La catastròfa, il libro-inchiesta di Paolo Di Stefano che nel 2011, a oltre cinquantanni dal disastro di
Marcinelle, ridava voce alle testimonianze dirette e indirette di vedove,
orfani, sopravvissuti e soccorritori intorno a quel terribile incidente che
costò la vita a duecentosessantadue minatori
(di cui centotrentasei italiani), è ora diventato un oratorio.
Ispirandosi a questo lavoro del noto scrittore e
giornalista, Etta Scollo, cantante e
compositrice siciliana da anni residente a Berlino, si è esibita presso il
Radialsystem in una performance
canora coadiuvata da una lettura scenica di Udo Samel, storico attore della Schaubühne, dagli strumentisti Susanne Paul (violoncello), Cathrin Pfeifer (fisarmonica) e dal
Coro Acanto, composto da nove membri e diretto da Giovanna Giovannini.
© Francesco Francavigli
La drammaturgia dello spettacolo consiste in un
alternarsi continuo di brani estrapolati dal libro di Di Stefano, letti, o
cantati (per voce sola e in coro) mentre sullo sfondo scorrono immagini che ritraggono i volti dei minatori e i loro
cari prima della strage; la vita da baraccati nel distretto carbonifero del
Bois du Cazier, nel Belgio vallone; il lavoro disumano di uomini per i quali il
rischio era ancora solo unipotesi; i pozzi della miniera avvolti da fumo e
fiamme in quel tragico mattino dell8 agosto del 56; lespressione attonita
delle mogli e dei figli nelle terribili ore di attesa che si protrassero oltre
misura per la vacuità dei soccorsi; il recupero delle vittime incenerite a novecentosettantacinque
metri di profondità.
Le altre immagini, più tecniche, illustrano nei dettagli
le falle dei sistemi di sicurezza dellimpianto di aerazione, dei carrelli per
il trasporto degli operai. Tutto questo materiale darchivio, disposto in una
sequenza ragionata, fa da contrappunto a quel canto rituale intonato oggi per i
morti, nenia per i vivi che ancora li piangono, per quella gente del sud
presaga del proprio ineluttabile destino che lItalia di allora, quasi si
trattasse di una merce, aveva scambiato con il carbone.
Coro Arcanto © Dominique Houcmant
E quando il resoconto in musica e in prosa arriva a
toccare largomento sconcertante delle spese processuali imposte dalle autorità
belghe ai famigliari delle vittime, mai in seguito risarciti se non «per gli
abiti perduti nella catastrofe»; o quello altrettanto assurdo della piena
assoluzione degli amministratori e degli ingegneri dellimpianto minerario; o
laltro ancora dellassenza infingarda ai funerali ufficiali delle autorità
politiche ed ecclesiastiche italiane che «hanno deciso di rimanere a Roma», il
tono si fa più teso, la melodia si inerpica con il crescere dellindignazione
suscitata dagli avvenimenti riportati, ma alla fine rimane nellorecchio
soprattutto il lamento, la fuga malinconica delle voci ormai rassegnate, che a
lungo e invano hanno implorato giustizia, delle vedove, degli orfani delle
vittime o dei loro colleghi che scamparono alla morte perché in quel mattino
non erano di turno.
Un requiem, questo spettacolo, per scongiurare il torto di una damnatio memoriae che la “catastròfa” di Marcinelle ha già in passato conosciuto.
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