Nel dramma La Danza macabra (altrimenti tradotto Danza di morte) August Strindberg rappresentava nel 1909 la
malignità e il rancore, elementi dun matrimonio sin
dallinizio fallito e disperato. I protagonisti, in un equilibrio regolato da
abitudini monotone, nevrotiche e perverse, rifiutavano i rapporti umani
per vivere chiusi nella loro fortezza sperduta su unisola svedese. Nelladattamento di Friedrich Dürrenmatt,
intitolato Play Strindberg e
rappresentato a Basilea nel 1969, il nucleo diabolico della famiglia borghese
veniva analizzato come un combattimento sul ring fra i protagonisti. Laddove
landamento restava tragicamente sospeso, qui e ora ammette
deviazioni al farsesco e al grottesco, resi nei registri del sarcasmo e del
paradosso, a vantaggio duna comicità grossolana, squallida e raggelante.
Un momento dello spettacolo © Simone Di Luca Edgar, capitano dartiglieria, ha la
presunzione di chi comanda per grado e funzione, ma suscita antipatia e
disprezzo. La moglie Alice, ex attrice che per lui ha rinunciato allarte, gli
rinfaccia i limiti morali e intellettuali e, nellisolamento della loro dimora,
è insofferente al dovere di curarlo e daccudirlo. Lambiente scenico è un soggiorno-salotto,
arredato dal gusto sobrio di Antonio Fiorentino (con segni di decadenza
e miseria) e circondato da un quadrato di corde. Sarà lo spazio per azioni e
reazioni nate da sentimenti espressi in altrettanti impulsi elementari duna
lotta mossa dallistinto. Sono infatti le mosse e i colpi a decidere lesito
dello scontro, nel quale ogni contendente adotta il proprio stile. Il Capitano sfoggia il culto militare
dellordine e il complesso di superiorità, già smussato dallimpotenza
presuntuosa, sia per una promozione inarrivabile, sia per la salute
compromessa. Franco Castellano lo recita realisticamente, fidando
nellevidenza naturale delle sue contraddizioni. In divisa, con stivali e
sciabola, ostenta unautorità ridicola per uninfermità che giunge fino al
collasso. La voce, alterata e alternante, millanta meriti, lamenta soprusi,
sentenzia castighi e rivalse. Anche lo sguardo è strumento espressivo, ora
vacuo ora acuminato dodio, contro la moglie nemica, «la porca» che gli
infligge anche il tradimento spudorato con il cugino Kurt. Edgar cerca persino una
nuova complicità con la compagna, che però lo rifugge. Neanche gli riesce
sincera laccoglienza di Kurt, lospite reso da Maurizio Donadoni: un losco e sfuggente avventuriero,
emigrante ritornato da unAmerica vagheggiata soprattutto dai reclusi
volontari.
Un momento dello spettacolo © Simone Di Luca Maria
Paiato interpreta unAlice
di potente e sostenuta personalità e ne fa il carattere dominante del dramma. Offre
aspetti di spaventoso, inumano cinismo, nellaugurio di morte ripetutamente
invocato a danno del marito. Eppure agucchia delicati ricami, o al pianoforte
canta e suona la Canzone di Solveig, dalla partitura di Grieg per Peer Gynt, poetico eroe di Ibsen,
ora demitizzato. Nellabito elegante di velluto rosso, quasi vestigia dellartista,
la donna mantiene una forza di seduzione nativa,
anche quando strapazza e annienta Edgar, debole e meschino. O quando irretisce
il cugino, riattizzando la memoria di un sentimento fra loro ormai scaduto. Ogni ripresa, scandita dal gong, è annunciata
da un titolo (Concertino domestico, Cena
solitaria) che causa un ironico contrasto con la violenza diffusa. Con
puntuali momenti di sosta nella guerra al massacro, la regia di Franco Però dosa gli effetti di
unoscillazione allarmante, come dincubo, fra
reale e immaginario.
Un momento dello spettacolo © Simone Di Luca La musica di Antonio Di Pofi è di classica serenità romantica, per acuire il
contrasto tra lincalzante drammaticità e lo sviluppo di un gioco (si gioca
anche a carte) che evolve in danza a ritmo di
minuetto. Lo scambio di colpi si concretizza nella cattiveria delle battute
rapide e abbreviate, in sequenze di diversa durata, in un rituale dal quale i
personaggi sembrano lasciarsi coinvolgere con piacere. Lo scopo del regista, rappresentare «il riso
e il pugno nello stomaco, il sorriso e lamarezza» (così nelle Note di regia), è validato dalla scelta
duna recitazione contenuta, spesso sommessa, dai sibili e rantoli del Capitano
alle confessioni laconiche e taglienti di Alice e alle ambigue allusioni
ricattatorie e sfrontate di Kurt. Se la metafora del combattimento è resa
anche visivamente dallazione fra le corde tese, la furia più vera esplode
nella dimensione verbale e mimica. Allora le battute provocano comicità, sia
per landamento farsesco impresso alle crisi del Capitano, sia per il trasporto
improvviso dei cugini-amanti, melodrammaticamente sottolineato al momento
delladdio. Infine, nel crescendo parossistico dellagonia, il Capitano fonde
la sua voce con quella di lei che intona piano, per lultima
volta, il canto di Solveig.
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