In questo allestimento Giuseppe Tesi sfida il cinema con un
risultato di bella resa visiva e tecnica. Il tutto avviene attraverso la
giustapposizione e il dialogo tra le scene girate e le scene dal vivo in una
riuscita forma di rappresentazione. Lapparente oscenità dei desideri ad alta
voce di Jimmy (un eclettico e calzante Giulio
Maria Corso) accompagna e coinvolge lo spettatore in uneleganza decadente. Jimmy, durante la sua poliedrica
presenza, seduce in senso baudrillardiano. «Per la seduzione, infatti, il
desiderio non è un fine, ma unipotetica posta in gioco. Anzi, più
precisamente, la posta in gioco è provocare e deludere il desiderio, la cui
unica verità è brillare e restare deluso» (Jean Baudrillard, Il destino dei
sessi e il declino dellillusione sessuale, in Lamore: dallOlimpo allalcova, Milano, Mazzotta, 1992, p. 86). Lincipit della pièce rinvia alla
viscontiana Caduta degli dei. Corso-Jimmy, come già Helmut Berger-Martin, si incarica di sputarci in faccia quanto sia
ipocrita la confortevole e stucchevole vita borghese. Lapparizione del
protagonista in sottoveste, però, non ha niente di perverso, ma, semmai,
squarcia lo spazio scenico come vettore di piacere, la cui volontà non può
produrre alcun fatto. Jimmy infatti – scopriremo – è una vittima dei sogni
altrui: il suo sogno personale resterà una vana illusione. Lesasperazione
onirica lo mette a nudo nel suo dolore per il rimpianto di non essere riuscito
a trattenere listante, per il desiderio frustrato che diviene nostro. Un momento dello spettacolo © Sandro Nerucci
Lentamente la focalizzazione si sposta,
dalleccentrica solitudine di una creatura onirica allinsofferenza
verso la norma borghese. Coloro che fagocitano il sogno interruptus di Jimmy sono i famelici carnefici intenti a soddisfare
i propri appetiti. Così, se le divise viscontiane appartenevano a un milieu storico-sociale preciso, qui la
divisa diviene il simbolo della coercizione, dellimposizione dellistituzione
sul principio del piacere. Lo spettatore vive questa realtà destabilizzante
attraverso la metafora estetico-morale dellabbandono della mise da ufficiale, della simulazione di una masturbazione sulla coda di
un peluche a forma di pesce-razza. Eventi e atti dissolvono il senso e lordine
delluniverso. Nel testo dellattrice, drammaturga e regista canadese Marie Brassard (vedi qui), Jimmy è un parrucchiere omosessuale di trentatré anni nel cui
salone entra il soldato Mitchell. Se ne innamora e riesce perfino a baciarlo.
Ma entrambi sono solo i protagonisti di un sogno che ha fatto suo padre, un
generale americano prossimo a partire per la Corea. Subito dopo Jimmy entra nel
sogno di unattrice che lo vuole forte, eroico e maschio. Ecco allora che si
chiude nella toilette di un aereo dove la donna fantastica dincontrarlo. In ciascuna sequenza narrativa entrano nuovi personaggi
evocati, mai visibili sul palcoscenico. Sarà compito delle riprese video mostrare
altre ambientazioni, altri personaggi e altre memorie. Questa complessa
architettura, in cui si sviluppano riflessioni
sullamore, sulla vita e la morte, sulla scoperta di sé al di là dei generi e
delle età (Jimmy è al tempo stesso uomo, donna, bambino) offre al regista la possibilità di
vivisezionare linconscio attraverso la finzione scenica del sogno. La
suggestione delle visioni, unite allinterpretazione di brani musicali dal vivo
eseguiti dallespressivo sassofono di Mario
Totaro con la voce di Corso, sembrano dirottare lattenzione verso una
componente glamour, ma è un artificio
per amplificare il dolore e lestraneità di Jimmy e di ciascuno di noi al
proprio destino. In tal modo la teatralità della mistica gay (evidenti le
citazioni del fassbinderiano Querelle de Brest, 1982) serve a mettere in luce la falsa coscienza borghese: quella sì, vera recita teatrale.
Lesperienza di Jimmy suggerisce che la delusione per ciò che potrebbe essere
ma non è sviluppa quel malessere che è la condizione dellesistenza
contemporanea, ma anche lunica leva
capace di calarci nella realtà. Katia Ricciarelli nel ruolo della Madre © Sandro Nerucci
La ricerca estetica, vera cifra stilistica di questa messa in scena, non riduce lo spessore dei contenuti e delle tematiche. La ridondanza dei monologhi di Jimmy vorrebbe rimediare allimpossibile ripetizione di quanto ci ha reso felici. Egli, allora, diventa allegoria dellindividuo e dello spettatore stesso: «Davanti allobiettivo io sono contemporaneamente: quello che io credo di essere, quello che vorrei si creda io sia, quello che il fotografo crede io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte» (Roland Barthes, La camera chiara: nota sulla fotografia, Torino, Einaudi, 1980, p. 15). Jimmy, nel fare lo spelling del suo nome, metterà assieme “merda” e “mamma”, quasi una cinica parodia del sistema-famiglia e di quel nucleo familiare devastante portatore di infelicità. Lesplorazione dei volti dei sognatori e dei sognati nelle loro espressioni è una lugubre premonizione del desiderio inappagato. Da segnalare linterpretazione di Katia Ricciarelli particolarmente a suo agio nel ruolo della Madre.
La resa tecnica dei sogni è lodevole. Gabriele Masi e Leonardo Stefenelli danno prova di grande perizia rendendo visibile
e credibile linvisibile. Leffetto è stupefacente. La cortina che copre la
scena essenziale, disegnata da Alessandro
Chiti, rendendo eterea limmagine di Jimmy, viene “stuprata” dalla
trasmissione dei suoi impulsi cerebrali e dalla sua rêverie. In questo modo lo schermo ci mette in contatto con il
nostro mondo malato e contaminato, i cui perimetri sono diktat da rispettare
mentre le identità devono rimanere fisse per impedire che la persona possa
realizzarsi. La delusione incombente non può essere alleviata dal fatto che
Jimmy è una creatura onirica. La vita – anche quella sognata – imbocca la via
della ribellione disperata contro limpossibilità di essere felici nella
propria identità: anagrafica, di genere, di classe. Tutto è tenuto sotto
controllo da quanto sta al di sopra dellindividuo.
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