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Il nazismo in poltrona di Thomas Bernhard

di Fiora Scopece
  Prima della pensione
Data di pubblicazione su web 28/01/2017  

È tutto pronto in casa Höller per il compleanno di Himmler. È un giorno importante: il giorno della “ricorrenza”. Vera Höller (Elena Bucci) entra in scena quasi a passi di danza, tenendo in mano un ferro da stiro.

Fa freddo. Le pareti sono «gelide», le «mura agghiaccianti». Pochi arredi si stagliano nel buio della scena: qualche sedia, una poltrona, un tavolo. Un pianoforte quasi dimenticato. Un asse da stiro. E Vera, in quel giorno che si ripete da sempre ogni anno, si appresta a stirare la toga del fratello Rudolf (Marco Sgrosso), mentre Clara (Elisabetta Vergani), sorella paraplegica, gli rammenda i calzini. Prende avvio così Prima della pensione, commedia in tre atti di Thomas Bernhard, messa in scena all’Arena del Sole di Bologna dalla compagnia Le Belle Bandiere di Elena Bucci e Marco Sgrosso, che ne hanno curato le scene e la regia, oltre che il progetto.

Vor dem Ruhestand (questo il titolo originario) è una commedia “politica” – anche se solo in apparenza – rappresentata per la prima volta a Stoccarda allo Staatstheater nel 1979, sotto la direzione di Claus Peymann, che ha firmato la regia di quasi tutti i lavori di Bernhard.

In Italia il teatro del drammaturgo austriaco è arrivato tardi. Prima della pensione ha visto il suo debutto italiano soltanto nel 1999, per la regia di Piero Maccarinelli, con la celebre interpretazione di Umberto Orsini nel ruolo di Rudolf, e con Milena Vukotic e Valeria Moriconi nei panni delle due sorelle. A colpire fu probabilmente l’atmosfera familiare, borghese che ne emergeva, se Renato Palazzi sulle colonne de «Il Sole 24 Ore» titolò la sua recensione Il nazista in pantofole. Del resto la commedia parla sì della persistenza del nazismo in Germania, ma lo rappresenta all’interno di dinamiche familiari e di precari equilibri, tra medaglioni di vitello serviti a tavola e bottiglie di spumante tenute in fresco, discorrendo della tappezzeria da cambiare o della polvere di cui è intrisa tutta la casa. Una commedia “psicologica” e solo apparentemente politica, definita da Benjamin Heinrichs «il più complicato, il più sinistro, il testo migliore di Bernhard» (come si legge nelle note di regia).



Un momento dello spettacolo
© Luca Del Pia

Il 7 ottobre di ogni anno i tre fratelli, Vera, Rudolf e Clara festeggiano il compleanno di Himmler con una prelibata cena, nella casa in cui vivono da quando erano bambini. Così vuole Rudolf: è la sua «follia personale», questa, di celebrare la ricorrenza indossando la divisa del tempo, cenando con un buon bicchiere di Principe di Metternich, lo spumante dei “bei tempi andati”: quelli del lager.

Rudolf, ex ufficiale delle SS, stimato e apprezzato da Himmler, oggi è un giudice prossimo alla pensione, con smanie ecologiste: ha appena impedito la costruzione di una fabbrica di veleni davanti alla propria casa. Vera è sua sorella devota. Anche lei nostalgica del nazismo. Condivide con il fratello, oltre agli ideali, un rapporto incestuoso. Si occupa della casa, nonché dell’altra sorella, Clara, paralizzata su una sedie a rotelle a causa di un bombardamento americano durante l’ultimo conflitto mondiale. Ribelle e di sinistra, si oppone strenuamente alle idee dei fratelli.

I protagonisti sono immobili, prigionieri delle proprie manie, delle proprie ossessioni che ritornano e si ripetono continuamente. Immanenti e monolitici, come i personaggi di una tragedia greca, non possono sfuggire a ciò che il destino ha stabilito per loro, né evadere dal proprio “ruolo”.

I luoghi sono chiusi e la casa assume le sembianze di un antro, caverna-prigione in cui quel “rito” deve compiersi. I movimenti sono ridotti, talvolta obbligati, come quelli cui costringe la sedia a rotelle. Le azioni si cristallizzano in rituali che si perpetuano. Tutto è codice e regola. Niente è mai cambiato, neanche la tappezzeria della casa, che è ancora quella scelta dai genitori, una madre suicida e un padre autoritario, i cui gretti insegnamenti echeggiano di continuo sulla scena. Questa assenza di cambiamento è ribadita ripetutamente nel corso di tutta la pièce, riflesso del perdurare del nazismo in quella società tedesca che è costretta a vivere i propri ideali di nascosto, coltivando il sogno di poterli un giorno dichiarare al mondo intero. Sono dei «cospiratori», dunque, questi fratelli, «un gruppo di cospiratori» sempre in agguato.



Un momento dello spettacolo
© Luca Del Pia

L’ossessione sembra diventare allora la dimensione drammaturgica della messa in scena (come sempre nel teatro di Bernhard) e pervade, nella forma della ripetizione i gesti rituali e l’impalcatura linguistica, fatta di frasi martellanti che si duplicano, si triplicano, con variazioni e scarti minimi, diventando quasi formulari. Sono fiumi di parole inframmezzate da risatine, sospiri, voci stridule o parole urlate, gli interminabili sproloqui di Vera, dominati da una straordinaria Elena Bucci (neo vincitrice del Premio Ubu come miglior attrice, nonché del prestigioso premio Eleonora Duse).

Vera si muove ostentando la disinvoltura, solo apparente, di chi tenta di tenere tutto sotto controllo, facendo ricorso ai registri più diversi: talvolta, perfida e feroce, si scaglia contro il mondo, reo perfino di essere povero, se – diceva suo padre – «chi è povero / è anche colpevole del proprio stato / guai aiutare i poveri»; altre volte questa Elettra bernhardiana ricorda nostalgica l’infanzia perduta, o raccoglie, un po’ civetta, i capelli in lunghe trecce, quelle che piacciono tanto a Rudolf; o ancora si scopre vanitosa, nel terzo atto, seduta a tavola in un brillante abito color argento (la supervisione ai costumi è di Ursula Patzak). Leggera si muove sulle tracce di una musica che percorre tutto lo spettacolo, spaziando da Rachmaninov a Beethoven, da Björk a Marlene Dietrich, passando per sonorità rock e pop (drammaturgia e cura del suono di Raffaele Bassetti). È un personaggio formidabilmente restituitoci in tutta la sua volumetria: sfaccettato e contraddittorio, nevrotico e compulsivo.



Un momento dello spettacolo
© Luca Del Pia

Le parole scorrono copiose anche nei lunghi discorsi, a tratti monologhi, affidati a Rudolf, uno strepitoso Marco Sgrosso che, evocato più volte nel primo atto, entra in scena soltanto nel secondo, tronfio e paranoico, che si lancia in tirate contro l’America, contro la democrazia, clamorosa «truffa» – dice – e contro gli ebrei che «mercanteggiano con la natura», e «sotto il pretesto della democrazia» la «sventrano». Mentre sfoglia l’album di fotografie con sua sorella Vera, le sue nostalgie naziste sembrano invocare i fantasmi di un rito esoterico e ricostruire l’epos di una tradizione mitica, sotto gli effetti ipnotici di luci verdastre e allucinanti (disegnate da Loredana Oddone). La sua è una follia “in poltrona”, quella stessa su cui resta seduto per tutto il secondo atto; una follia fatta di minacciati colpi di pistola, ma anche di grandi colpi di scena: l’ultimo, sul finale, quando, còlto da un improvviso attacco di cuore, chiude questa commedia con un’ironia tragica che si riconosce in tutto lo spettacolo.

Contraltare ai due fratelli è Clara, una convincente e tenace Elisabetta Vergani. Il suo implacabile mutismo cresce progressivamente dal primo all’ultimo atto, raggiungendo un silenzio definitivo: quasi un kophon prosopon, mero ingombro non parlante di classica memoria, la cui afasia ha più il sapore della reticenza che quello dell’assenza di contenuto. Clara – la cui menomazione fisica è emblema dell’oltraggio che l’America ha compiuto nei confronti della Germania – diviene il simbolo di ciò che non deve essere raccontato, che non deve uscire da quella casa, e insieme rappresenta ogni spettatore che è testimone (muto) di questa tragica commedia. «Lei recita la parte più difficile» – dice Vera –. «Noi siamo solo i suggeritori / Lei tacendo / tiene viva la commedia», secondo un’identificazione di teatro e vita che inquadra in una prospettiva metateatrale tutto lo spettacolo, perché, in fondo – dice – «abbiamo imparato a memoria il copione / i ruoli sono già assegnati da trent’anni / ognuno ha la propria parte».




Prima della pensione
cast cast & credits
 


Elena Bucci (Vera Höller) nello spettacolo andato in scena all'Arena del Sole di Bologna
© Luca Del Pia




 
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