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La gazza ladra alla Scala

di Vincenzo Borghetti
  La gazza ladra
Data di pubblicazione su web 16/05/2017  

Senza bisogno di aspettare l’inaugurazione del 7 dicembre, l’opera è tornata per un giorno ad essere un po’ al centro dell’attualità. La prima della Gazza ladra alla Scala dello scorso 12 aprile ha interessato le cronache, musicali e (soprattutto) non. Per farlo è però dovuto accadere qualcosa, e il qualcosa sono state le sonore contestazioni nel corso e alla fine dello spettacolo. Eh sì, deve scorrere del sangue perché ci si accorga che tra le varie notizie che fanno notizia c’è anche la cultura, opera inclusa. Basta anche solo sangue metaforico, per fortuna, ma pur sempre sangue. Insomma, alla prima ci sono stati dei fischi e battibecchi tra il pubblico in sala. E però si è parlato solo di quello.

Eppure di motivi per occuparsi di questa Gazza ladra ce n’erano a sufficienza. L’opera è una di quelle che hanno fatto la storia della Scala: scritta da Rossini proprio per questo teatro, dove debuttò il 31 maggio del 1817, vi ebbe una felicissima accoglienza iniziando da lì a girare furiosamente nei teatri d’Italia e del mondo per i decenni successivi. Per avere un’idea del suo successo si guardino i numeri delle sole rappresentazioni milanesi: nel 1817 la Gazza resse per ventisette serate, che alla ripresa del 1820 divennero addirittura quarantuno,  trentadue in quella del 1823 e così via. Poi, a un certo punto, più nulla. Come le altre opere semiserie rossiniane (Matilde di Shabran o, più ancora, Torvaldo e Dorliska), intorno a metà Ottocento la Gazza iniziò a sparire dalla circolazione (con l’eccezione della sinfonia), per riapparire soltanto nel Novecento inoltrato con la Rossini Renaissance. Fu proprio la Gazza ladra a inaugurare nel 1980 la prima edizione del Rossini Opera Festival di Pesaro, ma, da lì in avanti, gli allestimenti sono stati pochi, uno ogni tanto. Persino alla Scala, che l’aveva commissionata, la precedente messinscena della Gazza risale infatti al 1841, centosettantasei anni fa.


Un momento dello spettacolo
Un momento dello spettacolo
                     © Brescia e Amisano / Teatro alla Scala

Il teatro approfitta adesso del duecentesimo anniversario dalla creazione per riportare questo capolavoro nella casa che lo vide nascere, dimostrando così l’interesse concreto della nuova direzione scaligera nei confronti delle opere cosiddette “belcantistiche”, divenute negli ultimi tempi assai rare proprio in una di quelle istituzioni che in passato avevano dato il via alla loro rinascita moderna (si veda per esempio la recente Anna Bolena, e l’annunciato ritorno del Pirata per la stagione 2018).

Per l’occasione la Scala ha affidato lo spettacolo a un nome di richiamo: Gabriele Salvatores (regia). Non quindi un grande esponente del mondo della lirica, ma di quello del cinema, in modo da creare ancor più attesa e curiosità riguardo all’operazione. Con i dovuti distinguo (come nel caso di Luchino Visconti o, più di recente, di Terry Gilliam o Peter Greeneway), però, con i registi cinematografici gli esiti sono spesso deludenti, e, purtroppo, questa Gazza ladra non fa eccezione.

Salvatores inizia con una mossa “audace”, e che è ormai la prassi dei registi che vogliono essere “moderni”: l’opera “comincia” già con la sinfonia, che si suona a sipario aperto. Sulla scena compare un teatrino di marionette (della compagnia Carlo Colla & Figli), su cui si rappresenta l’antefatto, l’episodio di insubordinazione e il conseguente arresto di Fernando Villabella, padre della protagonista Ninetta. Il tutto dura pochissimi minuti, poi il teatrino di marionette scompare ed entra l’acrobata (Francesca Alberti) che impersona la Gazza. La sinfonia va avanti così, con lei che fa evoluzioni sul palco. Alberti è bravissima, e si produce in numeri impressionanti. Ma i tempi dell’opera non sono quelli del circo, e la sinfonia della Gazza ladra è una delle più lunghe scritte da Rossini. Le evoluzioni, per quanto funamboliche, iniziano presto a ripetersi, creando un effetto di saturazione, e senza un filo narrativo (che, visto l’inizio con le marionette e l’antefatto, ci si aspettava) i colpi di scena sparano a vuoto e alla fine arriva la noia. Che rimane poi per tutta l’opera, con una regia caratterizzata da un realismo povero di vitalità e di sorprese.


Un momento dello spettacolo
Un momento dello spettacolo
                     © Brescia e Amisano / Teatro alla Scala

Per fortuna che la compagnia di canto era ottima, con alcune punte di eccellenza. Meno male, perché altrimenti l’opera con la sua lunghezza sarebbe stata insostenibile. Inizio dalla protagonista, Rosa Feola (Ninetta): ecco un’artista, avrebbe detto Floria Tosca. La voce non è grande ma è bella; la tessitura di Ninetta non è quella ideale per lei (Teresa Belloc, la prima interprete, potrebbe essere infatti definita un contralto), eppure la cantante non fatica a proiettarla anche nella sala ampia della Scala, superando senza problemi l’orchestra (che nella Gazza non è certo piccola). Con la voce poi Feola recita: lo fa con i fraseggi, con i colori, supportata anche da una spigliata presenza scenica. Perfetto nel ruolo del Podestà Gottardo Michele Pertusi (un altro artista!): la voce negli anni non ha perso smalto o volume, e l’interprete ha affinato ancora di più, se è possibile, la sua musicalità e padronanza del palcoscenico. Perfetto ancora come Fernando Villabella Alex Esposito (un altro ancora!), nel ruolo scritto a posta per il grande basso Filippo Galli, le cui difficoltà Esposito risolve in modo magistrale. Un gran lusso poi avere Teresa Iervolino (Lucia) e Paolo Bordogna (Fabrizio) per la coppia dei Vingradito. Iervolino in particolare ha avuto qui l’opportunità di mettere in luce le sue considerevoli doti vocali e musicali, visto che si è scelto di eseguire la propria aria nel secondo atto (un classico “sorbetto”, nel lessico dell’epoca). Molto bene Edgardo Rocha a suo agio nella difficile parte tenorile di Giannetto. Corretta Serena Malfi (Pippo). Molto bene infine i comprimari Matteo Macchioni (Isacco), Matteo Mezzaro (Antonio), Claudio Levantino (Giorgio/Il Pretore), Giovanni Romeo (Ernesto).

Un momento dello spettacolo
Un momento dello spettacolo
                     © Brescia e Amisano / Teatro alla Scala

La direzione di Riccardo Chailly è stata forse il principale bersaglio delle contestazioni alla prima. Pare si sia trattato di contestazioni organizzate da partiti milanesi ostili al maestro. Conoscendo un po’ le dinamiche scaligere degli ultimi anni, non stento a credere che ci sia un fondo di verità nell’ipotesi del complotto. Nella mia esperienza, tuttavia, devo ammettere che stavolta non ho assistito ad una delle prove migliori del direttore. I tempi erano sempre ben calibrati, ma il suono dell’orchestra era spesso (almeno dalla platea), e il fraseggio poco scattante, soprattutto nel primo atto. Di sicuro niente di imperdonabile (da cui la mia convinzione “complottista” per i fischi della prima), certo, però, una direzione senza grandi sottigliezze e slancio.

Ottimo successo la replica del 2 maggio: il pubblico ha premiato calorosamente gli interpreti principali (in particolare Pertusi, Feola, Esposito e Iervolino), e soprattutto Chailly, risarcendolo così dopo le ingenerose contestazioni della prima.



La gazza ladra
Melodramma in due atti


cast cast & credits
 
trama trama

 Un momento dello spettacolo visto al Teatro Petruzzelli di Bari il 31 gennaio 2017
Un momento dello spettacolo visto al Teatro alla Scala di Milano
il 2 maggio 2017
© Brescia e Amisano / Teatro alla Scala




 
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