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Un caffè amaro

di Diana Perego
  La bottega del caffè
Data di pubblicazione su web 27/01/2017  

Lo spettacolo del regista Maurizio Scaparro evoca la Venezia dipinta da Francesco Guardi, il pittore contemporaneo concittadino di Carlo Goldoni. Autore di vedute veneziane evanescenti, malinconiche, il pittore alternò larghi paesaggi alla rappresentazione degli angoli più suggestivi della città lagunare: campielli, ponti e piazzette dai vibranti toni madreperla. 

In uno di questi luoghi si trova la bottega del caffè del buon Ridolfo. Un microcosmo nel quale le strette relazioni da un lato favoriscono la solidarietà, dall’altro non riparano dalle maldicenze, le invidie, i tradimenti. Di stile settecentesco, la scenografia di Lorenzo Cutùli mostra al centro una calle veneziana; ai lati porte aperte immettono negli ambienti retroscenici: la locanda e la bisca a sinistra, la bottega del caffè e del barbiere a destra. I personaggi si muovono nella piazzetta antistante ed entrano ed escono agilmente da questi spazi sviluppati su due piani. Cutùli dimostra di aver ben compreso il valore funzionale alla recitazione degli apparati scenografici nel teatro comico del XVIII sec. La scenografia in funzione del teatro in azione. 

Anche i costumi, realizzati dallo stesso Cutùli, rientrano in questa operazione filologica. Prevalgono i toni pastello dello sfumato di tanti pittori veneziani settecenteschi: giallo, verde, azzurro – affascinanti le donne così abbigliate – tra cui si distingue il vestito nero di Don Marzio. Lo spazio scenico è evanescente, avvolto come da una sorta di “patina” grazie al sapiente uso delle luci (di Maurizio Fabretti) che evocano la malinconia di una Venezia in decadenza. Una dolce mestizia già ricreata da Scaparro in Una delle ultime sere di Carnovale (1989). 

Un momento dello spettacolo©Filippo Manzini
Un momento dello spettacolo
© Filippo Manzini

Durante lo spettacolo si sorride. È il sorriso amaro dello spettatore che riconosce le piccole miserie della vita umana: il bisogno di denaro, il tradimento, le menzogne, la solitudine. Sentimenti alleviati o forse inaspriti dal divertimento del Carnevale. 

Afferma Scaparro: «il mio Goldoni si ispira soprattutto alla modernissima regia teatrale di Luchino Visconti de La locandiera (1952): è stata la prima volta in cui vedemmo un Goldoni moderno, nostro contemporaneo: senza parrucche e mascherate». In effetti la regia condivide il sapore amaro di quella di Visconti (ricordiamo Mirandolina-Rina Morelli ingessata in un castigato abito grigio), che diventerà commovente omaggio alla decadenza nel film Morte a Venezia (1971). 

L’occhio discreto del regista asseconda lo sviluppo della trama. Don Marzio osserva incuriosito con il suo occhialetto le vicende intorno a lui e le riferisce deformandole. Il giovane Eugenio ha il vizio del gioco, il conte Leandro corteggia la ballerina Lisaura, le mogli (Vittoria e Placida) cercano di salvare i loro matrimoni. L’assennato Ridolfo, come un deus ex machina, si adopera per ristabilire l’ordine e la pace. 

Un momento dello spettacolo©Filippo Manzini
Un momento dello spettacolo
© Filippo Manzini

Nel finale tutti i personaggi, affacciati dai piani superiori praticabili, accusano Don Marzio, in una sorta di tribunale morale, di aver causato fraintendimenti e litigi con la sua malalingua. Il vecchio si abbandona a un triste monologo e decide di lasciare Venezia. La piazzetta è silenziosa e immersa nella luce argentata della luna. È notte. Cala il sipario. 

Pino Micol nel ruolo del protagonista adombra gli altri interpreti con la duttilità della mimica, la gestualità, i toni della voce. Il suo Don Marzio è un carattere dalle molte sfumature: nobile petulante, vecchio avaro, napoletano saccente ma anche uomo solo, ottuso (divertente il tormentone del «flusso e riflusso»), sinceramente stupito dalla reazione intransigente degli altri nei suoi confronti. Le debolezze dell’uomo suscitano simpatia e indulgenza.   

Contraltare di Don Marzio è l’onesto caffettiere, interpretato da Vittorio Viviani, rigido censore della morale e difensore strenuo della pudicizia di costumi. L’interpretazione asseconda il ruolo ed è pertanto severa, rigida, a volte affettata. I rimbrotti di Ridolfo, seppur motivati, diventano ripetitivi e noiosi.  

Un momento dello spettacolo©Filippo Manzini
Un momento dello spettacolo
© Filippo Manzini

Tra le interpreti femminili emerge l’affascinante Giulia Rupi (Lisaura). Le sue apparizioni al balcone accompagnate dal suono dei violini (musiche di Nicola Piovani) sono epifanie seducenti che incantano gli uomini in piazzetta. 

Scaparro torna a misurarsi con la commedia goldoniana e ne coglie l’amarezza con sorriso indulgente. Il vecchio pettegolo, il marito fedifrago e giocatore, la moglie tradita e tenace non sono maschere del Teatro ma caratteri del Mondo osservati con l’occhialetto del commediografo e del regista. 

«Questa Commedia ha caratteri tanto universali, che in ogni luogo ove ella fu rappresentata, credevasi fatta sul conio degli originali riconosciuti. […] I miei caratteri sono umani, sono verosimili, e forse veri, ma li traggo dalla turba universale degli uomini» (C. Goldoni, L’autore a chi legge, in La bottega del caffè, a cura di R. Turchi, Venezia, Marsilio, 2000, p. 74). 

Il caffè amaro è servito. 



La bottega del caffè
cast cast & credits
 

Il regista Maurizio Scaparro
Maurizio Scaparro 
regista dell'allestimento goldoniano al Teatro Niccolini di Firenze





















































Pino Micol 
nel ruolo di Don Marzio
© Filippo Manzini



 
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