È vero quanto sostengono
autorevoli studiosi e critici quando, di fronte allennesimo allestimento di
titoli del repertorio ballettistico, parlano di rigorose riprese filologiche,
di complete riletture, di parziali rifacimenti. Un modo per classificare loperato
di chi si accosta a opere canoniche in ossequio o meno al principio di auctoritas.
Niente di nuovo, dunque,
e soprattutto niente di male a riallestire un balletto culto come La Bella addormentata di Mariu Petipa. Un ballet-féerie su musica di Čajkovskij datato 1890 e rifatto da Nacho Duato per il Balletto dellOpera
di Berlino. Il corpo di ballo tedesco che lo ha presentato con successo in
prima italiana al Teatro Regio di Torino accompagnato dallomonima orchestra,
diretta dallesperto Pedro Alcalde.
Senza voler
misconoscere le numerose e anche felici restituzioni che si sono succedute nel
tempo – basti citare quelle ortodosse di Sergej
Vicharev del 1999 e di Aleksej
Ratmanskij del 2015 e quelle eterodosse di Mats Ek del
1996 e di Matthew Bourne del 2013 –
la versione di Duato è peculiare per il taglio coreutico e registico moderno,
pur nel rispetto del plot narrativo tradizionale.
Un momento dello spettacolo © Yan Revazov
Questa Bella addormentata, nata nel dicembre 2011 per il Balletto del Teatro Michajlovskij di
San Pietroburgo, quando Duato ne era il direttore, e ritoccata da Nacho nel febbraio
2015 per il Balletto dellOpera di Berlino dopo averne assunto la guida nel 2014,
si ispira alla celebre favola di Charles
Perrault strutturandosi in tre atti e un prologo. Nel prologo si ha lo
sviluppo dellantefatto con il Re Florestano e la Regina radiosi per i
festeggiamenti del battesimo della loro figlia Aurora. Una gioia rovinata dalla
terribile maledizione della strega Carabosse attorniata dai suoi mostriciattoli,
simbolo del male, che predice un futuro di morte per la piccolina. Un anatema
attenuato dallintervento salvifico della Fata dei Lillà e delle Fate, simbolo
del bene. La principessa non morirà ma cadrà in un sonno lungo cento anni
finché un principe la risveglierà baciandola.
Nel primo atto si
festeggiano i sedici anni di Aurora, la corte è in festa e la ragazza balla con
i pretendenti quando è attratta da una donna anziana, in realtà Carabosse, che
le regala uno spillo avvelenato. Lei si punge ma non perisce e grazie alla Fata
dei Lillà si addormenta insieme ai genitori e ai cortigiani che cadono in sonno
profondo. Nel secondo atto sono passati cento anni e il Principe Désiré è a
caccia con i suoi amici. Incontra la Fata dei Lillà che gli racconta della
principessa addormentata e gli mostra il castello incantato. Tanto basta per
spingere il giovane a desiderare di liberare la ragazza dallincantesimo e a
baciarla annullando la predizione di Carabosse. Nel terzo atto si celebrano le
nozze di Aurora e Désiré alla presenza di numerosi invitati, le Fate con i rispettivi
cavalieri, il Re e della Regina, e perfino i personaggi delle fiabe Cappuccetto
Rosso e il Lupo, il gatto con gli stivali e la gatta bianca, lUccello azzurro
e la principessa Florina, in unatmosfera beneaugurante. Il bene ha vinto sul
male e il balletto si chiude con lapoteosi delle nozze dei due innamorati
incastonati in un magico cerchio dorato con quattro pavoni ai lati, emblema di
immortalità, e circondati da un lungo strascico di pizzo a velo.
Un momento dello spettacolo © Yan Revazov
Tutto secondo copione
ma cose rende allora “duatiana” questa Bella
proposta al Regio di Torino come gradito cadeau natalizio? Senza dubbio la scelta del linguaggio e dello
stile espressivo, che elimina lottocentesca pantomima ma non nega il codice
classico, anzi i cosiddetti “pezzi forti” non mancano: “lAdagio della Rosa” di
Aurora con i quattro Principi, il grand
pas classique finale di lei con Désiré, le variazioni della stessa Aurora, della
Fata dei Lillà, delle Fate e dei personaggi delle fiabe come divertissement della festa nuziale. Ma queste
“parti” Nacho Duato le alleggerisce, le rende più fluide, morbide e dinamiche in
un fraseggio di matrice contemporanea che fa parte del suo bagaglio esperienziale.
E se non dimentica le lezione di Mats Ek,
certo ha profondamente interiorizzato quella del grande maestro del lirismo
contemporaneo Jiří Kylián.
Proprio la morbida contemporaneità
espressiva risulta evidente nella resa degli ensembles dove il corpo di ballo si muove allinsegna di una “burrosa”
eleganza di passi non rigorosamente accademici, a cui corrisponde luso sinuoso
delle braccia, degli incroci, dei passaggi, esalatati da abiti e costumi
stupendi firmati da Angelina Atlagić.
Abiti e costumi che si ispirano allodierno fashion
con richiami settecenteschi abbinati a graziosi cappellini piumati, a
pettinature chignon e a sfarzosissimi
tutù.
Un momento dello spettacolo © Yan Revazov
Questa peculiarità
costumistica si rispecchia anche nel personaggio di Carabosse che nel rispetto
della tradizione è en travesti ma la
sua è una figura giovane e imponente, un vero angelo del male, un transgender che affascina e cattura con
la sua danza. Una danza accademico-contemporanea resa ancora più incisiva dal frusciante
abito da sera nero e dalla presenza dei suoi sgherri. Un male fascinatore che
diventa necessario, ineludibile ed emotivamente coinvolgente.
Allo stesso modo la
resa “duatiana” si coglie nelle variazioni delle singole Fate, tutte leggere,
ariose quasi che il temibile banco di prova degli ardui enchaînements si risolvesse in una forma di diletto per le
interpreti e il pubblico, mascherando una danse
décole difficile e soprattutto elitaria. E lo stesso dicasi per gli
interventi danzati dei personaggi delle favole, delle variazioni di Aurora e
dei passi a due con il Principe, tutti inseriti in una scenografia atemporale e
raffinata. Le sale del palazzo sono delimitate da pannelli stuccati color
avorio e oro e la lussureggiante foresta incantata, in cui avviene il risveglio
di Aurora con il bacio di Désiré, è tappezzata di rose grandi e piccole della
stessa tonalità cromatica del tutù della protagonista.
Una scenografia,
firmata da Angelina Atlagić, in cui
predominano i toni e i colori pastello scelti ad hoc per far risaltare il nero di Carabosse e vivacizzati dalle
luci di Brad Fields che sottolineano
latmosfera fiabesca. Siamo nel regno delle fate, dei principi e delle
principesse, dei re e delle regine, e perfino Carabosse è quel male utile al
bene di cui sentiamo la necessità.
Un momento dello spettacolo © Yan Revazov
In altre parole sembra
che Duato in questa sua Bella fatta di
tradizione e innovazione abbia “tradotto” senza tradire la fiaba di Perrault-Petipa
per ribadire che solo nelle fiabe trionfano bontà, arte e magia. E nel balletto
“duatiano” aleggiano bontà, arte e magia in un consapevole disincanto a cui fa
eco la scelta di evitare il protagonismo di Aurora e Désiré e delle Fate,
tipico di questo balletto ottocentesco e delle sue riprese o rivisitazioni.
Qui domina per così dire
un voluto comprimariato e una visione olistica della mise en scène di cui però è doveroso ricordare Krasina Pavlova (Aurora), Mikhail
Kaniskin (Désiré), Rishat Yulbarisov (Carabosse), Sarah Mestrovic (la Fata dei Lillà), Luciana Voltolini (Weronika Frodyma), Aurora Dickie (Marina Kanno), Elisa Carrillo Cabrera (le Fate), Iana Balova e Ulian Topor (la gatta e
il gatto), Nikolay Korypaev e Marina Kanno (la principessa Florine e
lUccello azzurro), Giacomo Bevilacqua
e Maria Boumpouli (il lupo e Cappuccetto
Rosso).
Una Bella davvero bella questa di Nacho
Duato che entra di diritto nellalbo dei cosiddetti classici. Un albo che per
ragioni differenti, intrinseche o estetiche, estrinseche o storiche, è soggetto
ad un continuo aggiornamento.
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