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Spietata malinconia sul palcoscenico della vita

di Gianni Poli
  Il gabbiano
Data di pubblicazione su web 08/03/2017  


Con gli ultimi colpi di martello al teatrino, allestito nella tenuta di Sorin, s’annuncia la recita della commedia di Konstantin Treplev, dedicata all’amata Nina. Vi assiste la famiglia riunita, la madre del poeta, Irina Arkadina, attrice, suo fratello Petr Sorin e qualche ospite.

 

I luoghi scenici comprendono, oltre al palco, il lago sullo sfondo (dipinto con effetto rétro) e una duna davanti alla casa padronale. L’episodio metateatrale richiama al senso e al valore dell’arte, che Čechov estende a riflessione globale sulla vita della sua epoca, in rapporto ai suoi simili umani.


Il giudizio intempestivo della madre sull’opera del figlio provoca l’interruzione dello spettacolo e d’allora dilagano i turbamenti e le angosce più o meno sopiti dei protagonisti.


Il gabbiano
Una scena: al centro Francesco Sferrazza Papa
© Giuseppe Maritati


Alice Arcuri dà subito alla giovane Nina l’esitante e commovente immaturità della passione espressiva nascente, velleitaria e sincera. Sarà Trigorin, un Tommaso Ragno figura d’un affascinante signore anziano dai capelli lunghi imbianchiti, pronto a cogliere la freschezza disponibile della giovane, così da indurla alla fuga verso un’ignota, avventurosa carriera.  

 

Elisabetta Pozzi introduce la sua Irina con toni gai e leggeri, incosciente dell’effetto sul figlio del giudizio avventato. Anche in lei affiorano debolezze e paure. Con intelligenza contiene l’enfasi emotiva e l’esuberanza da mattatrice, ridona coerenza alle contraddizioni del personaggio, le armonizza rendendole naturali. Le relazioni complesse toccano, oltre al figlio, il fratello malato (che sfrutta anche come responsabile della tenuta) e il compagno, scrittore affermato, sostegno nel temuto declino. Quando sente che è attratto dalla nuova bellezza di Nina, non sopporta l’abbandono e si umilia e lo implora.

 

S’intrecciano altri rapporti di coppia, come quello centrale fra Konstantin e Nina, o quelli fra Maša e Semen, il maestro che la ama e che finirà per sposare per ripicca e infine fra Polina, moglie dell’amministratore Šamraev e il dottor Dorn, suo amante segreto. 

«La feroce denuncia del nostro nulla – suggerisce il regista Sciaccaluga nel programma di sala – coniugata in una continua altalena di ridicolo e patetico, diventa uno stringente invito a compatire, ad amare questi esseri inutili che siamo. Il palcoscenico di Čechov è la forma più gentile, condivisa, ironica di spietatezza. Il suo “Teatro della crudeltà” è il più “umano” che io conosca».  


Eva Cambiale, Giovanni Franzoni
© Giuseppe Maritati

Questo lecito pre-giudizio influenza le immagini mentali e sceniche con le quali il regista modella la sua rappresentazione. Anche perché, affascinato dalle potenzialità di un sottotesto per lui inesauribile, lo alimenta in ogni interprete, definendolo nei dettagli. Ha adottato la prima versione dell’opera (1896, un insuccesso), ora tradotta da Danilo Macrì e pubblicata nel programma con scaltra intuizione ed eccellente esito linguistico. Il testo include infatti, fra piccole varianti, quella più importante della presenza di Sorin durante l’incontro di Treplev e Nina nel quarto atto.

 

Questi i tratti più immediati: l’eleganza capricciosa di Irina, la grazia spontanea di Nina e la suscettibilità ferita di Maša (una bravissima Eva Cambiale, ripiegata in sé fino al masochismo), la malattia di Sorin, uomo deluso «che voleva e non ha avuto», un Federico Vanni che appoggia sul corpo pesante e sul bastone la sua stanchezza. Tutti s’interrogano e si spiegano in variazioni pertinenti, ma ridondanti, sull’essenza della loro natura. Causano qualche disattenzione, forse stanchezza, nello spettatore che s’appassiona comunque a quel mondo lontano, pervaso da un’angoscia resa attuale.

 

Certi momenti, invece, colpiscono per una bellezza autonoma, riflessa sull’ambiente e sulla sua dimensione figurativa e d’atmosfera. Paiono più intensamente significativi i duelli giocati a distanza che non gli scontri diretti fra personalità discordi. 


Kabir Tavani, Eva Cambiale, Mariangeles Torres,
Roberto Alinghieri, Elisabetta Pozzi, Tommaso Ragno
© Giuseppe Maritati

Si nota la rabbia frustrata di Treplev, un Francesco Sferrazza Papa con folate d’entusiasmo, struggenti crolli mascherati d’ironia, quasi alter ego dell’emergente Čechov che invocava «forme nuove». Quando l’autore deluso ritrova Nina (in presenza dello zio addormentato), partecipa al riepilogo dei loro destini, grazie a una Alice Arcuri che attinge alle migliori risorse espressive per riassumere la sua vocazione e confermare l’amore per Trigorin, che l’ha resa madre e l’ha lasciata.  


Memorabile, ancora, la rivelazione di Maša a Trigorin del metodo crudele con il quale ha represso l’amore vero cercando il suo surrogato. L’interno della casa è reso più intimo dalla riduzione dello spazio mediante le luci ravvicinate e formanti una parete della sala.

 

Così il momento della tombola e la riapparizione del gabbiano impagliato (opera originale di Desirée Tesoro) rinviano infine non soltanto alla simbologia cara a Nina, ma alla sorte del suicida: la morte di Treplev è avvolta da significativa discrezione, segnata appena dallo sparo, assorbito dal rumore della festa. È preziosa la musica di Andrea Nicolini, composta di note continue e allarmanti, il corno in lontananza e quella ritornante cadenza di danza che dal folklore resuscita lugubri fremiti e presentimenti tragici, da esorcizzare in sarabanda.


Alla fine delle tre ore del complesso lavoro, il pubblico acclama gli attori, stanchi e soddisfatti, nella bella prova d’una moderna compagnia “all’italiana”. 



Il gabbiano
cast cast & credits
 



Spettacolo andato in scena al Teatro della Corte di Genova 
il 28 febbraio 2017

 
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