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Elvira o A scuola di teatro

di Andrea Simone
  Elvira
Data di pubblicazione su web 03/03/2017  

Elvira o la passione teatrale è la pièce che Giorgio Strehler mise in scena con Giulia Lazzarini nel 1986, per inaugurare la scuola di recitazione del Teatro Studio, conquistando il pubblico grazie alle capacità affabulatorie del grande regista nella parte di Louis Jouvet. Il sottotitolo “o la passione teatrale” riassume il tema portante che lega la versione strehleriana all’Elvira di Servillo che ha debuttato proprio al Piccolo Teatro di Milano il 3 novembre 2016 ed è poi approdata sulle scene del Teatro Niccolini di Firenze il 18 febbraio scorso. La passione per il teatro è raccontata attraverso il tema della trasmissione del sapere e del “saper fare”: lo spettatore spia il mondo che si cela dietro lo spettacolo e prima di esso, cogliendo la tensione pedagogica e la voglia di imparare insite nel rapporto maestro-allievo.

Appena entrati nello storico ed elegante teatro fiorentino si coglie l’essenzialità della scena che quasi stride con il vocio sovrabbondante degli astanti: due sedie, un piccolo scrittoio con abat-jour accesa, una pedana rialzata, alcuni fogli, forse dei copioni, appoggiati sulla ribalta e una scaletta di raccordo con la platea le cui prime file, lasciate appositamente libere, sono coperte da lenzuoli bianchi, come si usa fare a teatro nei giorni di chiusura. L’atmosfera sembra quella di una pausa durante le prove per uno spettacolo. Una voce fuoricampo esclama: «Parigi, 14 febbraio 1940». La supposizione è confermata. Dal buio improvvisamente calato siamo catapultati nel bel mezzo delle prove: l’attrice attacca con la battuta ma viene interrotta, qualcosa non va. Interviene il regista ammonendola e sottolineando l’imprecisione nei movimenti, il tono errato e la mancanza di sentimento. Ci accorgiamo che quello a cui stiamo assistendo non è la messa in scena di un vero e proprio testo teatrale ma la rappresentazione di “lezioni di teatro”.


Un momento dello spettacolo © Fabio Esposito
Un momento dello spettacolo 
© Fabio Esposito

Più precisamente si tratta delle sette lezioni – sul carattere del personaggio di Elvira nella sesta scena del quarto atto del Don Giovanni di Molière – tenute dal regista e attore Jouvet per gli allievi del terzo anno al Conservatoire national d’Art Dramatique di Parigi tra febbraio e settembre 1940. Elvire Jouvet 40 di Brigitte Jaques fu la prima lezione messa in scena l’8 gennaio 1986 al Théâtre national de Strasbourg. Questa, come le altre, su richiesta dello stesso Jouvet furono stenografate da Charlotte Delbo e successivamente raccolte nei due volumi Molière et la comédie classique (Gallimard 1965) e Tragédie classique et théâtre du XIXe siècle (Gallimard 1968). A questo spettacolo e alla sua omonima riduzione cinematografica (1987) di Benoit Jacquot si ispira esplicitamente la regia di Toni Servillo, nella nuova traduzione di Giuseppe Montesano, soprattutto nell’essenzialità dell’allestimento e nella restituzione di un’atmosfera intima e privata. Attori e regista trovano lo spazio e il tempo delle “prove” concedendo allo spettatore, in via eccezionale, di “sbirciare” nella fucina del “fare teatro”.

Jouvet (Servillo) si sofferma sul personaggio di Elvira per far riflettere i suoi allievi Claudia/Elvira (Petra Valentini), Octave/Don Giovanni (Francesco Marino) e Lèon/Sganarello (Davide Cirri) sul parallelo tra il mistero del testo molieriano e quello della recitazione. Elvira è una figura divina intervenuta in extremis per salvare Don Giovanni dalla dannazione attraverso la rivelazione del suo agire dissennato. Allo stesso modo lo sforzo pedagogico di Jouvet mira a suscitare nei suoi allievi una rivelazione interiore («ciò che si è in relazione a ciò che si fa» sulla scena). Durante le prime lezioni Claudia si sforza di assecondare le indicazioni ricevute ma «il sentimento non è ancora abbastanza forte» per trasmettere le motivazioni e gli stati d’animo del personaggio. Quello di Elvira è un atto d’amore che si palesa come un’apparizione che sorprende Don Giovanni senza dargli modo di reagire ed è questo il sentimento che l’attrice dovrebbe restituire. Claudia però ha bisogno di più tempo. Nelle lezioni successive Jouvet puntualizza come il recitare richieda uno sforzo che deve essere avvertito dall’attore in ciò che fa («smuovere la propria sensibilità per arrivare a colpire chi ci sta ascoltando, andando oltre la ribalta»). Secondo il maestro i tentativi dell’attrice sono ancora troppo legati ad una orgogliosa «intelligenza drammatica» che non le permette di superare una tecnica sterile e noiosa. «Bisogna che il sentimento ti obblighi a recitare il testo», le dice. Claudia, rimasta sola in scena, ci riprova ma è interrotta nuovamente. Dal fuoricampo si fa sempre più assillante una voce: è quella di Hitler. L’orrore della guerra incombe. Buio.


Un momento dello spettacolo © Fabio Esposito
Un momento dello spettacolo 
© Fabio Esposito

«Parigi, 10 settembre 1940». Ormai l’occupazione nazista è in atto. Gli attori ricompaiono in scena con cappotti e valigie pronti per ogni evenienza. Tuttavia le lezioni continuano. Sganarello è in fondo alla scena; Don Giovanni, appoggiato sulla scaletta della ribalta, dà le spalle al pubblico mentre Elvira è in piedi di fronte a lui ma non lo guarda. Il tono della sua voce appare improvvisamente profetico quando esclama: «vi dico queste cose in lacrime». La magia è compiuta, Claudia “è stata nel sentimento” del personaggio; ha compreso, rielaborandoli, i suggerimenti del maestro. Un cartello ci informa del primo premio per la commedia e la tragedia ottenuti dall’attrice grazie al monologo di Elvira al Conservatoire di Parigi prima di essere allontanata dalle scene e denunciata dalle autorità naziste in quanto ebrea. Jouvet invece sarà costretto a lasciare la Francia nel maggio del 1941. Il suo esilio forzato durerà fino alla fine del 1944. Riproporrà in scena il Don Giovanni al Théâtre de l’Athénée di Parigi nel 1947.

Elvira non è una pièce ma, come osserva lo stesso Jouvet/Servillo «una scena che si recita per i provini, per le audizioni o, al massimo, nelle premiazioni». Non c’è un testo, se non le parole che Jouvet pronunciò durante le prove, né una scenografia definita. L’attenzione si concentra sul rapporto regista-attore. Tuttavia non siamo di fronte al solito gioco metateatrale ma ad un’analisi profonda e sofferta del fare teatro, mentre lo si sta facendo, da parte di chi quel mestiere lo fa tutti i giorni. La regia viene ridotta al minimo, così come i cambiamenti e i passaggi di luce: tutto è lasciato nelle mani dell’attore. Perfino la guerra, pur incombente, non riesce a frenare la passione teatrale. L’agire di Elvira, tanto dolce nel messaggio di perdono quanto straziante nel funesto avviso di morte, è paragonabile al tentativo accorato e sofferto di Jouvet di trasmettere il proprio sapere professionale agli allievi per accrescerne la sensibilità emotiva: cogliere le motivazioni del personaggio senza preconcetti ed «essere costretti dal sentimento a recitare il testo». Lo spettatore sonda le viscere più profonde e gli stati d’animo più contrastanti del rapporto maestro-allievo per comprendere motivazioni, intenzioni e incoscienze: la magia comunicativa ed espressiva che sta alla base della rappresentazione teatrale.


Un momento dello spettacolo © Fabio Esposito
Un momento dello spettacolo 
© Fabio Esposito

I destinatari del messaggio della messinscena sono quindi molteplici: mentre Elvira tenta di salvare Don Giovanni, Jouvet/Servillo cerca di farsi capire dai suoi allievi ma, allo stesso tempo, scruta lo spettatore. È a noi che ripetutamente si rivolge il regista-attore spingendosi al centro della platea in “a parte” che fungono da momenti cruciali di riflessione insieme ai lunghi silenzi magistralmente adoperati per restituire il significato profondo di quell’insistere agitato, fremente e anelante intorno al testo di Molière. Il messaggio sembra essere questo: un’efficace trasmissione del sapere dipende dalla qualità del rapporto insegnante-alunno che, soprattutto a teatro, richiede un adeguato processo elaborativo in cui il fallimento è visto come fondamentale momento di crescita dell’individuo. Il grande maestro Jouvet, attraverso il personaggio di Elvira e l’infaticabile interpretazione di Servillo, vuole suscitare maieuticamente nei suoi allievi e contemporaneamente negli spettatori la capacità di mettersi alla prova e giungere per gradi e con sforzo alla rivelazione interiore «di ciò che si è in relazione a ciò che si fa»: tanto sul palcoscenico così come nella vita. Un insegnamento universale, dunque, che diventa anche un serio spunto di riflessione (per la confusa e iperattiva società di oggi) sulla nobiltà dell’arte del recitare e sul valore stesso dell’insegnamento, “dentro” e “fuori” dai teatri.



Elvira
cast cast & credits
 



Un momento dello spettacolo visto al teatro Niccolini di Firenze il 18 febbraio 2017



 
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