Si è
chiuso con la rappresentazione delle Rane
di Aristofane (in scena dal 29
giugno al 9 luglio) il 53° ciclo di spettacoli classici al Teatro Greco di
Siracusa. La vicenda di Dioniso, il dio del teatro, che scende nellAde
accompagnato dal servo Santia, per riportare in vita Euripide, da poco morto, nella convinzione che la poesia possa
salvare Atene dalla rovina che incombe, è un abile intreccio di fantasia e
urgenza politica. Una sfida non da poco, portata a termine con successo, per il
regista Giorgio Barberio Corsetti
chiamato a confrontarsi con i due illustri precedenti realizzati nel corso di
un secolo dallIstituto Nazionale del Dramma Antico, dallinizio delle
rappresentazioni classiche nel 1914.
Nel
1976 fu memorabile linterpretazione di Tino
Buazzelli nei panni di Dioniso nello spettacolo diretto da Roberto Guicciardini. La traduzione era
di Benedetto Marzullo, un filologo
rigoroso, capace però di misurarsi con le esigenze di dicibilità teatrale e di
comprensibilità da parte del pubblico. Essenziale la scena ideata da Giorgio Panni: una pedana nera
circolare, sulla quale spiccavano i coloratissimi costumi pensati da Santuzza Calì. Le musiche di Benedetto Ghiglia giocavano un ruolo determinante
nel disegnare la fisionomia dei personaggi. Un momento dello spettacolo © Franca Centaro
Un
posto di spicco negli annali del teatro occupa anche la lettura che della
commedia diede Luca Ronconi nel 2002. Alto fu il livello
artistico, ma alto fu pure il livello di scontro tra il regista e i notabili
siracusani, irritati per lostensione in scena dei ritratti caricaturali di
alcuni esponenti politici del governo: Berlusconi,
Fini, Bossi. Dopo la prima, a seguito delle insultanti polemiche, Ronconi
ritirò i ritratti, ma aleggiò pesante nellaria quellinopportuno intervento di
censura che certo non fece il gioco di chi laveva messo in atto:
paradossalmente lo spirito critico di un autore che duemilacinquecento anni fa
poteva parlare liberamente davanti alla polis
veniva fortemente limitato.
La
nota prevalente nello spettacolo di Ronconi non era tanto quella comica quanto
linsistita denuncia di unepoca di crisi, del disfacimento di una società malata,
dove il degrado paesaggistico corrisponde al degrado morale, come volevano
significare le carcasse di vecchie macchine, biciclette, copertoni, che
delineavano una sorta di periferia industriale dei nostri giorni in dialettico
contrasto con la fantasiosità della trama. Con la scenografia di Margherita Palli si armonizzavano i
costumi malconci e usurati di Gianluca
Sbicca e Simone Valsecchi e le
musiche di Paolo Terni punteggiate
di tonalità dissonanti a sottolineare una diffusa atmosfera di decadenza civile
contemporanea. Di contro, Ronconi aveva adottato la traduzione di Raffaele Cantarella, fedele al dettato
originale e priva di allusioni attualizzanti, convinto che la perenne valenza
di Aristofane non avesse bisogno di nessun intervento testuale. Un momento dello spettacolo © Gianni Luigi Carnera
Analogo
presupposto sta alla base dellaccurato lavoro di Olimpia Imperio, chiamata a tradurre la commedia per lo spettacolo
di Barberio Corsetti. Allattenta ricerca di un linguaggio agile e moderno,
lontano da cadenze classicheggianti e obsolete, si sposa un rispetto scrupoloso
della parola aristofanesca e la scelta di non intervenire con allusioni dirette
al presente. Quindi, nomi, circostanze, eventi citati non subiscono variazioni:
in tal modo si lascia al pubblico la libera interpretazione di quanto avviene
sulla scena in riferimento a persone e a fatti di attualità. Merito della
traduttrice è laver rispettato e reso in maniera fedele i diversi livelli di
comunicazione e i registri linguistici di un testo complesso come le Rane, dove le battute scurrili si
intrecciano alle citazioni poetiche, e allinvettiva sanguigna si affianca la
riflessione etico-politica.
La
linea seguita da Barberio Corsetti nellallestimento è stata quella
dellessenzialità, a partire già dalla scenografia firmata da Massimo Troncanetti. Coperto il piano
dellorchestra con una piattaforma spoglia, il regista crea con pochi elementi
componibili ambientazioni diverse. Si materializzano così davanti agli occhi
degli spettatori la palude infernale abitata dalle Rane gracidanti, disegnata
da parallelepipedi bianchi, al di là dei quali si muove poi la barca, spinta a
mano da servi di scena, sulla quale Caronte traghetta il dio Dioniso nellAde;
infine, appare il palazzo di Plutone: due facciate di ferro arrugginito con
finestre sbilenche da cui si affacciano strani personaggi. Sono marionette realizzate
da Einat Landais – che si è ispirato
alle sculture di Gianni Dessì – e costruite da Carlo Gilè, mentre Marzia Gambardella ne ha coreografato i movimenti. Incarnano Plutone e a tratti fungono anche da
doppio surreale dei personaggi che agiscono sulla scena. Un espediente
metateatrale a cui si affianca leffetto di moltiplicazione prodotto dalle
riprese in primo piano, in diretta, dei volti degli attori che vengono
proiettati su schermo.
Un momento dello spettacolo © Gianni Luigi Carnera
Per la
parte dei protagonisti il regista ha scelto una coppia di attori sperimentata e
famosa: Salvo Ficarra, nei panni di Dioniso, e Valentino Picone, in quelli di Santia, perfetti nellincarnare i
meccanismi comici della commedia che mette in scena un dio prepotente e
vigliacco, incontenibile nel voler soddisfare i propri bisogni fisici di varia natura,
e un servo vittima del padrone, ma certo non da meno quanto a voracità,
appetiti sessuali e viltà. Calibrato gioco delle parti, tempi teatrali
perfetti, un apprezzabile equilibrio tra riso e riflessione hanno fatto
apprezzare al pubblico una performance che ha lasciato spazio alla comicità
senza sacrificare lo spessore semantico del testo. Perché, al di là degli
attacchi ai professionisti della politica, imbelli e corrotti, e alla denuncia
dellopportunismo e del malaffare diffuso, quel che conta nelle Rane è il richiamo al ruolo salvifico
della poesia e del teatro, e dunque della cultura, nella società.
Il
Dioniso pensato da Aristofane rinuncia in ultimo a riportare sulla terra
Euripide, e gli preferisce Eschilo,
constatato il maggior valore etico che hanno i versi di questultimo.
Giustamente famosa è la scena nella quale i due drammaturghi si confrontano in
un duello verbale a “colpi” di citazioni tratte dalle proprie tragedie, che vengono
letteralmente pesate e fanno pendere la bilancia in favore di Eschilo. Una
sorta di critica letteraria ante litteram,
grazie alla quale appare evidente come Aristofane, sebbene fosse sempre polemico nei confronti di Euripide, fatto oggetto di ripetuti e
sferzanti attacchi, sapesse tuttavia individuare pregi e difetti di entrambi
gli autori. Un momento dello spettacolo © Gianni Luigi Carnera
Elemento
di forza e di originalità dello spettacolo sono le musiche e il canto del
gruppo SeiOttavi (Germana Di Cara, Vincenzo Gannuscio, Alice Sparti, Kristian Andrew Thomas Cipolla, Massimo Sigillò Massara, Ernesto
Marciante), compositori ed esecutori capaci di mescolare stili e
ritmi diversi, dal jazz alla musica classica, dal pop al rock, dallo swing
alla lirica, in unesecuzione a cappella tecnicamente raffinata – una vera e
propria orchestra vocale – e teatralmente efficace. Vestiti di verde, con bombetta
e occhiali scuri, i SeiOttavi interpretano il Coro delle rane canterine, fastidiose
e petulanti, e, in successione, indossati costumi vagamente new age
(creazione di Francesco Esposito),
guidano il Coro degli Iniziati ai Misteri Eleusini, egregiamente interpretati
dagli allievi dellAccademia dArte del Dramma Antico dellINDA, sezione Giusto
Monaco, e capitanati dal valente corifeo Gabriele
Portoghese.
Compatta
e di buon livello la compagine attoriale con Roberto Salemi (Eracle), Dario
Iubatti (che ricopre tre ruoli: un morto, un servo e Plutone), Giovanni Prosperi (Caronte), Francesca Ciocchetti (ostessa), Valeria Almerighi (Platane), Gabriele Benedetti (Euripide), Roberto Rustioni (Eschilo), Francesco
Russo (Eaco).
Chiude
lo spettacolo un breve video con un estratto dellincontro-intervista avvenuto a
Venezia, nel 1967, tra un giovane Pier
Paolo Pasolini e il poeta americano Ezra
Pound, ormai anziano, rappresentanti di due mondi poetici per molti aspetti
distanti tra loro, ma entrambi necessari alla società come lo furono Eschilo ed
Euripide. Un incontro allinsegna della riconciliazione sintetizzata nelle
parole pronunciate da Pound: «Amici allora… Pax tibi… pax mundi».
|
|