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Le ragioni del figlio

di Giovanni Pirari
  Attends, Attends, Attends… Pour mon père
Data di pubblicazione su web 21/03/2017  

La via della conoscenza di sé, si sa, richiede qualche sacrificio. Quando un figlio afferma la propria individualità, rivendicando il diritto a seguire la sua vocazione, questo porta non di rado a conflitti col padre e, presto o tardi, a una resa dei conti. 

Al Teatro dell’Arte della Triennale di Milano (3-5 marzo 2017) Jan Fabre e Cédric Charron – carismatico danzatore della compagnia Troubleyn fondata ad Anversa dal regista belga – hanno portato in scena tale resa dei conti, con una produzione forte e originale.


Un momento dello spettacolo
© Wonge Bergmann

Nel breve spazio di un’ora il performer, solo in scena, compone in un monologo di parola e danza la rivendicazione della sua scelta esistenziale: quella di aver preferito l’“eleganza del superfluo” alle ambizioni paterne, seguendo la propria vocazione artistica di danzatore e uomo di teatro.

Quando la sala è ancora al buio, una musica elettronica crescente evoca un’atmosfera sovrannaturale. Volute di fumo avanzano sulla scena, disegnando l’oscurità, fino a diffondersi in platea. Dal fondo si comincia a distinguere una figura, dapprima appena una sagoma, poi un fascio di luce la rivela: completamente vestita di rosso, è una creatura mefistofelica con in mano un lungo bastone. La grande efficacia mimica di Charron fa subito comprendere che si tratta del remo di una sorta di traghettatore. Fabre gioca infatti col nome del danzatore, identico nella pronuncia a “Charon”, nome francese di Caronte (Charon), lo psicopompo dagli occhi di bragia.


Un momento dello spettacolo
© Wonge Bergmann

L’idea è semplice e potente: il figlio attende il padre sulla soglia del regno dei morti – da qui il titolo Attends, attends, attends… (pour mon père) – offrendogli di accompagnarlo nell’Aldilà, dopo avergli fatto la propria confessione.

In sei tempi, scanditi dalle monete che il figlio/Caronte posa idealmente sul corpo del padre per prepararlo al viaggio, com’era d’uso nella tradizione greca, Charron dà sfogo al suo “canto del desiderio”, nel quale rivela i sogni e le passioni che lo hanno portato a diventare un “guerriero della bellezza” come Fabre ama chiamare i propri danzatori. La parola non è argomentativa, ma espressiva. “Canto del desiderio” si rivela essere non solo l’impronta data da Charron al proprio percorso di vita, ma cifra dello spettacolo stesso che pare costruito intorno alle pulsioni individuali del performer. Pulsioni non solo liriche o erotiche, ma anche animalesche, barbariche.


Un momento dello spettacolo
© Wonge Bergmann

Se del danzatore si ammira la capacità mimica, quasi pittorica, che con pochi accenni sa disegnare un’intera situazione, ci si sente spesso esclusi da un’azione che sembra cercare solo lo sfogo di un impulso immediato, o la proiezione di una visione interiore. Come quando Charron attraversa la scena ringhiando su quattro zampe come un cane, oppure si autodilania le carni chiazzandole del rosso di cui ha tinta la bocca cannibalesca.

La spettacolo è forte, ben misurato nei tempi, inquadrato magistralmente dalla regia. Ma alcune scelte coreografiche appaiono prive di giustificazione, interrompendo la forza del monologo e l’attenzione dello spettatore che allora è pago di seguire con lo sguardo, accompagnato dalle intense musiche di Tom Tiest, le volute del fumo.



Attends, Attends, Attends… Pour mon père
cast cast & credits
 



Cédric Charron nello spettacolo visto al Teatro dell'Arte di Milano il 4 marzo 2017
© Wonge Bergmann
 
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