Lo spettacolo del
regista Maurizio Scaparro evoca la
Venezia dipinta da Francesco Guardi,
il pittore contemporaneo concittadino di Carlo
Goldoni. Autore di vedute veneziane evanescenti, malinconiche, il pittore alternò
larghi paesaggi alla rappresentazione degli angoli più suggestivi della città
lagunare: campielli, ponti e piazzette dai vibranti toni madreperla.
In uno di questi
luoghi si trova la bottega del caffè del buon Ridolfo. Un microcosmo nel quale le
strette relazioni da un lato favoriscono la solidarietà, dallaltro non
riparano dalle maldicenze, le invidie, i tradimenti. Di stile settecentesco, la
scenografia di Lorenzo Cutùli mostra al centro una calle veneziana; ai
lati porte aperte immettono negli ambienti retroscenici: la locanda e la bisca
a sinistra, la bottega del caffè e del barbiere a destra. I personaggi si
muovono nella piazzetta antistante ed entrano ed escono agilmente da questi
spazi sviluppati su due piani. Cutùli dimostra di aver
ben compreso il valore funzionale alla recitazione degli apparati scenografici
nel teatro comico del XVIII sec. La scenografia in funzione del teatro in
azione.
Anche i costumi, realizzati
dallo stesso Cutùli, rientrano in questa operazione filologica. Prevalgono i
toni pastello dello sfumato di tanti pittori veneziani settecenteschi: giallo, verde,
azzurro – affascinanti le donne così abbigliate – tra cui si distingue il
vestito nero di Don Marzio. Lo spazio scenico è evanescente, avvolto come da
una sorta di “patina” grazie al sapiente uso delle luci (di Maurizio
Fabretti) che evocano la malinconia di una
Venezia in decadenza. Una dolce mestizia già ricreata da Scaparro in Una delle ultime sere di Carnovale
(1989).
Un momento dello spettacolo © Filippo Manzini Durante lo spettacolo si sorride. È il sorriso
amaro dello spettatore che riconosce le piccole miserie della vita umana: il
bisogno di denaro, il tradimento, le menzogne, la solitudine. Sentimenti
alleviati o forse inaspriti dal divertimento del Carnevale.
Afferma Scaparro: «il mio Goldoni si ispira soprattutto alla
modernissima regia teatrale di Luchino
Visconti de La locandiera (1952): è stata la prima volta in cui vedemmo un
Goldoni moderno, nostro contemporaneo: senza parrucche e mascherate». In
effetti la regia condivide il sapore amaro di quella di Visconti (ricordiamo
Mirandolina-Rina Morelli ingessata
in un castigato abito grigio), che diventerà commovente omaggio alla decadenza
nel film Morte a Venezia (1971).
Locchio discreto
del regista asseconda lo sviluppo della trama. Don Marzio osserva incuriosito
con il suo occhialetto le vicende intorno a lui e le riferisce deformandole. Il
giovane Eugenio ha il vizio del gioco, il conte Leandro corteggia la ballerina
Lisaura, le mogli (Vittoria e Placida) cercano di salvare i loro matrimoni.
Lassennato Ridolfo, come un deus ex
machina, si adopera per ristabilire lordine e la pace.
Un momento dello spettacolo © Filippo Manzini Nel finale tutti i
personaggi, affacciati dai piani superiori praticabili, accusano Don Marzio, in
una sorta di tribunale morale, di aver causato fraintendimenti e litigi con la
sua malalingua. Il vecchio si abbandona a un triste monologo e decide di
lasciare Venezia. La piazzetta è silenziosa e immersa nella luce argentata
della luna. È notte. Cala il sipario.
Pino Micol nel ruolo del protagonista adombra gli
altri interpreti con la duttilità della mimica, la gestualità, i toni della
voce. Il suo Don Marzio è un carattere dalle molte sfumature: nobile petulante,
vecchio avaro, napoletano saccente ma anche uomo solo, ottuso (divertente il
tormentone del «flusso e riflusso»), sinceramente stupito dalla reazione
intransigente degli altri nei suoi confronti. Le debolezze delluomo suscitano simpatia
e indulgenza.
Contraltare di Don
Marzio è lonesto caffettiere, interpretato da Vittorio Viviani, rigido censore della morale e difensore strenuo
della pudicizia di costumi. Linterpretazione asseconda il ruolo ed è pertanto severa,
rigida, a volte affettata. I rimbrotti di Ridolfo, seppur motivati, diventano
ripetitivi e noiosi.
Un momento dello spettacolo © Filippo Manzini Tra le interpreti femminili emerge laffascinante Giulia Rupi (Lisaura). Le sue
apparizioni al balcone accompagnate dal suono dei violini (musiche di Nicola Piovani) sono epifanie seducenti
che incantano gli uomini in piazzetta.
Scaparro
torna a misurarsi con la commedia goldoniana e ne coglie lamarezza con sorriso
indulgente. Il vecchio pettegolo, il marito fedifrago e giocatore, la moglie
tradita e tenace non sono maschere del Teatro
ma caratteri del Mondo osservati con
locchialetto del commediografo e del regista. «Questa Commedia ha caratteri
tanto universali, che in ogni luogo ove ella fu rappresentata, credevasi fatta
sul conio degli originali riconosciuti. […] I miei caratteri sono umani, sono
verosimili, e forse veri, ma li traggo dalla turba universale degli uomini» (C.
Goldoni, Lautore a chi legge, in La bottega del caffè, a cura di R.
Turchi, Venezia, Marsilio, 2000, p. 74).
Il
caffè amaro è servito.
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