky, soprattutto se corredato dalla divina strapagata Jennifer Lawrence che riesce pure in questo delirio a essere brava e incantevole. Ma solo per magnetismo personale, del tutto scollato dal contesto.
Una scena del film «Nel complesso, si tratta di una ricetta che non sarò mai in grado di replicare, ma so che questo è un drink che va servito e gustato tutto dun fiato nel bicchiere giusto. Buttatelo giù! Salute!». Al di là della rassicurante promessa di irripetibilità sarebbe stato carino che il regista suggerisse anche un gastroprotettore.
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