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Match coniugale in undici riprese

di Gianni Poli
  Play Strindberg
Data di pubblicazione su web 02/05/2017  

Nel dramma La Danza macabra (altrimenti tradotto Danza di morteAugust Strindberg rappresentava nel 1909 la malignità e il rancore, elementi d’un matrimonio sin dall’inizio fallito e disperato. I protagonisti, in un equilibrio regolato da abitudini monotone, nevrotiche e perverse, rifiutavano i rapporti umani per vivere chiusi nella loro fortezza sperduta su un’isola svedese.

Nell’adattamento di Friedrich Dürrenmatt, intitolato Play Strindberg e rappresentato a Basilea nel 1969, il nucleo diabolico della famiglia borghese veniva analizzato come un combattimento sul ring fra i protagonisti. Laddove l’andamento restava tragicamente sospeso, qui e ora ammette deviazioni al farsesco e al grottesco, resi nei registri del sarcasmo e del paradosso, a vantaggio d’una comicità grossolana, squallida e raggelante.

Un momento dello spettacolo © Simone Di Luca
Un momento dello spettacolo 
© Simone Di Luca

Edgar, capitano d’artiglieria, ha la presunzione di chi comanda per grado e funzione, ma suscita antipatia e disprezzo. La moglie Alice, ex attrice che per lui ha rinunciato all’arte, gli rinfaccia i limiti morali e intellettuali e, nell’isolamento della loro dimora, è insofferente al dovere di curarlo e d’accudirlo.

L’ambiente scenico è un soggiorno-salotto, arredato dal gusto sobrio di Antonio Fiorentino (con segni di decadenza e miseria) e circondato da un quadrato di corde. Sarà lo spazio per azioni e reazioni nate da sentimenti espressi in altrettanti impulsi elementari d’una lotta mossa dall’istinto. Sono infatti le mosse e i colpi a decidere l’esito dello scontro, nel quale ogni contendente adotta il proprio stile.

Il Capitano sfoggia il culto militare dell’ordine e il complesso di superiorità, già smussato dall’impotenza presuntuosa, sia per una promozione inarrivabile, sia per la salute compromessa. Franco Castellano lo recita realisticamente, fidando nell’evidenza naturale delle sue contraddizioni. In divisa, con stivali e sciabola, ostenta un’autorità ridicola per un’infermità che giunge fino al collasso. La voce, alterata e alternante, millanta meriti, lamenta soprusi, sentenzia castighi e rivalse. Anche lo sguardo è strumento espressivo, ora vacuo ora acuminato d’odio, contro la moglie nemica, «la porca» che gli infligge anche il tradimento spudorato con il cugino Kurt. Edgar cerca persino una nuova complicità con la compagna, che però lo rifugge. Neanche gli riesce sincera l’accoglienza di Kurt, l’ospite reso da Maurizio Donadoni: un losco e sfuggente avventuriero, emigrante ritornato da un’America vagheggiata soprattutto dai reclusi volontari.

Un momento dello spettacolo ©
Un momento dello spettacolo 
© Simone Di Luca

Maria Paiato interpreta un’Alice di potente e sostenuta personalità e ne fa il carattere dominante del dramma. Offre aspetti di spaventoso, inumano cinismo, nell’augurio di morte ripetutamente invocato a danno del marito. Eppure agucchia delicati ricami, o al pianoforte canta e suona la Canzone di Solveig, dalla partitura di Grieg per Peer Gynt, poetico eroe di Ibsen, ora demitizzato. Nell’abito elegante di velluto rosso, quasi vestigia dell’artista, la donna mantiene una forza di seduzione nativa, anche quando strapazza e annienta Edgar, debole e meschino. O quando irretisce il cugino, riattizzando la memoria di un sentimento fra loro ormai scaduto.

Ogni ripresa, scandita dal gong, è annunciata da un titolo (Concertino domestico, Cena solitaria) che causa un ironico contrasto con la violenza diffusa. Con puntuali momenti di sosta nella guerra al massacro, la regia di Franco Però dosa gli effetti di un’oscillazione allarmante, come d’incubo, fra reale e immaginario.

Un momento dello spettacolo ©
Un momento dello spettacolo 
© Simone Di Luca

La musica di Antonio Di Pofi è di classica serenità romantica, per acuire il contrasto tra l’incalzante drammaticità e lo sviluppo di un gioco (si gioca anche a carte) che evolve in danza a ritmo di minuetto. Lo scambio di colpi si concretizza nella cattiveria delle battute rapide e abbreviate, in sequenze di diversa durata, in un rituale dal quale i personaggi sembrano lasciarsi coinvolgere con piacere.

Lo scopo del regista, rappresentare «il riso e il pugno nello stomaco, il sorriso e l’amarezza» (così nelle Note di regia), è validato dalla scelta d’una recitazione contenuta, spesso sommessa, dai sibili e rantoli del Capitano alle confessioni laconiche e taglienti di Alice e alle ambigue allusioni ricattatorie e sfrontate di Kurt.

Se la metafora del combattimento è resa anche visivamente dall’azione fra le corde tese, la furia più vera esplode nella dimensione verbale e mimica. Allora le battute provocano comicità, sia per l’andamento farsesco impresso alle crisi del Capitano, sia per il trasporto improvviso dei cugini-amanti, melodrammaticamente sottolineato al momento dell’addio. Infine, nel crescendo parossistico dell’agonia, il Capitano fonde la sua voce con quella di lei che intona piano, per l’ultima volta, il canto di Solveig.



Play Strindberg
cast cast & credits
 


Il regista Franco Però
Il regista 
Franco Però






L'attrice Maria Paiato
L'attrice 
Maria Paiato


 
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