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La fragilità della carne

di Giovanni Pirari
  Cinema Cielo
Data di pubblicazione su web 01/03/2017  

Nel centro di Milano vi era un cinema a luci rosse, piuttosto famoso al suo tempo, poiché tra le ombre della sala si consumavano voglie erotiche di vario genere. Cinema Cielo di Danio Manfredini, che nel 2004 ha vinto il Premio Ubu per la miglior regia, porta per titolo il nome di quella sala, scomparsa, come altri cinema pornografici, con l’avvento dell’home video e l’apertura dei club privé. Ma lo sguardo poetico di Manfredini ha conservato l’umanità che si raccoglieva davanti a quegli schermi, e la rievoca sotto la lente d’ingrandimento di questa malinconica creazione teatrale, riportata in scena il 19 febbraio, dopo più di dieci anni, al Teatro Era di Pontedera. L’artista ci consegna una meditazione, insieme raccolta e carnevalesca, sulla condizione esistenziale dell’uomo, che il bisogno d’amore e di contatto fisico espone al tarlo della solitudine e al sentimento d’abbandono.


Un momento dello spettacolo
© Daniele Ronchi

Un angelo dalle ali rosse (Manfredini) apre l’azione alzandosi lentamente da terra, davanti alla facciata e all’insegna del Cinema Cielo proiettate sul sipario ancora calato. È un travestito, dall’accento straniero. Ha una missione, dice. Gesù gli ha ordinato di dare amore a chiunque ne abbia bisogno. Cosa non facile, e tanto amore è finito in marchette.

Cinema Cielo non segue una drammaturgia lineare, narrativa. La sua poesia risponde ad una logica simbolica. E coerentemente con questa logica la prima scena racchiude in nuce il dramma che poi si esplica, frammentato ma perfettamente organizzato, nelle azioni successive. I personaggi in cui i quattro attori (il citato Manfredini, Vincenzo Del Prete, Patrizia Aroldi e Giuseppe Semeraro) si moltiplicano in un’abile successione di maschere e costumi, sono come un gioco di specchi, in cui si riflette il dramma di una carne chiusa in sé stessa, affamata sì d'un amore fatto di corpi, ma che non può saziarsi nel consumo di un sesso fugace e autoreferenziale. Che si tramutino in una cassiera, in un marchettaro sordomuto, o nell’immigrato che tira su due lire offrendo “lavoretti” nei cessi della sala, questi personaggi sono tante maschere della stessa vicenda umana, dove la ricerca dei corpi, e l’incontro con essi, si risolvono nel ritrarsi reciproco di ognuno nella propria solitudine.


Un momento dello spettacolo
© Daniele Ronchi

All’alzarsi del sipario si disegna l’interno di una sala cinematografica, dove lo spettatore spia, tra le file di poltroncine rosse, la presenza di altri spettatori. Una voce fuori campo, come fosse il sonoro del film in programmazione, richiama frammentariamente Notre-Dame-des-fleurs di Genet, in un crescendo di rimandi con gli incontri furtivi che animano la scena. Sfumano gli opposti: suscitano insieme tenerezza e senso di degrado i corpi che si toccano e accoppiano fra le ombre; la malinconia di chi vorrebbe sentirsi amato trabocca in repentini lampi di festa, come quando Manfredini, vestito di bianco, illumina la scena con una danza, sotto la pioggia argentata dei coriandoli che gli escono dalle maniche.

L’impressione di un’intenzione metafisica si conferma quando avanza sui trampoli un Cristo seminudo (Del Prete), a braccia spalancate, silente. Lui, che ha patito le sofferenze della carne, tace di fronte al grido della carne dell’uomo. «Signore del cielo e della terra, noi non capiamo… Tu fai le creature, e poi le pianti in asso», dice l’angelo dalle ali rosse, senza ottenere risposta.


Un momento dello spettacolo
© Daniele Ronchi

Cinema Cielo è un canto della solitudine umana, e di quella tenera e amara bellezza che si rivela nella fragilità della carne. Con la precisione di un orologiaio, la regia sa raccogliere il ricco accadere di scenette, frammenti e invenzioni teatrali in un’unità efficace e toccante, che rivela un destino comune: quello di essere anime gettate nel labirinto del mondo, in cerca di risposta ad un amore che, anche se inascoltato, ci urla dentro.

La parola in Cinema Cielo è scarna, frammentaria, ma densa di disincantata poesia. Al racconto si predilige il frammento, lo scorcio, il simbolo. È la visione di chi spia. Vestendo la maschera gli attori ci pongono davanti uno specchio, nel quale spiare cosa si cela sotto la maschera del quotidiano: bisogno, solitudine, fragilità.



Cinema Cielo
cast cast & credits
 

Spettacolo visto il 19 febbraio scorso al Teatro Era di Pontedera

 
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